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Mi precipitai alla più vicina cabina pubblica, premetti il pollice sulla piastra e chiamai Sam.

— Non è al numero di casa ~ rispose il terminale delle informazioni. — Dobbiamo rintracciarlo?

— Sì, grazie — dissi automaticamente.

Dopo un momento mi diedi uno schiaffo. Che stupido. Certo che non può essere in casa, idiota! È su per la linea, nel 1559!

Ma la rete generale delle comunicazioni aveva già cominciato a cercarlo. Invece di fare la cosa più logica, cioè riattaccare, restai lì come un cretino ad aspettare l’inevitabile annuncio che Sam era irreperibile.

Trascorsero quasi tre minuti. Poi la blanda voce del terminale disse: — Abbiamo rintracciato a Nairobi la persona chiamata, che è in attesa di parlare con lei. Prego comunicare se intende proseguire.

— Certo — dissi, e il volto d’ebano di Sam riempì lo schermo.

— Qualche guaio, figliolo? — domandò.

— Cosa ci fai, a Nairobi? — urlai.

— Una breve vacanza tra la mia gente. Non dovrei essere qui?

— Senti: io sono in licenza tra due missioni, e sono appena stato su per la linea nell’Istanbul del 1559, e ti ho incontrato là.

— E allora?

— Come fai a essere là, se sei a Nairobi?

— Nello stesso modo in cui possono esserci venti esemplari del tuo istruttore arabo a guardare i romani che inchiodano Gesù alla croce — disse Sam. — Cribbio, amico, quando imparerai a pensare in quattro dimensioni?

— Dunque c’è un altro te stesso su per la linea nel 1559?

— Sicuro, pasticcione! Lui è là e io sono qui! — Sam rise. — Una cosetta del genere non dovrebbe sconvolgerti, amico. Adesso sei un Corriere, ricordi?

— Aspetta. Aspetta. Ecco cos’è successo. Sono entrato nel bazar coperto, vedi, e tu eri là, in abiti moreschi, e io ho gridato e ti sono corso incontro per salutarti. E tu non mi hai riconosciuto, Sam! Hai cominciato a roteare la scimitarra e a imprecare, e mi hai detto in inglese di andarmene e…

— Be’, amico, non sai che è contro i regolamenti parlare con altri viaggiatori nel tempo quando sei su per la linea? A meno che tu parta dallo stesso tempo attuale, devi ignorare l’altro anche se lo riconosci. È vietato fraternizzare perché…

— Già, sicuro: ma ero io, Sam. Non credevo che tirassi fuori i regolamenti anche per me. Non mi hai neppure riconosciuto!

— È ovvio. Ma perché sei tanto sconvolto, figliolo?

— Era come se tu avessi l’amnesia. Mi hai spaventato.

— Ma non potevo riconoscerti.

— Cosa stai dicendo?

Sam cominciò a ridere. — Il paradosso della discontinuità! Non dirmi che non te l’hanno mai insegnato!

— Mi hanno detto qualcosa, ma non ho mai fatto molto caso a quella roba.

— Be’, facci caso adesso. Sai in che anno ho fatto quel viaggio a Istanbul?

— No.

— E stato nel 2056 o ’55, più o meno. E ti ho conosciuto solo tre o quattro anni dopo: questa primavera, cioè. Quindi il Sam che hai incontrato nel 1559 non ti aveva mai visto. La discontinuità, capisci? Tu operavi partendo da una base in tempo attuale del 2059 e io da una base del 2055, e perciò io non ti conoscevo ma per te non ero uno sconosciuto. È una delle ragioni per cui i Corrieri non devono parlare con gli amici che incontrano casualmente su per la linea.

Cominciavo a capire.

— Comincio a capire — dissi.

— Per me — disse Sam, — eri un novellino un po’ tonto che cercava di combinare un guaio, o magari un provocatore della Pattuglia temporale. Non ti conoscevo e volevo stare alla larga da te. Adesso che ci penso, ricordo che quella volta mi era capitato qualcosa del genere. Qualcuno arrivato da giù per la linea che mi scocciava nel bazar. Strano, però, che non l’abbia mai collegato con te!

— Portavo la barba finta, su per la linea.

— Dev’essere stato per questo. Be’, senti, adesso hai le idee chiare?

— Il paradosso della discontinuità, Sam. Sicuro.

— Ti ricorderai di stare alla larga dai vecchi amici, quando sei su per la linea?

— Puoi scommetterci. Cristo, Sam, mi hai veramente terrorizzato con quella scimitarra!

— E per il resto, com’è andata?

— Splendidamente — risposi. — È veramente splendido.

— Attento ai paradossi, figliolo — disse Sam, e mi buttò un bacio.

Molto più sollevato, uscii dalla cabina e andai su per la linea fino al 1550, per assistere alla costruzione della moschea di Solimano il Magnifico.

XXIV

Themistoklis Metaxas era il Corriere del mio secondo giro temporale a Bisanzio.

Appena lo conobbi sentii che quell’uomo avrebbe avuto un ruolo importantissimo nel mio destino, e non mi sbagliavo.

Metaxas era piccolissimo, forse un metro e cinquanta. La testa era triangolare, piatta in alto e col mento appuntito. I capelli, fitti e ricciuti, cominciavano a diventare grigi. Calcolai che fosse sulla cinquantina. Aveva occhietti scuri e lucidi, sopracciglia folte, e un gran naso aguzzo. Teneva le labbra contratte verso l’interno, tanto da dare l’impressione che ne fosse privo. Non aveva addosso un filo di grasso. Era straordinariamente forte. La voce era bassa e magnetica.

Metaxas possedeva carisma. O dovrei dire chutzpah?

Un po’ dell’uno e un po’ dell’altro, credo. Per lui l’intero universo orbitava intorno a Themistoklis Metaxas; i soli erano nati soltanto per spandere luce su Themistoklis Metaxas; l’effetto Benchley era stato inventato esclusivamente per consentire a Themistoklis Metaxas di viaggiare nel tempo. Se mai fosse morto, il cosmo si sarebbe disgregato.

Era stato uno dei primi Corrieri temporali a entrare in servizio, oltre quindici anni prima. Se la cosa gli fosse stata a cuore avrebbe potuto essere ormai a capo dell’intero Servizio Corrieri, con un plotone di segretarie piccanti e senza la necessità di combattere con le pulci della vecchia Bisanzio. Però, per sua libera scelta, era rimasto un Corriere in servizio attivo, e non faceva altro che la rotta di Bisanzio. Si considerava in pratica cittadino bizantino e trascorreva là anche le licenze, in una villa che aveva acquistato nei sobborghi all’inizio del secolo dodicesimo.

A tempo perso si occupava di una quantità di traffici illegali su piccola e grande scala, che si sarebbero interrotti se avesse rinunciato a fare il Corriere: ecco perché non si ritirava. La Pattuglia temporale aveva terrore di lui e gli lasciava fare tutto quel che voleva. Naturalmente Metaxas aveva il buonsenso di non pasticciare col passato in modo da causare gravi cambiamenti nel tempo attuale; ma a parte questo, le sue attività su per la linea erano completamente disinibite.

La prima volta che gli parlai mi disse: — Non puoi affermare di aver vissuto veramente se non hai portato a letto una delle tue antenate.

XXV

Era una comitiva numerosa: dodici turisti, Metaxas, e io. Aggiungevano sempre qualche turista in più, nei suoi giri, perché era un Corriere eccezionale e richiestissimo. Mi accodai come assistente, facendo esperienza in vista del mio primo viaggio da solo che sarebbe avvenuto la volta successiva.

La nostra dozzina era costituita da tre giovani e graziose ragazze sole, studentesse di Princeton che facevano il giro di Bisanzio a spese dei rispettivi genitori, i quali ci tenevano che imparassero qualcosa; due delle solite coppie benestanti di mezza età, una di Indianapolis e una di Milano; due arredatori abbastanza giovani, maschio e frodo, di Beirut; un manipolatore di reazioni di New York, da poco divorziato, sui quarantacinque e affamato di donne; un insegnante delle superiori di Milwaukee, piccoletto e con la faccia tonda, che voleva arricchire la propria cultura, e sua moglie; insomma, il solito assortimento.