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Arrossii, comprendendo che lui era, in qualche modo, riuscito a origliare la mia conversazione con Masika Ivanovna; mi chiesi se avesse anche ascoltato quanto avevamo detto di papà.

Dovette percepire il mio sconforto, poiché il suo tono cambiò improvvisamente e divenne allegro.

«Andiamo, su! È tutto sistemato; lascia a me la soluzione di questa questione, e parliamo di cose più allegre. Non c’è null’altro in cui posso esserti utile? La tua cara moglie si sta riposando bene dopo gli eventi faticosi degli ultimi giorni?».

Lo slivovitz mi salì improvvisamente alla testa. Ebbi una leggera sensazione di vertigine e una vampata di calore mi corse lungo la spina dorsale per rimanere, con un senso di prurito, nei piedi. Mi rilassai un po’ e compresi che Vlad stava semplicemente cambiando argomento con rapidità, per aiutarmi a superare lo shock, per farmi pensare a qualcosa di diverso da mio padre.

«Sì», risposi più calmo, sebbene, in verità, fossi un po’ preoccupato per Mary, dato che il viaggio estenuante e lo shock della morte di papà l’avevano lasciata esausta, e quel mattino avevo avuto l’impressione che fosse turbata per qualcosa, sebbene lei lo negasse. «Ma è ancora un po’ stanca. Tutto è stato piuttosto faticoso per lei».

Vlad ascoltò con gravità.

«Se domani sarà ancora affaticata, allora procurerò che un medico venga a stare in casa», disse. «E dovrà rimanere per controllare che sia ben seguita fin dopo la nascita del bambino». Quando protestai dicendo che non gli permettevo di affrontare una spesa così grande senza il mio contributo, agitò ancora una volta la mano imperiosa e disse: «La questione è risolta. È il minimo che possa fare per il nipote di Petru, e per suo figlio».

I suoi modi erano tornati ad essere gentili e, sentendomi rassicurato, confessai:

«Prima di fare la terribile scoperta di questa sera al cimitero, venivo perché desideravo parlarti circa l’incarico di assumere il lavoro di papà».

A ciò rispose immediatamente.

«Ah, sì. Presto… quando avrai avuto la possibilità di superare questo spaventoso shock. Ma non ora: è troppo presto per parlare di affari, dal momento che hai appena dovuto sopportare un’altra grande prova».

«No», risposi con fermezza, «la distrazione mi aiuterebbe, e mi sarebbe di conforto sapere che sto obbedendo ai desideri di mio padre. Si preoccupava molto affinché tu e i tuoi affari foste oggetto delle mie cure».

Al sentire ciò, gli occhi di Vlad si appannarono.

«Ah, tuo padre aveva un nome appropriato: Petru, la roccia. Per me, fu veramente una roccia, sempre leale e affidabile, e tu, Arkady… devi sapere che io amo i figli di Petru come se fossero i miei».

Lo disse con tale calore e convinzione che sentii sorgere in me un moto di affetto verso di lui. A dire il vero, è eccentrico e vecchio, con delle strane abitudini, ma è sempre stato, verso la nostra famiglia, straordinariamente generoso. In un certo senso, nonostante il suo atteggiamento orgoglioso, ha un che di patetico. Nonostante tutta la sua ricchezza, è così solo, così isolato, così estremamente dipendente prima da mio padre… ed ora da me. Io sono il suo unico legame con il mondo esterno.

Poi ha parlato di affari, cosa che è stata di aiuto per allontanare i nostri pensieri dal recente orrore. Lo zio ha promesso di mostrarmi l’ufficio di mio padre domani sera, dove sono tenuti tutti i libri contabili e bancari, e mi ha chiesto di venire prima, in modo che possa conoscere i domestici (che non ho mai visto, tranne Laszlo, il cocchiere). Sembra essere piuttosto urgente il fatto che io parli con il soprintendente e faccia il giro dei campi, poiché lo zio non sa in alcun modo se si sia provveduto alla semina di primavera. In effetti, è del tutto incompetente.

Era anche piuttosto ansioso di dettare una lettera, che io ho scritto in rumeno e poi ho tradotto in inglese per un certo Mister Jeffries. Vlad sembrava impaziente di avvertire il visitatore di venire al più presto possibile, ora che il funerale aveva avuto luogo; potrà essere un solitario, ma è uno che è avido di compagnia istruita, oltre quella della propria famiglia.

Mi sono offerto di portare la lettera a Laszlo e di dirgli di impostarla a Bistritz, dato che, mentre ritornavo a casa, sarei passato davanti alla zona dei domestici, ma Vlad ha piegato la lettera senza firmarla e ha detto che desiderava dare personalmente le istruzioni a Laszlo.

Perciò ho preso il posto di mio padre. L’incontro con lo zio è stato breve: ho avuto la sensazione che fosse inquieto e desideroso che me ne andassi. Penso che, in qualche modo, fosse la mia presenza a innervosirlo.

Mentre me ne stavo andando, ho parlato della mia preoccupazione per i lupi e ho chiesto se ancora, come ricordavo dalla mia infanzia, costituivano un pericolo. Vlad mi ha risposto che, di fatto, era ancora così e, invece di permettere a Laszlo di riaccompagnarmi a casa, diede disposizioni perché avessi un calesse e due cavalli per mio uso personale, in modo che potessi essere libero di andare e venire senza preoccuparmi dell’ora del giorno.

Così me ne sono andato, sentendomi molto più calmo di quando ero arrivato ma, mentre mi dirigevo verso casa nel calesse, sono passato davanti alla tomba di famiglia. Sebbene l’oscurità celasse quell’indicibile orrore, il dolore, la rabbia, e il senso di violazione, mi colpirono tutti insieme ancora una volta. Come posso sopportare di vivere tra questa gente, conoscendo le atrocità di cui è capace?

Il diario di Mary Windham Tsepesh

7 aprile. (Ultima registrazione). Questo pomeriggio ho tentato ancora una volta di impegnare la mia cameriera, Dunya, in una conversazione. Come la maggior parte delle contadine di qui, è di corporatura piccola ma robusta. Come loro, indossa un grembiule bianco doppio e, sotto di esso, un vestito di lino grezzo alquanto impudico, che non le copre le caviglie e, nello stesso tempo, è trasparente quando la luce lo illumina in un certo modo. I contadini del posto sembrano avere un atteggiamento negativo verso la biancheria intima.

Il colorito di Dunya è chiaro, e i suoi capelli scuri, quasi neri, acquistano al sole un riflesso rossiccio. Questo e il suo nome mi fanno credere che sia, almeno in parte, russa. Non può avere più di sedici anni, ma sembra intelligente e riflessiva, sebbene mostri, come gli altri domestici, la stessa riluttanza a incontrare il mio sguardo.

Nonostante ciò, percepisco in lei una certa innata audacia, così, quando volli capire se l’atteggiamento timoroso dei domestici fosse una caratteristica transilvana o se fosse ispirato da qualcosa di diverso, ho scelto di affrontare Dunya mentre stava riordinando la camera da letto. Quando l’ho chiamata per nome, ha sobbalzato leggermente, e io ho dovuto nascondere il mio divertimento.

Parla un po’ di tedesco, come me, e così le ho detto:

«Dunya, è mia abitudine intrattenere un rapporto amichevole con i miei domestici. Per favore… Non avere tanta paura di me».

La mia incertezza con la lingua tedesca richiedeva che fossi breve e diretta.

Sentito questo, fece un inchino e rispose:

«Grazie, doamna (Ho imparato che questo è il corrispettivo rumeno di “signora”). Ma io non ho paura di lei».

«Bene», risposi. «Ma è chiaro che hai paura di qualcuno. Di chi?».

Al sentire ciò, è sbiancata un po’ e si è guardata alle spalle come se avesse paura che qualcuno ci stesse spiando. Poi si è avvicinata — un po’ troppo vicino per gli usi inglesi, ma ho imparato, guardando mio marito e la sua famiglia, che i Transilvani, quando parlano, preferiscono stare molto più vicini degli Inglesi — e ha bisbigliato: