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D. «Come ha reagito l’accusato?»

R. «Non ha detto una parola. È girato sui tacchi ed è uscito dal mio ufficio.»

Contro-interrogatorio del giudice Martin.

D. «Signor Mackenzie, non le è parso strano che il vicepresidente della Banca Nazionale di Wrightsville sia venuto proprio da lei per un prestito?»

R. «Sì; in fondo, sì. Ma pensavo si trattasse d’affari privati, e…»

D. «E per un affare privato, senza spiegazioni o garanzie, contro una semplice firma lei ha prestato la somma di cinquemila dollari?»

R. «Ecco: in fondo pensavo che il vecchio John avrebbe pagato, in ogni caso…»

Il procuratore distrettuale Bradford:

«Vostro Onore!»

Il giudice Martin:

«Basta. Grazie, signor Mackenzie.»

Non tutte le testimonianze contro Jim Haight vennero portate in tribunale. Alcune furono gridate nel principale negozio di parrucchiere o nello studio del dentista, e tutte indistintamente vennero diffuse per la città dai soliti pettegoli che gonfiavano le cose oltre misura. Vi fu Luigi Marino, il parrucchiere, che andò in giro a raccontare a tutti la violenza con cui Jim Haight l’aveva sconsigliato «di fare la corbelleria di sposarsi». Occasionali compagni di sbornia, che avevano raccattato Jim ubriaco per la strada, corsero a riferire a Cart Bradford che il giovane aveva pronunziato violente minacce contro la propria moglie, dichiarando più volte di volerla uccidere. Persino il dentista più noto della città andò dal Procuratore Distrettuale a riferirgli che, sotto l’effetto del gas esilarante, Jim Haight si era espresso con inaudita violenza contro la propria moglie.

Cart protestava sempre:

«Le dichiarazioni fatte sotto l’influenza dell’alcool sono estremamente opinabili. Perché volete farmi perdere il “caso” con il vostro discutibile aiuto?»

Le chiacchiere giunsero persino all’orecchio del giudice Newbold, il quale alla fine di un’udienza ammonì severamente i giurati di non discutere il “caso” con nessuno, nemmeno tra di loro.

In seguito fu chiamato a testimoniare un impiegato della banca, Thomas Winship, che dichiarò che Jim Haight usava sempre un pastello rosso durante il suo lavoro, e presentò vari documenti dell’archivio, firmati da Haight col famoso pastello.

L’ultima prova presentata da Bradford (che si dimostrò con questo un ottimo tempista) fu il volume di tossicologia di Edgcomb con dei segni rivelatori in pastello rosso. Il volume fu passato al collegio dei giurati perché l’esaminassero, mentre la difesa assumeva un’aria “sicura e tranquilla” e Jim Haight impallidiva visibilmente, guardandosi attorno come un topo in gabbia. Ma il brutto momento passò, e d’allora in poi l’accusato si comportò come sempre: silenzioso, assente, abbandonato nella poltrona con un’espressione di noia sul volto grigiastro.

IV

Consiglio di guerra

L’ultima udienza della settimana ebbe luogo venerdì ventotto marzo. Il prigioniero fu riportato alla sua cella al piano superiore del palazzo di Giustizia; l’aula fu sgombrata, e i Wright se ne tornarono a casa. Non vi era altro da fare sino a lunedì… Si poteva, al massimo, cercar di rialzare un po’ il morale di Nora. La povera Nora giaceva sopra una sedia a sdraio nella sua graziosa camera da letto, ripetendo infinite volte il gesto di cogliere le rose disegnate sul centro delle tendine. Hermy le aveva rifiutato il permesso di assistere al processo, e dopo due interi giorni di lacrime la ragazza si era arresa, esausta.

Quel venerdì fu distinto da un altro avvenimento importante. Roberta Roberts perse il suo impiego. La giornalista aveva continuato a difendere Jim Haight a spada tratta, nonostante le proteste dei suoi superiori; finché un giorno il suo direttore le aveva telegrafato che poteva cercarsi un altro lavoro.

