— Sì — risposi. Mai. È la prima volta.
— Ti piacerà! Soprattutto la rotta di Bisanzio. Bisanzio è così… come posso esprimermi? — Giunse le mani grassocce in un gesto estatico. — Sicuramente devi percepirlo un po’ anche tu. Ma solo un greco come me può reagire pienamente.
Bisanzio! Ah, Bisanzio!
— Anch’io sono greco — dissi.
Protopopolos arrestò la nostra salita nel pozzo ascensionale e si rialzò gli occhiali sulla fronte. — Non sei Judson Daniel Elliott III?
— Sì.
— E sarebbe greco?
— Il cognome di mia madre, da ragazza, era Passilidis. Era nata ad Atene. Mio nonno materno era sindaco di Sparta. Per parte di madre discendeva dalla famiglia Markezinis.
— Tu sei mio fratello! — esclamò Spiros Protopopolos.
Venni a sapere che sei degli altri nove Corrieri temporali assegnati alla rotta di Bisanzio erano greci per nazionalità o discendenza; c’erano due tedeschi, Herschel e Melamed, mentre il nono era uno spagnolo snello, dai capelli scuri, che si chiamava Capistrano e che in seguito, debitamente sbronzo, mi confidò che la sua bisnonna era turca. Forse l’aveva inventato perché lo disprezzassi: Capistrano aveva una netta tendenza al masochismo.
Cinque dei miei colleghi erano in quel momento su per la linea, e quattro erano lì, nell’Istanbul del tempo attuale, grazie all’errore di programmazione che stava causando tutto quello scompiglio in anticamera. Protopopolos fece le presentazioni:
— Melamed, Capistrano, Pappas, questo è Elliott. — Melamed era biondo e si nascondeva dietro una fitta barba color sabbia; Pappas aveva guance incavate, occhi mesti e baffi penzolanti. Erano entrambi sulla quarantina. Capistrano sembrava un po’ più giovane.
Un quadro illuminato seguiva i movimenti degli altri membri della squadra: Herschel, Kolettis, Plastiras, Metaxas e Gompers. — Gompers? — feci io.
Protopopolos rispose: — Sua nonna era di pura razza ellenica. — I cinque erano sparsi lungo dieci secoli, secondo il quadro, con Kolettis nel 1651 A.P. e Metaxas nel 606 A.P., cioè rispettivamente 408 e 1453 d.C, e gli altri in mezzo. Mentre fissavo il quadro, Kolettis si spostò di oltre un secolo giù per la linea. — Sono andati a vedere i tumulti — disse sottovoce Melamed, e Capistrano annuì sospirando.
Pappas mi preparò un caffè forte. Capistrano sturò una bottiglia di brandy turco, che trovai un po’ difficile da ingerire. Lui m’incoraggiò dicendo: — Bevi, bevi, è il migliore che gusterai negli ultimi quindici secoli! — Ricordai che Sam mi aveva consigliato d’imparare a bere, e ingollai a forza quella roba: ma sognavo uno spinello, un aleggiatore, un’esalazione, qualcosa di decente.
Mentre prendevo un po’ di confidenza con i miei nuovi compagni, entrò un uomo della Pattuglia temporale. Non usò l’analizzatore per chiedere permesso, e neppure bussò: si limitò a irrompere dentro. — Proprio non riesci mai a essere educato, eh? — ringhiò Pappas.
— Alla vostra — disse l’agente della Pattuglia temporale. Si lasciò cadere su un’amaca e si sbottonò la camicia della divisa. Era un tipo grassoccio, dall’aspetto ariano e dal petto villoso; una massa di fili metallici dorati e arricciolati gli saliva verso le clavicole. — È nuovo? — domandò, indicandomi con un cenno del capo.
— Jud Elliott feci Io. Corriere.
— Dave Van Dam — disse lui. — Della Pattuglia. — Avvolse la sua enorme mano intorno alla mia. — Fa’ in modo che non ti becchi a fottere su per la linea. Niente di personale, ma sono un duro. È molto facile, odiarci: noi siamo incorruttibili. Prova e vedrai.
— Questo è il circolo dei Corrieri — disse Capistrano, con voce tesa.
— Non c’è bisogno che me lo dica tu — fece Van Dam. — Credetelo o no, so leggere.
— E allora adesso sei un Corriere?
— Vi dispiace se mi rilasso un po’ insieme all’opposizione? — L’agente sogghignò, si grattò il petto e si portò alle labbra la bottiglia di brandy. Bevve copiosamente e ruttò rumorosamente. — Cristo, che giornataccia massacrante! Sapete dove sono stato, oggi?
Nessuno aveva l’aria di curarsene.
Van Dam continuò ugualmente. — Ho passato l’intera giornata nel 1962!
Novecento porco mondo sessantadue! A perquisire tutti i piani dello stramaledetto Hilton di Istanbul in cerca di due presunti cronocriminali accusati di traffico di manufatti. Avevamo sentito che portavano monete d’oro e vetrerie romane dal 1400 A.P. e le vendevano ai turisti americani ospiti dell’Hilton, e poi investivano in Borsa i guadagni e nascondevano il ricavato in una banca svizzera per prelevarlo nel tempo attuale. Cristo! Sapete, si possono fare i miliardi in questo modo! Basta comprare in un anno in cui la Borsa è in ribasso e lasciar lì le azioni per un secolo: e alla fine si diventa padroni del mondo. Be’, forse era vero: ma non abbiamo trovato niente in tutto lo stramaledetto Hilton, solo una quantità di libera iniziativa legittima imperniata sul tempo di allora. Al diavolo! — Tracannò un altro sorso dalla bottiglia di brandy. — Che se lo facciano loro, un altro controllo. Che se li trovino da soli, i loro stramaledetti cronocriminali.
— Questo è il circolo dei Corrieri — disse il nuovo Capistrano.
L’agente della Pattuglia non gli badò. Quando alla fine se ne andò, cinque minuti dopo, io domandai: — Sono tutti così?
Protopopolos rispose: — Questo era uno dei raffinati. Gli altri sono quasi tutti peggio.
XIX
Mi mandarono a letto con un corso ipnopedagogico di greco bizantino; e quando mi svegliai non solo sapevo ordinare un pasto, acquistare una tunica e sedurre una vergine in dialetto bizantino, ma conoscevo alcune frasi che avrebbero fatto staccare dal muro, per la vergogna, i mosaici di Haghia Sophia. Non avevo conosciuto l’esistenza di quelle frasi neanche quand’ero studente laureato a Harvard, Yale, e Princeton. Ottima cosa, l’ipnopedagogia.
Non ero ancora pronto a uscire da solo come Corriere. Protopopolos, che quel mese era di turno come organizzatore, mi abbinò a Capistrano per la prima sortita. Se tutto filava liscio, dopo qualche settimana avrei dovuto andare da solo.
La rotta di Bisanzio, che è una delle più apprezzate tra quelle offerte dal Servizio temporale, è abbastanza standard. Ogni comitiva viene condotta ad assistere all’incoronazione di un imperatore, a una corsa di carri all’ippodromo, all’inaugurazione di Haghia Sophia, al sacco della città durante la quarta Crociata, e alla conquista da parte dei turchi. Per un giro del genere si resta su per la linea una settimana. La visita di quattordici giorni comprende tutto questo più l’arrivo della prima Crociata a Costantinopoli, i tumulti del 532, un matrimonio imperiale, e un paio di eventi di minore importanza. Il Corriere può scegliere tra le incoronazioni, gli imperatori e le corse dei carri che preferisce; l’idea fondamentale è di evitare di contribuire al paradosso cumulativo affollando un dato evento con troppi turisti. Si visitano quasi tutti i periodi principali tra Giustiniano e i turchi, anche se ci consigliano di evitare gli anni dei terremoti peggiori e ci proibiscono (pena la cancellazione a opera della Pattuglia temporale) di entrare negli anni della peste bubbonica dal 745 al 747.
L’ultima notte nel tempo attuale ero così agitato che non riuscivo a dormire. Un po’ ero teso per il timore di commettere qualche sfondone nel mio primo incarico come Corriere: è una grossa responsabilità, anche se si è in compagnia di un collega, e avevo paura di combinare qualche terribile errore. Il pensiero di dover essere salvato dalla Pattuglia temporale mi sconvolgeva. Che umiliazione!
Ma ero preoccupato soprattutto per Costantinopoli. Avrebbe corrisposto al mio sogno? O mi avrebbe deluso? Per tutta la vita avevo accarezzato un’immagine di quell’aurea e splendente città del passato: e adesso, in procinto di raggiungerla su per la linea, tremavo.