Ostinatamente, ripetei la solita lezione di orientamento.
— Il vecchio spirito crociato rinasce — dissi, rivolgendo una smorfia a Bilbo che stava brancicando di nuovo la Pistil e un’altra smorfia a Sauerabend che stava sognando visibilmente i minuscoli seni di Palmyra Gostaman. — Gerusalemme, che i crociati hanno conquistato un secolo fa, è stata ripresa dai saraceni, ma varie dinastie di crociati controllano ancora gran parte della costa mediterranea della Terrasanta.
Adesso gli arabi sono in lotta tra loro, e dal 1199 papa Innocenzo III invoca una nuova Crociata.
Spiegai in che modo i vari baroni avevano risposto all’appello papale.
Dissi che i crociati non se la sentivano di compiere il tradizionale viaggio per via di terra attraverso tutta l’Europa e l’Asia Minore, fino alla Siria. Dissi che preferivano andare per mare, sbarcando in uno dei porti della Palestina.
Spiegai che nel 1202 si erano rivolti a Venezia, la principale potenza marinara europea di quel tempo, per ottenere i mezzi di trasporto.
Descrissi le condizioni poste dal vecchio e astuto doge Enrico Dandolo per fornire le navi.
— Dandolo — dissi, — si era impegnato a trasportare 4500 cavalieri con i rispettivi cavalli, 9000 scudieri e 20 mila fanti, oltre alle provviste per nove mesi. Si era offerto di aggiungere cinquanta galee armate per scortare il convoglio. Per questi servizi aveva chiesto 85 mila marchi d’argento, all’incirca venti milioni di dollari nella nostra moneta. Più metà di tutti i territori e i tesori che i crociati avrebbero conquistato in combattimento.
Dissi che i crociati avevano accettato l’altissimo prezzo, con l’intenzione di frodare il vecchio doge cieco.
Dissi che il vecchio doge cieco, quando si era trovato i crociati in sosta forzata a Venezia, li aveva presi per il collo costringendoli a pagare il dovuto fino all’ultimo marco.
Dissi che quel venerabile mostro aveva assunto il comando della Crociata ed era partito a capo della flotta il lunedì di Pasqua del 1203… dirigendosi non verso la Terrasanta bensì verso Costantinopoli.
— Bisanzio — dissi, — è la grande rivale marittima di Venezia. A Dandolo non importa un accidente di Gerusalemme, ma gli interessa moltissimo impadronirsi di Costantinopoli.
Spiegai la situazione dinastica. La dinastia dei Comneni era finita male. Quando nel 1180 morì Manuele II, il successore era suo figlio, il giovane Alessio II, che poco dopo venne assassinato dall’amorale cugino del padre, Andronico. Andronico, elegante e depravato, venne ucciso a sua volta in modo particolarmente orribile dalla folla inferocita, dopo aver governato duramente per pochi anni, e nel 1185 era salito al trono Isacco Angelo, un vecchio e rimbecillito nipote di Alessio I per parte femminile. Isacco regnò per dieci anni; poi fu detronizzato, accecato e imprigionato da suo fratello, che divenne l’imperatore Alessio III.
— Alessio III regna ancora — dissi, — e Isacco Angelo è ancora in carcere. Ma il figlio di Isacco, che si chiama anche lui Alessio, è fuggito e si trova a Venezia. Ha promesso a Dandolo somme enormi se gli rimetterà sul trono il padre. E così Dandolo viene a Costantinopoli per rovesciare Alessio III e fare di Isacco un imperatore fantoccio.
I miei turisti non erano in grado di seguire queste complicazioni. Non me ne curavo: avrebbero capito via via che si svolgevano gli eventi.
Mostrai loro l’arrivo a Costantinopoli della quarta Crociata, alla fine di giugno del 1203. Mostrai loro Dandolo che dirigeva la presa di Scutari, il sobborgo di Costantinopoli sulla sponda asiatica del Bosforo. Feci osservare che l’entrata del porto era difesa da una grande torre e da venti galee bizantine, e bloccata da un’enorme catena di ferro. Richiamai la loro attenzione sulla scena in cui i marinai veneziani abbordavano e catturavano le galee bizantine mentre una delle navi di Dandolo, munita di mostruose cesoie d’acciaio, tagliava la catena e apriva il Corno d’Oro agli invasori. Feci loro vedere il sovrumano Dandolo, novantenne, che guidava gli assalitori oltre i bastioni di Costantinopoli. — Mai prima d’ora — dissi, — questa città ha subito l’onta di un’invasione.
