Il giornale di Frank Lloyd uscì in edizione straordinaria e riferì la sensazionale testimonianza di Ellery Queen. L’editoriale diceva tra l’altro: “La bomba fatta scoppiare ieri dal signor Smith ha fatto cilecca. Quest’uomo non può essere colpevole. Smith non ha nessun movente. Prima di venire a Wrightsville non conosceva Nora, Jim Haight e nessun altro della famiglia Wright. Non ha avuto praticamente nessun contatto con la signora Haight e tanto meno con Rosemary Haight. Questo suo gesto donchisciottesco non significa assolutamente nulla. E inoltre, anche ammesso che Smith potesse veramente essere stata l’unica persona a parte Jim Haight ad avere la possibilità di avvelenare i cocktail, non avrebbe potuto essere assolutamente certo, contrariamente a Jim, che la bevanda fatale finisse nelle mani di Nora. Né il signor Smith avrebbe potuto scrivere le lettere, che sono scritte, senza ombra di dubbio, dalle mani di Jim. Wrightsville e la giuria possono solo concludere che quello che è accaduto ieri è stato o un gesto disperato di amicizia oppure una cinica ricerca di pubblicità da parte di uno scrittore che ha fatto di Wrightsville la sua cavia.”
Non appena Ellery mise piede sul banco dei testimoni il mattino seguente, Bradford gli disse:
«Questo è il verbale ufficiale della sua testimonianza di ieri. Vuole leggerlo per cortesia?»
Ellery inarcò le sopracciglia, ma prese il foglio e lesse.
«Domanda: “Qual è il suo nome?”. Risposta: “Ellery Smith…”»
«Si fermi. Ieri lei ha dichiarato che il suo nome è Ellery Smith, vero?»
«Sì» affermò Ellery che cominciò a provare una curiosa sensazione di freddo.
«Smith è il suo vero nome?»
“Accidenti” pensò Ellery “questo individuo è una vera calamità.”
«No» disse poi a voce alta.
«È uno pseudonimo?»
«Silenzio in aula!» urlò l’usciere.
«Sì.»
«Qual è il suo vero nome?»
Il giudice Martin si affrettò a dire:
«Non vedo la ragione di questo interrogatorio, Vostro Onore. Il signor Smith non è sotto processo…»
«Vuole spiegarmi il perché di questa richiesta, signor Bradford?» domandò il giudice Newbold incuriosito.
«Nella sua testimonianza di ieri, il signor Smith ha affermato che avrebbe potuto avere l’opportunità di avvelenare quel cocktail» dichiarò Bradford con un debole sorriso. «Perciò nell’esame di questa mattina, devo necessariamente includere alcune domande che servono a determinare il carattere del signor “Smith”.»
«E lei ritiene di poter determinare il carattere del signor Smith facendogli rivelare il suo vero nome?» domandò accigliato il giudice Newbold.
«Sì, Vostro Onore.»
«Va bene, proceda.»
«Per cortesia vuole rispondere alla mia ultima domanda?» chiese Bradford rivolto a Ellery. «Qual è il suo vero nome?»
Non c’era niente da fare. Era chiaro che Bradford, quella notte, non era rimasto in ozio.
Il nome di Queen, in teoria, non l’avrebbe salvato da un’accusa di omicidio, naturalmente, ma in pratica nessuno si sarebbe mai sognato di pensare che un poliziotto tanto noto avrebbe potuto impegolarsi in un delitto.
«Il mio nome è Ellery Queen» dichiarò il giovane con un sorriso.
Carter Bradford era un ottimo tempista. Il giudice Martin, date le circostanze, fece del suo meglio.
«Signor Queen» domandò non appena poté procedere al contro-interrogatorio «nella sua qualità di studioso dei fenomeni criminali, era interessato in questo caso?»
«Immensamente.»
«Per questo dunque ha tenuto continuamente sott’occhio Jim Haight durante la sera dell’ultimo dell’anno?»
«Per questo e per l’affetto che mi lega alla famiglia Wright.»
«Stava in guardia per impedire un possibile tentativo di avvelenamento da parte di Jim Haight?»
«Sì.»
«E ha visto Jim Haight compiere quel tentativo?»
«No, assolutamente.»
«Non ha visto l’imputato fare il minimo gesto di versare una sostanza estranea in un bicchiere?»
«No, ripeto, no!»
«Eppure lei stava in guardia, vero?»
«Appunto.»
«Grazie, basta così» concluse il giudice Martin trionfante.
Per la seconda volta arrivò il fine settimana e tutte le persone interessate al processo se ne tornarono alle loro case.
Il comitato non ufficiale di difesa di Jim Haight si riunì di nuovo nel salotto di casa Wright la sera del venerdì. L’atmosfera era pesante e sconsolata.
«Che ne pensate?» domandò Nora rivolgendosi al giudice Martin e a Roberta Roberts.
«La testimonianza di Queen sarebbe stata di immenso aiuto se il collegio dei giurati non fosse già così prevenuto contro Jim. No, Nora, le cose vanno male, non posso dirti nulla di consolante.»
Nora fissò il fuoco intensamente con gli occhi spenti.
«E pensare che ho avuto Ellery Queen ospite in casa mia per tanto tempo» sospirò Hermy. «Una volta forse ne sarei stata terribilmente elettrizzata…»
«Su con la vita, mammina!» mormorò Lola.
Hermy sorrise, ma poco dopo si scusò e si ritirò in camera sua a passo strascicato. John borbottò:
«Grazie, Queen» e seguì sua moglie di sopra. Tutti rimasero in silenzio per lungo tempo. Finalmente Nora parlò:
«Se non altro, Ellery, quel che lei ha visto conferma l’innocenza di Jim. È già qualcosa. Dovrebbe essere qualcosa per lo meno. Santo cielo, saranno costretti a crederle!» concluse in lacrime.
«Speriamo.»
«Giudice Martin» fece Roberta Roberts improvvisamente. «Lunedì dovrà cominciare l’arringa di difesa. Su che cosa sarà basata?»
«Perché non me lo dice lei?» ribatté il giudice Martin.
«Io non so nulla che la possa aiutare» sospirò la giovane abbassando gli occhi.
«Dunque avevo ragione» mormorò Ellery. «Non credete che degli altri giurati potrebbero…»
Si udì d’improvviso il rumore di qualcosa che si spezzava. Pat era balzata in piedi e i frammenti del bicchiere di Xeres che stava bevendo erano sparsi sul pavimento ai suoi piedi.
«Che ti succede?» domandò Lola. «Se questa non è una famiglia di svitati…»
«Sono stanca di starmene con le mani in mano» scattò Pat. «Voglio fare qualche cosa! Mi è venuta un’idea!»
«La piccolina ha avuto un’idea» rise Lola amaramente. «Anch’io ho avuto un’idea, una volta, e un istante dopo stavo divorziando da un mascalzone, e tutti mi trattavano da donna perduta. Siediti, mocciosetta.»
«Un momento» intervenne Ellery. «Che idea le è venuta Pat?»
«Continuate pure a fare i furbi» protestò Pat eccitata. «Divertitevi pure alle mie spalle. Ma io ho un piano e ho intenzione di metterlo in pratica.»
«Che specie di piano?» domandò il giudice Martin. «Sarò felice di saperlo, Patricia.»
«Ma davvero?» ribatté Pat in tono ironico. «Ma io non voglio parlarne. Saprete tutto al momento opportuno. Zio Eli, tu però devi farmi un favore…»
«E cioè?»
«Devi chiamarmi come ultimo testimone per la difesa!»
«Eh?» esclamò il giudice sorpresissimo.
«Che cosa sta architettando, bambina?» domandò Ellery. «Sarebbe meglio che ne parlasse prima con gli adulti.»
«Ci sono già state anche troppe chiacchiere, nonno.»
«Ma che cosa vuole fare?»
«Voglio tre cose» Pat era cupa e decisa. «Un certo periodo di tempo. E la certezza di poter deporre come ultimo testimone per la difesa, e un po’ del tuo nuovo profumo “Odalisca”, Nora… Che cosa voglio fare? Io salverò Jim! La farò vedere io a quel Carter Bradford!»
E minacciosa uscì dalla stanza.