Roberta Roberts trascorse tutto il sabato nella cella di Jim, pregandolo di parlare, di difendersi, di collaborare col suo difensore. Anche il giudice Martin era presente, ed ascoltò le vivaci perorazioni di Roberta. Ma Jim continuò a scrollare il capo tacendo, taciturno, immobile come un cadavere. La domenica sera, a cena dai Wright, il signor Ellery Queen domandò lentamente a Roberta:

«Signorina, vorrei chiederle qualcosa.»

«Dica, signor Smith» invitò la giornalista, un po’ sulle difensive.

«Lei ha perduto il lavoro solo per sostenere Jim Haight.»

«Ma questo è ancora un paese libero, se Dio vuole» ribatté Roberta.

«Ma come mai questo caso la interessa tanto da indurla a sacrificare un buon impiego?»

«Perché, secondo me, Jim Haight è innocente.»

«Ma no!» fece Ellery con forza.

Roberta balzò in piedi.

«Che cosa cerca di farmi dire?»

«Troppo bello» sorrise il signor Queen. «È troppo bello per essere vero. Una giornalista cinica e provata dalla vita, rinunzia a un’esistenza di agi per difendere un estraneo… che agli occhi del mondo è colpevole come Caino. C’è una scusa per Nora che è innamorata di quest’uomo; c’è una scusa per i Wright che vogliono vedere il loro genero libero da ogni accusa, per amore della loro figliola e del futuro nipotino. Ma lei?»

«L’ho già detto.»

«E io non le credo.»

«Che cosa ci posso fare?»

«Signorina Roberts» domandò Ellery con voce dura «che cosa ci nasconde?»

«Mi rifiuto di sottomettermi ad un terzo grado.»

«Voglia scusarmi! Ma è chiaro che lei sa qualcosa. Sapeva qualcosa fin da quando è arrivata in città. Non vuole dirmi che cosa l’ha costretta a venire a Wrightsville per difendere Jim?»

La giornalista afferrò rapidamente i guanti, la pelliccia e la borsetta.

«Vi sono momenti, signor Smith, nei quali io la trovo assolutamente odioso… No, la prego, signora Wright: non si preoccupi per me» mormorò, e uscì in fretta.

«Credo che farò quattro chiacchiere con quella donna» osservò, pensoso il giudice Martin.

«Lola» chiamò Ellery, stringendosi nelle spalle.

«Io?» domandò la ragazza, sorpresa. «È il mio turno, ora?»

«Anche lei ha nascosto qualcosa.»

Lola spalancò gli occhi, poi rise e accese una sigaretta.

«Non le pare che sia venuto il momento di dire al giudice Martin che è entrata in casa di Nora dalla porta posteriore, pochi minuti prima della mezzanotte dell’ultimo dell’anno?»

«Lola!» esclamò Hermy, trasalendo. «Dunque c’eri anche tu?»

«Non preoccuparti, mamma; non è niente di grave» dichiarò Lola con impazienza. «Naturalmente, signor Martin, le dirò tutto; ma dal momento che siamo così disposti a collaborare, perché l’eminente signor Smith non si mette al lavoro?»

«Che cosa dovrei fare?» domandò il signor Smith.

«Mi pare che questo astuto individuo sappia molto più di quanto non dica!»

«Lola, non credi che se Ellery potesse far qualcosa lo farebbe?» gridò Pat.

«Naturalmente» disse il giudice Martin. «Smith, se sa qualcosa di utile, la chiamerò a testimoniare!»

«Molto volentieri, se potessi aiutarla, giudice» sospirò Ellery. «Ma purtroppo temo che farei ancora più danno.»

John Wright aprì bocca per la prima volta:

«Vuol dire che sa che Jim è colpevole, giovanotto?» domandò.

«Nemmeno per sogno» brontolò Ellery con voce soffocata. «Ma la mia deposizione metterebbe le cose in modo tale da nuocere seriamente alla posizione di Jim… Infatti si stabilirebbe, senza ombra di dubbio, che solo lui ha avuto modo di mettere il veleno in quel cocktail. Io non devo assolutamente venire a testimoniare.»