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C’incontreremo, Jud, e conosceremo spesso il piacere insieme, e… — Gli occhi scuri balenarono. — E forse mi darai un figlio.

Sentii i cieli squarciarsi e tempestarmi di folgori.

— Cinque anni di matrimonio e non ho figli — proseguì Pulcheria. — Non capisco. Forse ero troppo giovane, all’inizio: ero così giovane… Ma adesso, niente.

Niente. Dammi un figlio, Jud. Leone te ne ringrazierà… voglio dire: ne sarà felice, lo crederà suo… Tu hai qualcosa dei Dücas, forse negli occhi: non ci saranno guai. Pensi che abbiamo fatto un figlio, stanotte?

— No — dissi.

— No? Come puoi esserne sicuro?

— Lo so — risposi. Accarezzai la sua pelle serica. Ma lasciami venti giorni senza la pillola e potrei seminare in te figli in abbondanza. E aggrovigliare il tessuto del tempo in modo inestricabile. Bis-bis-multi-bisnonno di me stesso? Sono il seme del mio seme? Il tempo si è incurvato su se stesso per produrmi? No. Non era possibile: avrei dato a Pulcheria la passione, non la maternità. — E l’aurora — sussurrai.

— Farai bene ad andartene. Dove posso mandarti messaggi?

— A casa di Metaxas.

— Bene. C’incontreremo ancora tra due giorni, sì? Penserò io a tutto.

— Sarò tuo tutte le volte che vorrai.

— Fra due giorni. Ma adesso vai. Ti accompagnerò all’uscita.

— Troppo rischioso. I servitori saranno già alzati. Va’ nella tua stanza, Pulcheria.

Posso uscire da solo.

— Ma… impossibile…

— Conosco la strada.

— Davvero?

— Lo giuro — dissi.

Dovetti insistere, ma alla fine la convinsi a risparmiarsi il rischio di farmi uscire dal palazzo. Ci baciammo ancora, e lei indossò la vestaglia, e io la presi per un braccio e l’attirai a me, e la lasciai andare, e lei uscì. Contai sessanta secondi. Poi regolai il mio timer e balzai sei ore su per la linea. La festa era in pieno svolgimento.

Attraversai tranquillamente il palazzo, evitando la sala dove il precedente me stesso — non ancora ammesso allo splendido corpo di Pulcheria — parlava con l’imperatore Alessio. Lasciai il palazzo dei Dücas, inosservato. Fuori, nel buio, accanto alle mura lungo il Corno d’Oro, regolai di nuovo il timer e mi smistai giù per la linea, fino al 1204. Mi affrettai a rientrare nella locanda dove avevo lasciato i miei turisti addormentati. Vi arrivai meno di tre minuti dopo la mia partenza per l’epoca di Pulcheria… e mi pareva che fossero trascorsi parecchi giorni.

Tutto bene. Avevo vissuto la mia notte incandescente di passione, la mia anima era purificata dalle bramosie, ed eccomi lì, ritornato al mio lavoro, e nessuno ne sapeva niente. Controllai i letti.

I coniugi Haggins: sì.

I coniugi Gostaman: sì.

La Pistil e Bilbo: sì.

Palmyra Gostaman: sì.

Conrad Sauerabend: sì? No.

Conrad Sauerabend…

Niente Sauerabend. Sauerabend non c’era. Il suo letto era vuoto. Nei tre minuti della mia assenza, Sauerabend se l’era squagliata.

Dove?

Avvertii le prime fitte di panico.

XLIX

Calma. Calma. Non perdere la calma. È andato al pissoir, ecco tutto. Tornerà subito.

Articolo 1: un Corriere dev’essere sempre al corrente dell’ubicazione di tutti i turisti affidati alle sue cure. La punizione…

Accesi una fiaccola accostandola al fuoco agonizzante e mi precipitai nel corridoio.

Sauerabend? Sauerabend?

Non era andato a pisciare. Non era da basso a rovistare in cucina. Non era a saccheggiare la cantina.

Sauerabend?

Dove diavolo sei, porco?

Avevo ancora sulle labbra il sapore delle labbra di Pulcheria. Il suo sudore era frammisto al mio. I suoi umori inumidivano ancora i miei peli. Tutte le deliziose gioie proibite dell’incesto transtemporale continuavano a solleticare la mia anima.

