— Perfino i pompieri si danno al saccheggio — ci gridò. — E guardate: gli Azzurri incendiano le case dei Verdi, e i Verdi incendiano quelle degli Azzurri!
Era in atto un esodo immane: atterriti, i cittadini si riversavano sui moli e supplicavano i barcaioli di traghettarli sulla sponda asiatica. Indenni, invulnerabili, passammo in mezzo all’olocausto, guardando le mura di Haghia Sophia che crollavano, scrutando le fiamme che devastavano il Grande Palazzo, osservando il comportamento dei saccheggiatori e degli incendiari e degli stupratori che si soffermavano nei vicoli illuminati dagli incendi per scopare qualche nobildonna urlante, vestita di seta e piena di vigore proletario.
Metaxas, con straordinaria abilità, ci fece assistere a una ghiotta selezione dei tumulti: aveva calcolato i tempi decine di visite prima, e sapeva esattamente quali scene salienti doveva mostrarci.
— Ora ci smistiamo in avanti di sei ore e quaranta minuti — diceva.
— Ora facciamo un balzo di tre ore e otto minuti.
— Ora facciamo un balzo di un’ora e mezzo.
— Ora facciamo un balzo di due giorni.
Vedemmo tutto ciò che c’era d’importante. Mentre la città era ancora in fiamme, Giustiniano mandò in giro vescovi e sacerdoti con le sacre reliquie: un pezzo della Vera Croce, la verga di Mosè, un corno dell’ariete di Abramo, le ossa dei martiri. Gli ecclesiastici, spaventati, sfilarono coraggiosamente, invocando un miracolo: ma non ci furono miracoli, bensì soltanto cascate di mattoni e di pietre. Un generale guidava quaranta guardie a proteggere i religiosi. — È il famoso Belisario — disse Metaxas.
Arrivarono i messaggi dell’imperatore, che annunciavano la deposizione dei funzionari impopolari: ma le chiese furono saccheggiate, la biblioteca imperiale venne data alle fiamme, i bagni di Zeuxippo furono distrutti.
Il 18 gennaio, Giustiniano ebbe il coraggio di apparire pubblicamente nell’ippodromo per invocare la pace. I Verdi lo fischiarono, e lui fuggi mentre cominciavano a volare le pietre. Vedemmo un principe di nome Ipazio, una nullità, proclamato imperatore dai ribelli nella Piazza di Costantino; vedemmo il generale Belisario marciare attraverso la città fumante in difesa di Giustiniano; vedemmo il massacro degli insorti.
Vedemmo tutto. Compresi perché Metaxas era il Corriere più richiesto. Capistrano aveva fatto del proprio meglio per offrire alla comitiva uno spettacolo emozionante, ma aveva sprecato troppo tempo nelle fasi iniziali. Metaxas, balzando brillantemente oltre le ore e i giorni, ci rivelò l’intera catastrofe e ci portò finalmente al mattino in cui venne ristabilito l’ordine e Giustiniano attraversò sconvolto le rovine carbonizzate di Costantinopoli. Nell’aurora rosseggiante vedemmo le nubi di cenere che volteggiavano ancora nell’aria. Giustiniano fissò il guscio annerito di Haghia Sophia, e noi fissammo Giustiniano.
Metaxas disse: — Ora sta progettando la nuova cattedrale. Ne farà la chiesa più grande dopo il tempio di Salomone a Gerusalemme. Venite: abbiamo visto anche troppe distruzioni. Ora vedremo nascere la bellezza. Giù per la linea, signori! Cinque anni e dieci mesi giù per la linea, ed ecco Haghia Sophia!
XXVII
— Alla tua prossima licenza — disse Metaxas, — vieni a trovarmi nella mia villa.
Io vivo là, nel 1105. È un periodo ottimo, per stare a Bisanzio: regna Alessio Comneno, e regna con saggezza. Ti farò trovare una ragazza ardente e vino in abbondanza. Verrai?
Io ero perduto nell’ammirazione per quell’ometto dal volto aguzzo. La nostra visita si avvicinava alla fine, e mancava solo la conquista turca: e lui mi aveva rivelato, in un modo che mi aveva lasciato sconvolto, la differenza tra un Corriere ispirato e uno soltanto efficiente.
Solo un’intera vita dedicata alla missione poteva produrre simili risultati, poteva portare a uno spettacolo di quel genere.
