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Uno degli uomini era un avvocato, il secondo un medico, il terzo un dirigente dell’azienda elettrica della Louisiana. Il nostro Corriere temporale era il tipo più adatto per fare da pastore a queste colonne dell’ordine costituito: un tipo blando e sfuggente che si chiamava Madison Jefferson Monroe. Chiamatemi Jeff ci disse subito.

Prima di ricevere il via, tenemmo diverse riunioni d’orientamento.

— Questi sono i vostri timer — disse Jeff Monroe. — Teneteli sempre attaccati alla pelle. Da quando li mettete nel quartier generale del Servizio, non toglieteveli più prima di ritornare giù per la linea. Teneteli addosso quando fate il bagno, quando dormite, quando… ehm… svolgete tutte le funzioni più intime. La ragione dovrebbe essere ovvia. Sarebbe gravemente dannoso per la storia se un timer dovesse cadere nelle mani di una persona del ventesimo secolo: perciò non permettiamo che gli strumenti siano separati dalle vostre persone neppure per un istante.

(— Mente mi disse Sam, quando glielo ripetei. Quelli su per la linea non saprebbero cosa diavolo farsene, di un timer. La vera ragione è che qualche volta i turisti devono abbandonare un’area in fretta e furia, magari per non finire linciati, e il Corriere non può correre il rischio che qualcuno dei suoi abbia lasciato il timer nella stanza d’albergo. Ma questo non osa dirglielo).

I timer distribuiti da Jeff Monroe erano un po’ diversi da quello che avevo portato la notte in cui io e Sam eravamo andati a saltare su per la linea. I comandi erano bloccati, e funzionavano solo quando il Corriere produceva una frequenza generale.

Era logico: il Servizio temporale non vuole che i turisti se la squaglino o vadano a gironzolare da soli nel tempo.

Il nostro Corriere insistette molto sulle conseguenze dei cambiamenti del passato, e ci supplicò fino alla noia di non far dondolare la barca. — Non parlate se non vi viene rivolta la parola — disse, — e in tal caso limitate al minimo la vostra conversazione con gli sconosciuti. Non usate termini gergali: non sarebbero comprensibili. Forse riconoscerete altri cronoturisti: non dovete parlare con loro in nessun caso né salutarli, e dovete ignorarli se loro rivolgono a voi l’attenzione. Chiunque viola questi regolamenti, anche innocentemente, si vedrà revocare subito il permesso di smistarsi e verrà riportato immediatamente al tempo attuale. Capito?

Annuimmo solennemente.

Jeff Monroe aggiunse: — Pensate di essere cristiani travestiti che si sono intrufolati nella Mecca, la città santa dei mussulmani. Non correte nessun pericolo finché non venite scoperti: ma se quelli attorno a voi scoprono chi siete, vi trovate nei guai. Perciò torna a tutto vostro vantaggio tenere la bocca chiusa finché siete su per la linea, guardare molto e parlare poco. Tutto andrà bene finché non richiamate l’attenzione su di voi.

(Venni a sapere da Sam che molto spesso i cronoturisti si mettevano nei pasticci con gente che viveva su per la linea, sebbene i loro Corrieri si adoperassero con molto impegno per evitare tali incidenti. Talora il guaio può venire appianato con qualche frase diplomatica, più spesso se il Corriere spiega in tono di scusa all’offeso che lo straniero è veramente matto. Qualche volta non è tanto facile, e il Corriere è costretto a ordinare una rapida evacuazione di tutti i turisti; lui però deve restare fin quando ha spedito sano e salvo tutto il gregge giù per la linea, e come risultato ci sono stati diversi casi di Corrieri caduti nell’adempimento del dovere. Quando i turisti combinano qualcosa di veramente grosso, interviene la Pattuglia temporale e cancella retroattivamente il balzo, togliendo dalla spedizione il viaggiatore incauto ed eliminando così il danno. Sam disse: — Bisogna vedere come s’infuriano, quei ricchi bastardi, quando all’ultimo minuto compare un Agente e annuncia che non possono compiere lo smistamento perché se lo compiono commetteranno un tremendo passo falso su per la linea. Non riescono a capirlo. Promettono di fare i bravi, e non possono credere che le loro promesse non valgono niente perché la loro condotta è già una realtà. Il guaio, con la maggioranza di quegli stupidi turisti, è che non sanno pensare in quattro dimensioni. — Io replicai, sconcertato: — Neanch’io, Sam. — E lui: — Imparerai. Sarà meglio per te).

Prima di partire per il 1935 ci fecero un rapido ipnocorso sulla situazione sociale dell’epoca. Ci riempirono la testa di dati sulla Depressione, il New Deal, la famiglia Long della Louisiana, l’ascesa di Huey Long alla fama, il suo programma «dividiamoci la ricchezza» che si proponeva di togliere ai ricchi per dare ai poveri, il suo dissidio col presidente Franklin Roosevelt, il suo sogno di arrivare alla presidenza nel 1936, la sua clamorosa noncuranza verso le tradizioni, il fascino demagogico che esercitava sulle masse. Assorbimmo anche moltissimi dettagli marginali sulla vita del 1935 (celebrità, sviluppo degli sport, andamento della Borsa), in modo che non ci ritrovassimo come pesci fuor d’acqua.

Infine ci fornirono un guardaroba del 1935. Al vederci bardati in quel modo strano, ci pavoneggiammo ridacchiando e scherzando. Jeff Monroe, prima di dare il via, ricordò agli uomini la chiusura dei pantaloni e il modo di usarla, ricordò alle donne che era severamente proibito mostrare i seni dai capezzoli in giù, e ci esortò caldamente a ricordare in ogni attimo che stavamo per entrare in un’epoca inflessibilmente puritana, dove la repressione nevrotica era considerata una virtù e le nostre normali libertà di comportamento erano giudicate svergognate e peccaminose.

Finalmente fummo pronti.

Ci portarono in superficie, alla New Orleans vecchia, poiché non sarebbe stato igienico effettuare il balzo da un livello sotterraneo. Avevano preparato una stanza in una pensione di North Rampart Street, per smistarci al ventesimo secolo.

— Via, su per la linea — disse Madison Jefferson Monroe, e diede il segnale che attivò i nostri timer.

XIV

Di colpo fu il 1935.

Non notammo nessun cambiamento nella squallida stanza in cui ci trovavamo, ma sapemmo di essere su per la linea.

Portavamo scarpe strette e abiti buffissimi e avevamo vero denaro contante, dollari degli Stati Uniti, perché lì l’impronta del pollice non era moneta legale. L’uomo mandato avanti a preparare la visita ci aveva fatto le prenotazioni in un grande albergo di New Orleans che dava su Canal, proprio al limitare del vecchio quartiere francese, per la prima parte del nostro soggiorno; e dopo che Jeff Monroe ci ebbe impartito un ultimo invito alla circospezione, uscimmo e girammo l’angolo.

Il traffico automobilistico era fantastico, per quell’anno che si presumeva «depresso». Ed era fantastico anche il baccano. Passeggiammo a due per due, con Jeff in testa. Facevamo un gran guardare, ma questo non avrebbe insospettito nessuno. La gente del posto avrebbe semplicemente pensato che eravamo turisti arrivati freschi dall’Indiana. Niente, nella nostra curiosità, ci rivelava come turisti arrivati freschi freschi dal 2059.

Thibodeaux, il dirigente dell’azienda elettrica, non riusciva a mandar giù lo spettacolo dei cavi all’aperto, penzolanti da un palo all’altro. — Ho letto tutte queste cose — disse più volte. — Ma non ci avevo mai creduto!

Le donne ridacchiavano parecchio, per via della moda. Era un’umida e afosa giornata di settembre, eppure erano tutti coperti. Le donne non riuscivano a capirlo.

Il clima ci diede fastidio. Prima non eravamo mai stati esposti alla vera umidità: nelle città sotterranee non esiste, naturalmente, e solo un pazzo può salire in superficie quando il clima è brutto. Perciò sudavamo e sbuffavamo.