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R. «Un ospite dei Wright. Ellery Smith.»

D. «Il signor Smith lasciò la stanza subito dopo l’accusato?»

R. «Sì, e non tornò finché Haight non comparve col vassoio dei cocktails e non cominciò a distribuirli.»

“Sei un animale astuto” pensò Ellery ammirato. “Ma in trappola sono io… che fare?”

In quella la voce dell’usciere gridò:

«Ellery Smith!»

II

Ellery Smith alla sbarra

Mentre il signor Ellery Queen prendeva posto sul banco dei testimoni, le sue preoccupazioni non andavano alle domande che il Procuratore Distrettuale gli avrebbe rivolto: quelle se le immaginava anche troppo bene e sapeva pure, con molta esattezza, che quando fossero stati rivelati i movimenti del misterioso signor “Smith”, la sera fatale, la posizione di Jim sarebbe notevolmente peggiorata. Non gli passò nemmeno per la testa di mentire. Sapeva che la verità vien sempre a galla.

«Signor Smith» esordì Carter Bradford a bassa voce «oggi lei è sul banco dei testimoni sotto giuramento e dovrà dire la verità. Lei conosceva l’esistenza delle tre lettere che incriminano l’imputato prima che il capo della polizia ed io le trovassimo?»

«Sì.»

Bradford fu sorpreso e proseguì in tono sospettoso:

«Quando ne ha saputo l’esistenza?»

Ellery glielo disse; la sorpresa di Bradford si trasformò in soddisfazione.

«Allora lei sapeva che la signora Haight correva il pericolo di venir uccisa da suo marito?»

«Nient’affatto. Sapevo solo che c’erano delle lettere che potevano lasciarlo supporre.»

«A suo giudizio era stato l’accusato a scrivere quelle lettere?»

«Non ho espresso giudizi di sorta.»

«La signorina Patricia Wright non ha identificato la scrittura di suo cognato?»

«Sì. Ma era un’identificazione con un valore abbastanza relativo.»

«Lei non ha fatto dei controlli personalmente?»

«Sì, ma non credo d’essere un perito calligrafico.»

«Signor Smith, lei sapeva, per aver letto il libro di tossicologia di Edgcomb che, se un delitto avesse dovuto aver luogo, sarebbe stato perpetrato per mezzo dell’arsenico?»

«Diciamo pure di sì.»

«Signor Smith, lei dunque era in condizione di sapere, per aver letto la terza lettera, che se la “morte” della signora Haight avesse dovuto aver luogo, sarebbe avvenuta alla vigilia di capodanno?»

«Sì.»

«Durante la festa dell’ultimo dell’anno ha continuamente tenuto sott’occhio l’accusato seguendolo sempre quando usciva dal salotto?»

«Sì.»

«L’ha osservato mentre preparava i cocktails in dispensa?»

«Sì.»

«Si ricorda l’ultima volta che l’imputato ha preparato delle bibite prima di mezzanotte?»

«Me ne ricordo perfettamente.»

«L’ha seguito anche quella volta?»

«Sì, sono uscito nell’atrio, mentre il signor Haight è entrato in cucina. In seguito è passato in dispensa. Io mi sono fermato nell’atrio dietro la porta.»

«Il signor Haight l’ha vista?»

«Non ne ho la più pallida idea.»

«Ha cercato di non farsi vedere?»

Il signor Queen sorrise.

«Non ho cercato di nascondermi. Mi sono limitato a starmene in piedi vicino alla porta aperta.»

«Comunque lei poteva veder bene l’accusato?»

«Perfettamente bene.»

«Che cosa ha fatto?»

«Ha mischiato i cocktails e li ha versati nei bicchieri. Stava per prendere il barattolo delle ciliege al maraschino, quando hanno bussato alla porta posteriore. Il signor Haight ha lasciato i bicchieri ed è andato in cucina per vedere chi c’era.»

«Era la signorina Lola Wright, vero?»

«Sì.»