Da lontano, confusi tra la folla acclamante, vedemmo Dandolo condurre Isacco Angelo fuori dalla segreta e proclamarlo imperatore di Bisanzio, incoronando co-imperatore il figlio Alessio IV.
— A questo punto — dissi, — Alessio IV invita i Crociati a svernare a Costantinopoli a sue spese, per preparare l’attacco contro la Terrasanta. È un’offerta avventata, e segna la sua condanna.
Ci smistammo giù per la linea, alla primavera del 1204.
— Alessio IV — proseguii, — si è accorto che ospitare migliaia di crociati significa mandare in malora Bisanzio. Annuncia a Dandolo di essere rimasto senza denaro: d’ora in poi non si addosserà più le spese. Ha inizio una disputa furiosa. Nel frattempo, in città scoppia un incendio. Nessuno sa chi l'abbia causato, ma Alessio sospetta dei veneziani. Fa incendiare sette navi decrepite e le manda alla deriva nel bel mezzo della flotta veneziana. Guardate.
Vedemmo l’incendio. Vedemmo i veneziani che con i grappini di abbordaggio allontanavano dalle loro navi gli scafi fiammeggianti. Vedemmo un’improvvisa rivolta divampare a Costantinopoli: i bizantini accusavano Alessio IV di essere uno strumento dei veneziani e lo mettevano a morte. — Il vecchio Isacco Angelo muore dopo pochi giorni — dissi. — I bizantini scovano il genero dell’imperatore estromesso, Alessio III, e lo mettono sul trono col nome di Alessio V. Questo genero fa parte della famosa famiglia Dücas. Dandolo ha perso i suoi due imperatori fantoccio, ed è furioso. I veneziani e i crociati decidono d’impadronirsi di Costantinopoli e di governarla in proprio.
Ancora una volta condussi un branco di turisti fra scene di battaglia: l’8 aprile, giorno d’inizio dei combattimenti. Incendi, massacri, stupri, Alessio V in fuga, gli invasori che saccheggiano la città. 13 aprile, in Haghia Sophia: i crociati demoliscono gli stalli del coro con le dodici colonne d’argento, fanno a pezzi l’altare e s’impossessano di quaranta calici e di decine di candelabri d’argento. Rubano il Vangelo e le croci e la tovaglia dell’altare e quaranta turiboli d’oro puro. Bonifacio di Montferrat, capo della Crociata, s’impadronisce del palazzo imperiale. Dandolo prende i quattro grandi cavalli bronzei che l’imperatore Costantino aveva portato novecento anni prima dall’Egitto: se li porterà a Venezia e li piazzerà sopra l’entrata della cattedrale di San Marco, dove stanno ancora adesso. I sacerdoti dei crociati vanno a caccia di reliquie: due frammenti della Vera Croce, la punta della Sacra Lancia, i chiodi della Croce, e altri oggetti venerati da molto tempo dai bizantini.
Dalle scene del saccheggio balzammo a metà maggio.
— Sta per essere eletto un nuovo imperatore di Bisanzio — dissi. — Non sarà un bizantino. Sarà un occidentale, un franco, un latino. I conquistatori hanno scelto il conte Baldovino di Fiandra. Vedremo ora il corteo dell’incoronazione.
Attendemmo all’esterno di Haghia Sophia. All’interno, Baldovino di Fiandra sta indossando un mantello tempestato di gemme e ricamato a figure di aquile: riceve lo scettro e un globo d’oro; s’inginocchia davanti all’altare e viene consacrato con l’unzione; viene incoronato; ascende sul trono.
— Eccolo — dissi.
Su un cavallo bianco, abbigliato di stoffe scintillanti che sfolgorano come fiamme, l’imperatore Baldovino di Bisanzio esce dalla cattedrale e si dirige verso il palazzo.
Malvolentieri, il popolo di Bisanzio rende omaggio al padrone straniero.
— I nobili sono fuggiti quasi tutti — dissi ai miei turisti, che non vedevano l’ora di ammirare altre battaglie e altri incendi. — L’aristocrazia si è dispersa in Asia Minore, in Albania, in Bulgaria, in Grecia. Per cinquantasette anni qui domineranno i latini, anche se il regno di Baldovino sarà breve. Tra dieci mesi guiderà un esercito contro i ribelli bizantini, verrà catturato da loro e non tornerà più. Chrystal Haggins domandò: