— In questo caso, per essere del tutto coerente, dovresti aver cominciato… con tua madre…
— Mi sono posto un limite alle abominazioni — disse Metaxas.
— Capisco.
— Ma mia nonna sì! O diverse bisnonne! E avanti e avanti e avanti! — Gli brillavano gli occhi. Per lui era una missione divina. — Ho già scopato per venti o trenta generazioni, e continuerò per altre trenta! — Rise con quella sua risata stridula, satanica. Inoltre — aggiunse, — le belle donne mi piacciono quanto a chiunque altro.
Gli altri seducono a casaccio: Metaxas lo fa sistematicamente! Conferisce significato e struttura alla mia vita. Questo t’interessa, eh?
— Ecco…
— Quello che faccio io, è la gioia più intensa della vita. — Immaginai una fila di donne nude che giacevano a fianco a fianco, all’infinito. Ognuna aveva il volto aguzzo e i lineamenti affilati di Themistoklis Metaxas. E Metaxas si muoveva pazientemente lungo la fila, soffermandosi per scopare questa, e la successiva, e la successiva ancora, e in quel modo instancabile procedeva su per la linea fino a quando le donne a gambe aperte diventavano pelose, con il mento sfuggente, le donne del Pithecanthropus erectus, e là c’era Metaxas erectus che continuava a sbatterle fino all’inizio del tempo. Bravo, Metaxas, bravo!
— Perché non provi anche tu, qualche volta? — mi domandò.
— Ecco…
— Mi dicono che sei di discendenza greca.
— Sì, per parte di madre.
— Allora probabilmente i tuoi antenati sono vissuti proprio qui a Costantinopoli.
Nessun greco che valga qualcosa accetterebbe di vivere in Grecia, in quest’epoca. In questa momento preciso, una tua affascinante antenata si trova proprio in questa città!
— Ecco…
— Trovala! — esclamò Metaxas. — Scopala! È la felicità! È l’estasi! Sfida lo spazio e il tempo! Caccia un dito nell’occhio di Dio!
— Non sono sicuro di volerlo fare — dissi. Però lo feci.
XXVIII
Come ho detto, Metaxas trasformò la mia vita. Cambiò il mio destino in molti modi, non tutti positivi. Ma una delle cose positive che fece per me fu di darmi sicurezza. Il suo carisma e il suo chutzpah mi si appiccicarono addosso. Imparai da lui l’arroganza.
Fino a quel momento ero stato un giovanotto modesto e discreto, almeno quando ero in compagnia dei miei maggiori. Soprattutto nel Servizio temporale ero stato delicato e candido. Mi ero stillato parecchio il cervello, e senza dubbio ne ero uscito ancor più ingenuo. Mi comportavo così perché ero giovane e avevo molto da imparare: non solo su me stesso, il che capita a tutti, ma anche sul funzionamento del Servizio temporale. Fino allora avevo conosciuto parecchi uomini che erano più anziani e intelligenti e furbi e corrotti di me, e li avevo trattati con deferenza: Sam, Dajani, Jeff Monroe, Sid Buonocore, Capistrano. Ma adesso ero con Metaxas, il quale era il più anziano e intelligente e furbo e corrotto di tutti; e lui mi lanciò, per cui smisi di orbitare intorno agli altri e mi avventurai in una traiettoria tutta mia.
In seguito scoprii che questa era una delle funzioni di Metaxas nel Servizio temporale. Si assume in carico giovani Corrieri novellini, e trasfonde in loro la spavalderia di cui hanno bisogno per diventare operatori di successo.
Quando ritornai dal mio giro con Metaxas non temevo più la prima uscita da solo come Corriere. Ero pronto. Metaxas mi aveva mostrato che un Corriere può essere una specie di artista che costruisce un ritratto del passato per i suoi clienti; ed era proprio ciò che volevo diventare. I rischi e le responsabilità non mi turbavano più.
Protopopolos disse: — Quando tornerai dalla licenza, guiderai sei persone nel giro da una settimana.
— Salto la licenza! Sono pronto a partire anche adesso!
— Be’, non lo sono i tuoi turisti. Comunque la legge stabilisce che devi riposare tra un viaggio e l’altro. Quindi riposati. Ci vediamo qui fra due settimane, Jud.
Così andai in vacanza, contro la mia volontà. Ero tentato di accettare l’invito di Metaxas e di andare alla sua villa nel 1105, ma poi pensai che per un po’ avesse avuto abbastanza della mia compagnia. Mi baloccai con l’idea di accodarmi a una gita temporale a Hastings o a Waterloo; o addirittura alla Crocefissione, per contare i Dajani. Ma superai anche questo. Ora che ero in procinto di guidare io stesso una visita non volevo essere guidato da qualcun altro, almeno per il momento. Avevo bisogno di essere più saldo nella mia nuova sicurezza, prima di ricadere sotto il predominio di un altro Corriere.
Bighellonai nell’Istanbul del tempo attuale per tre giorni, senza far niente di speciale. Mi trattenni soprattutto nel quartier generale del Servizio, giocando a scacchi stocastici con Kolettis e Melamed che in quel periodo erano anche loro in licenza. Il quarto giorno saltai su un mezzo locale per Atene. Non compresi perché ci andavo se non quando arrivai.
Ero sull’Acropoli quando scoprii qual era la mia missione. Vagavo tra i ruderi, tenendo a bada i venditori di diapositive olografiche e i ciceroni, quando un globo pubblicitario aleggiò verso di me. Si soffermò a un metro di distanza, all’altezza degli occhi, irradiando un guizzante bagliore verde che aveva lo scopo di attrarre la mia attenzione, e disse: — Buon pomeriggio. Ci auguriamo che la visita all’Atene del ventunesimo secolo le piaccia. Ora che ha visto i ruderi pittoreschi, le piacerebbe vedere il Partenone com’era realmente? Vedere la Grecia di Socrate e Aristofane?
L’ufficio locale del Servizio temporale è in via Aeolou, proprio di fronte alla Posta centrale, e…
Mezz’ora dopo entrai nel quartier generale di via Aeolou, mi feci riconoscere come Corriere in ferie e mi abbigliai per un balzo su per la linea.
Ma non per la Grecia di Socrate e Aristofane.
Ero diretto verso la Grecia del prosaico anno 1997, quando Konstantinos Passilidis era stato eletto sindaco di Sparta.
Konstantinos Passilidis era il padre di mia madre. Stavo per cominciare la ricerca del mio seme ancestrale.
Vestito degli abiti inamidati e fastidiosi della fine del secolo ventesimo, e con le tasche piene di fruscianti e colorate banconote fuori corso, balzai indietro di sessant’anni e presi la prima navetta per Sparta. Il servizio di navetta era una novità in Grecia nel 1997, e io vissi nel terrore mortale di un incidente per tutto il tragitto; ma l’allineamento resse e io sbarcai a Sparta tutto intero.
Sparta era straordinariamente orribile.
La Sparta attuale, naturalmente, non è una discendente diretta dell’antica città-stato militarista che causò tanti guai ad Atene. Quella Sparta era tramontata gradualmente, ed era completamente svanita in epoca medioevale. La Sparta nuova era stata fondata all’inizio del secolo XIX, sul sito dell’antica. Ai tempi di nonno Passilidis era una città di circa 80 mila abitanti, cresciuta rapidamente dopo l’installazione (intorno al 1980) della prima centrale elettrica greca a fusione.
Era formata da centinaia di palazzoni identici, tutti grigi, disposti in file perfettamente diritte. Ognuno era alto dieci piani, ornato a ogni piano da balconi giallo-limone, ed era affascinante più o meno quanto un carcere. A un’estremità di quella città-caserma sorgeva la cupola lucente della centrale elettrica; all’altra c’era un quartiere di taverne, banche, e uffici municipali. Era incantevole, se vi piace la brutalità.