La Pattuglia temporale mi cancellerà dall’esistenza, per questo, pensai. Dirò: Ho perso un turista. — E quelli diranno: Com’è andata? — E io dirò: Sono uscito dalla stanza per tre minuti ed è sparito. — E loro diranno: Tre minuti, eh? Non avresti dovuto… E io dirò: — Ma sono stati solo tre minuti. Cristo, non potete pretendere che li sorvegli ventiquattro ore al giorno! — E loro saranno comprensivi, ma dovranno verificare la scena, e scopriranno che mi sono smistato in un altro punto su per la linea, e mi rintracceranno nel 1105 e mi troveranno con Pulcheria, e vedranno che non solo sono colpevole di negligenza come Corriere ma che ho commesso incesto con la mia bis-bis-multi-bisnonna…

Calma. Calma.

Adesso giù in strada. Alza la torcia. Sauerabend? Sauerabend? Niente Sauerabend.

Se io fossi Sauerabend, dove me la sarei filata?

In casa di qualche dodicenne bizantina? E come poteva sapere dove trovarla?

Come entrare? No. No. Non poteva aver fatto questo. Dov’è, comunque? A passeggio per la città? A prendere una boccata d’aria? Dovrebbe essere a dormire. A russare.

No. Mi ricordai che quando me n’ero andato lui non dormiva: era occupato a infastidire Palmyra Gostaman. Mi riprecipitai nella locanda. Era inutile cercarlo vagando a casaccio per Costantinopoli.

In preda a un panico crescente, svegliai Palmyra. Si stropicciò gli occhi, protestò un pochino, sbatté le palpebre. La luce della torcia scintillava sul suo seno nudo e piatto.

— Dov’è andato Sauerabend? — bisbigliai con voce aspra.

— Gli ho detto di lasciarmi in pace. Gli ho detto che se non l’avesse piantata gli avrei staccato a morsi il coso. Teneva la mano proprio qui e…

— Sì ma dov’è andato?

— Non lo so. Si è alzato e se n’è andato. Era buio, qui dentro. Mi sono addormentata due minuti fa. Perché mi ha svegliata?

— Bell’aiuto che sei — borbottai. — Torna a dormire.

Calma, Judson, calma. C’è una soluzione facile. Se non fossi così agitato, ci avresti pensato prima. Basta che riporti Sauerabend in questa stanza, come hai riportato in vita Marge Hefferin.

È illegale, naturalmente. I Corrieri non devono immischiarsi in correzioni cronologiche. È un compito che spetta alla Pattuglia. Ma sarà una correzione da poco.

Puoi sbrigarti in fretta, e nessuno ne saprà niente. Ti è andata bene con la revisione della Hefferin, no? Sì sì. È la tua sola possibilità, Jud.

Mi sedetti sul bordo del mio letto e cercai di fare un piano d’ azione. La notte con Pulcheria aveva smussato il filo del mio intelletto. Pensa, Jud. Pensa come non hai mai pensato in vita tua.

M’impegnai al massimo.

Che ora era quando ti sei smistato nel 1105?

Quattordici minuti alla mezzanotte.

Che ora era quando sei tornato giù per la linea al 1204?

Undici minuti alla mezzanotte.

Che ora è adesso?

Un minuto alla mezzanotte.

Dunque, Sauerabend quando se l’è filata dalla stanza?

Tra i quattordici e gli undici minuti alla mezzanotte.

Quindi, fin dove devi smistarti su per la linea per intercettarlo?

Circa tredici minuti.

Ti rendi conto che se balzi indietro di più di tredici minuti incontrerai il precedente te stesso che si prepara a partire per il 1105? È il paradosso della duplicazione.

È un rischio che devo correre. Sono già in un guaio ben peggiore.

E allora farai bene a smistarti e a sistemare tutto.

Vado.

Calcolai alla perfezione lo smistamento, salendo su per la linea di tredici minuti meno pochi secondi. Notai con soddisfazione che il mio io precedente se n’era già andato e che Sauerabend era ancora lì. Quel brutto e grasso bastardo era ancora nella stanza, seduto sul suo letto, e mi voltava la schiena.