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Nel discorso d’apertura rivolto alla giuria, Carter Bradford disse che era necessario tenere continuamente presente un fatto importantissimo: Rosemary Haight, la sorella dell’accusato, era stata avvelenata con l’arsenico, ma la sua morte era stata un errore. Il vero oggetto del delitto era la moglie dell’accusato, Nora Wright Haight. L’accusa ammetteva che il caso contro Jim Haight era circostanziale, ma i casi circostanziali erano una regola, non un’eccezione. Comunque, le prove erano così chiare, così forti, così irrefutabili che la giuria avrebbe potuto giudicare Jim Haight colpevole senz’alcun dubbio possibile.

«L’accusa dimostrerà» disse Bradford «che Jim Haight aveva progettato l’omicidio della moglie con un anticipo di cinque settimane; che il suo era un piano astuto, che dipendeva da una serie di avvelenamenti, in ordine crescente di gravità, tali da stabilire che sua moglie era soggetta ad attacchi di una misteriosa “malattia”. L’accusa dimostrerà che questi avvelenamenti preliminari avvennero proprio nelle date indicate nelle lettere che Jim Haight aveva scritto di suo pugno; che il tentato omicidio di Nora Haight e la morte accidentale di Rosemary Haight si sono verificati nella data in precedenza stabilita. L’accusa dimostrerà che la notte del delitto, James Haight e soltanto James Haight ha preparato i cocktail; che James Haight e soltanto James Haight ha portato il vassoio in salotto e ha distribuito le bevande; che James Haight e soltanto James Haight ha porto a sua moglie il bicchiere con il veleno; e che la donna si è salvata soltanto perché, dietro insistenza di Rosemary, aveva passato la bevanda avvelenata alla cognata, dopo averne bevuto soltanto un sorso… una circostanza che Jim Haight non aveva previsto.

«L’accusa dimostrerà che James Haight aveva un disperato bisogno di soldi, che negli ultimi tempi, quando era ubriaco, chiedeva alla moglie somme sempre più forti e che per altro lei gli rifiutava; che James Haight perdeva al gioco e che alla morte di Nora Haight lui solo avrebbe ereditato il suo patrimonio.»

«L’accusa» concluse Bradford con voce così bassa, che quasi non lo si udiva «essendo convinta senz’alcun dubbio possibile della colpevolezza di Jim Haight, chiede che il colpevole paghi con la propria vita la vita che ha distrutto.»

Fin dal primo momento Ellery comprese il piano del giudice Martin: seminare dubbi, dubbi, dubbi. Senza perorazioni, senza retorica: con tranquillo umorismo. Era come la voce della ragione… insinuava, sottolineava. Ellery comprese anche che il giudice Martin aveva ben poche speranze.

Lo si vide subito durante l’interrogatorio di Frank Lloyd. Al giornalista editore, il giudice Martin prestò una particolare attenzione. Il vecchio avvocato riuscì a fargli ammettere la relazione che lo legava alla famiglia Wright… e la sua “particolare” relazione con la moglie dell’accusato. Frank non poté negare che era stato innamorato di lei, di averla minacciata quando aveva preferito Jim Haight. Aveva persino minacciato Jim Haight di fargli del male.

Così Frank Lloyd perse valore come testimone dell’accusa. E i dubbi aumentarono ancora. Con la famiglia Wright, che fu costretta a salire sul banco dei testimoni, il giudice Martin fu molto impersonale, e seminò altri dubbi. Sui fatti, questa volta. Nessuno aveva realmente visto Jim Haight mettere l’arsenico nel cocktail. Nessuno poteva essere sicuro…

Nonostante tutto, però, l’accusa faceva progressi, e, quantunque il giudice Martin si battesse come un leone, Bradford riuscì a stabilire che Jim era stato l’unico a preparare le bibite; che solo lui aveva avuto l’occasione di avvelenare il cocktail di Nora, la vittima prestabilita.

Subito dopo depose l’avvocato del nonno Wright. Questi affermò che Nora aveva ricevuto centomila dollari all’atto del suo matrimonio.

Seguì la testimonianza di cinque periti calligrafi, i quali, nonostante il rigoroso contro-interrogatorio del giudice Martin, furono d’accordo nel dichiarare che le tre lettere incriminate erano state scritte dall’accusato. Salì poi sul banco dei testimoni Alberta Manaskas, che sbalordì tutti per la sua insospettata acutezza d’osservazione. Per mezzo suo, Carter Bradford riuscì a stabilire che, come aveva predetto la prima lettera, Nora era stata poco bene l’ultima domenica di novembre; a Natale era “stata male” in modo ancora più allarmante.

Il giudice Martin afferrò la palla al balzo.

«È stata male… Alberta? Male, come?»

«Male! Ha vomitato l’anima sua.» (Risate.)

«E lei, Alberta, ha mai… vomitato l’anima sua?»

«Certamente! io, come lei, come tutti.» (Il giudice è costretto a richiamare il pubblico all’ordine.)

«Come la signora Nora?»

«Certamente.»

«Ma lei non è mai stata avvelenata con l’arsenico, vero, Alberta?»

Bradford balzò in piedi. Il giudice Martin si sedette sorridendo. Il signor Queen notò che aveva la fronte imperlata di sudore.

Seguì il dottor Willoughby, che testimoniò sui risultati dell’autopsia; poi il dottor Maggil, chimico di Stato, il quale descrisse l’arsenico bianco come una sostanza “senza colore, senza sapore e senza odore in soluzione, ma altamente tossica”.

Venne poi il turno di Myron Garback, il proprietario della farmacia. Il signor Garback era raffreddato e aveva il naso gonfio e rosso. Starnutiva frequentemente e si agitava sulla sedia dei testimoni. Nel pubblico, sua moglie (una pallida irlandese) l’osservava molto ansiosamente. Dopo il giuramento di rito, Myron Garback testimoniò che un giorno dell’ottobre del 1940, Jim Haight era entrato nella sua farmacia e aveva chiesto una “scatola piccola di Quico”.

D. «Che cos’è esattamente il Quico, signor Garback?»

R. «È un preparato in uso per sterminare i roditori e gli insetti nocivi.»

D. «Qual è l’ingrediente tossico del Quico?»

R. «Il triossido d’arsenico.»

D. «L’accusato non è più ritornato da lei a comprare dell’altro Quico?»

R. «Sissignore; circa due settimane dopo. Ha detto che aveva perso la prima scatola del veleno e doveva comprarne un’altra. Gliene ho data una nuova. Disse che aveva dei topi in casa e che voleva distruggerli. Gli ho risposto che ero sorpreso perché non avevo mai sentito dire che ci fossero topi sulla collina. Lui non mi ha più risposto.»

Contro-interrogatorio del giudice Martin:

D. «Signor Garback, quante scatole di Quico ha venduto, a occhio e croce, durante il mese di ottobre?»

R. «È difficile dirlo; moltissime, certo. È il miglior veleno per topi ch’io abbia in bottega; e il quartiere popolare ne è infestato.»

D. «Ne avrà vendute venticinque scatole? Cinquanta?»

R. «Più o meno, sì.»

D. «È un fatto strano che i suoi clienti comprino quel preparato velenoso… esclusivamente per uccidere i topi?»

R. «È tutt’altro che straordinario.»

D. «Allora, come mai si ricorda in particolare che il signor Haight ha comprato un po’ di veleno per topi… sebbene siano già passati cinque mesi

R. «Mi è rimasto in mente, forse perché ha comprato due scatole a così poca distanza, e abitava sulla collina.»

D. «È certo che si trattasse di due scatole, a due settimane di distanza?»

R. «Sissignore. Non lo direi se non fosse vero.»