«Il vassoio è rimasto tutto il tempo della conversazione sulla tavola della dispensa?»

«Proprio così.»

Carter Bradford esitò. Poi chiese con decisione:

«Ha visto qualcuno avvicinarsi a quei cocktails mentre l’imputato era assente?»

«Non ho visto nessuno.»

«Dunque la dispensa è rimasta completamente vuota?»

«Appunto.»

Bradford quasi non riuscì a nascondere la propria soddisfazione per quanti sforzi facesse.

«Che cosa ha fatto dopo l’imputato?»

«Ha messo una ciliegia al maraschino in ciascuno dei bicchieri, poi ha preso il vassoio e si è incamminato verso il salotto.»

«Durante il percorso tra la dispensa e il salotto, il signor Haight è stato avvicinato da qualcuno?»

«Da nessuno, eccetto me.»

«Questo è tutto quel che ha visto?»

«Sì.»

«Ci ha detto tutto? Non è accaduto nient’altro?»

«No.»

«Non ha visto l’imputato versare della polvere in uno dei bicchieri?»

«Assolutamente no.»

«È certo che non ha versato la polvere durante il percorso verso il salotto?»

«Era impossibile, il signor Haight aveva entrambe le mani occupate. Non ha versato nessuna sostanza estranea nei bicchieri quando era in dispensa né durante il tragitto.»

Nell’aula ci fu un mormorio. I Wright si guardarono l’un l’altro con un’espressione di sollievo.

Ma il signor Queen capì che aveva perso la partita con la giuria: tutti erano convinti che mentisse perché amico di famiglia.

«Ebbene signor Smith, risponda a questa domanda» continuò Bradford «c’è qualcun altro che avrebbe potuto avere l’occasione di mettere il veleno in uno di quei bicchieri?»

«Che mi risulti, nessun altro, ma…»

«In altre parole, signor Smith» gridò Bradford «l’imputato Jim Haight aveva non solo la migliore, ma anche l’unica occasione di avvelenare quel cocktail.»

«No» affermò il signor Smith, e sorrise.

Il signor Carter Bradford rimase interdetto; poi si riprese e gridò:

«Si rende conto di quello che dice? Ha appena finito di dichiarare che nessuno è entrato in dispensa! Nessuno ha avvicinato l’imputato mentre portava i vassoi in salotto! È vero o non è vero tutto questo?»

«Sì» fece il signor Queen pazientemente.

«Ciononostante lei dice… Smith chi, oltre Jim Haight, avrebbe potuto avvelenare uno di quei cocktails?»

Il giudice Martin balzò in piedi, ma prima che potesse dire «mi oppongo», Ellery dichiarò tranquillamente:

«Avrei potuto benissimo avvelenarlo io.»

Si udì una serie di esclamazioni nell’aula e il signor Queen proseguì:

«Vede, mi sarebbe bastato un attimo per scivolare in dispensa e versare l’arsenico in uno di quei bicchieri…»

Nell’aula scoppiò il finimondo; il signor Queen si guardò attorno con un sorriso benigno. Al di sopra delle grida, del clamore dei giornalisti, e dei colpi furiosi della mazzetta del giudice Newbold, Carter Bradford ruggì con voce trionfante:

«Ebbene, Smith, ha avvelenato lei quel cocktail?»

Si udì la voce del giudice Martin esclamare debolmente: «Mi oppongo», poi il signor Queen osservò in tono correttissimo:

«Dal punto di vista costituzionale…»

L’aula si trasformò in una torre di Babele, il giudice ruppe la mazzetta in due e urlò all’usciere di sgombrare quella “maledetta aula”, poi corse a ritirarsi nei suoi appartamenti ove rimase fino al mattino seguente applicandosi, si presume, delle compresse d’aceto sulla fronte.

III

La singolare richiesta di Patricia Wright

La mattina seguente diversi cambiamenti si erano verificati. L’attenzione di Wrightsville si era spostata da Jim Haight a Ellery Smith.