Metaxas non si era limitato a condurci agli eventi salienti tradizionali. Ci aveva mostrato una quantità di avvenimenti minori, portandoci per un’ora qui, per due ore là, creando per noi uno splendido mosaico della storia bizantina al cui confronto impallidiva il lustro dei mosaici di Haghia Sophia. Altri Corrieri facevano sì e no una decina di soste: Metaxas ne fece più di cinquanta.
Aveva una particolare predilezione per gli imperatori sciocchi. Avevamo ascoltato un discorso di Michele II il Balbuziente, e avevamo osservato le pazzie di Michele III l’Ubriacone, e avevamo assistito al battesimo di Costantino V, che aveva avuto la sfortuna di sporcare il sacro fonte e che per tutta la vita era stato chiamato Costantino Copronimo. Metaxas si trovava perfettamente a proprio agio a Bisanzio, in ognuno di quei mille anni. Tranquillo, disinvolto, girava a suo piacimento su e giù per le epoche.
La sua villa era una prova della sua sicurezza e della sua audacia. Nessun altro Corriere aveva mai osato crearsi una seconda identità su per la linea, trascorrendo tutte le vacanze come cittadino del passato. Metaxas dirigeva la sua proprietà in base al tempo attuale: quando doveva lasciarla per due settimane, per guidare una visita, vi ritornava due settimane dopo la partenza. Non si sovrapponeva mai a se stesso, non vi andava mai quando era già nella residenza: un solo Metaxas poteva usarla, ed era il Metaxas del tempo attuale. Aveva acquistato la villa dieci anni prima, secondo il suo duplice tempo attuale: 2049 giù per la linea, 1095 a Bisanzio. Aveva mantenuto quella base con estrema precisione: per lui, erano passati dieci anni in entrambi i posti. Gli promisi di fargli visita nel 1105. Sarebbe stato un onore, dissi.
Metaxas sorrise ironicamente e replicò: — E quando verrai ti presenterò alla mia bis-bis-multi-bis-bisnonna. A letto è straordinaria. Ricordi quello che ti ho detto a proposito dell’idea di scopare una propria antenata? Non c’è nulla di meglio!
Ero sbigottito. — Lei sa chi sei?
Non dire sciocchezze — fece Metaxas. — Credi che infrangerei la prima regola del Servizio temporale? Che lascerei capire a qualcuno, su per la linea, che sono venuto dal futuro? Lo credi possibile? Perfino Themistoklis Metaxas ubbidisce a quella regola!
Come il cupo Capistrano, Metaxas aveva dedicato molto tempo alla ricerca dei propri antenati. Ma i suoi moventi erano del tutto diversi. Capistrano era intento a tramare un complicato suicidio, ma Metaxas era ossessionato dall’incesto transtemporale.
— Non è rischioso? — domandai.
— Basta che tu prenda le pillole e sei al sicuro, e lo è anche lei.
— Voglio dire, la Pattuglia temporale…
— Fa’ in modo che non ti scopra replicò Metaxas. — Così non è rischioso.
— Se per caso la metti incinta, potresti diventare l’antenato di te stesso.
— Impossibile — disse Metaxas.
— Ma…
— Nessuno mette più incinta una donna per caso, ragazzo. Naturalmente — aggiunse, — può darsi che un giorno mi venga voglia di farlo apposta.
Sentii i venti del tempo soffiare furiosi. Dissi: — È un discorso da anarchico!
— Da nichilista, per essere esatti. Guarda, Jud, guarda questo volume. Ho elencato tutti i miei antenati, a centinaia, dal secolo diciannovesimo fino al decimo. Nessun altro al mondo ha un albero genealogico simile, tranne forse qualche ex re o ex regina, e neppure loro l’hanno così completo.
— C’è Capistrano — dissi io.
— Lui è risalito solo fino al secolo quattordicesimo! Comunque è picchiato in testa. Sai perché ricostruisce la sua genealogia?
— Sì.
— Abbastanza morboso, no?
— Sì — dissi. — Ma spiegami, perché ci tieni tanto ad andare a letto con le tue antenate?
— Vuoi proprio saperlo?
— Certo.
Metaxas disse: — Mio padre era un uomo freddo, odioso. Picchiava i figli ogni mattina, prima di colazione, per tenersi in esercizio. Anche suo padre era un uomo freddo e odioso. Costringeva i figli a vivere come schiavi. E il padre di questo… Io provengo da una lunga successione di maschi tirannici, autoritari, dittatoriali. Li disprezzo tutti. È la mia forma di rivolta contro l’immagine paterna. Vado nel passato e seduco le mogli e le sorelle e le figlie di questi uomini che odio. Così sgonfio la loro gelida presunzione.