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Immediatamente, delle invisibili dita d’acciaio mi afferrarono il cranio, offuscando l’immagine. Sollevai una mano alle tempie e pensai: Sto diventando pazzo…

No. No. È semplicemente un attacco di nervi, provocato dalla morte di papà e dalla mia terribile scoperta.

All’entrata vi fu un movimento fulmineo. Alzai lo sguardo rapidamente e vidi Laszlo, il cocchiere, che si toglieva il berretto. Non sono sicuro del tempo che avesse passato lì. Non ha un brutto aspetto: sembra un tipico contadino ungherese di mezza età, dai capelli e dalla carnagione chiara, con dei tratti rotondi, poco marcati, e un naso reso rosso dal bere, ma porta con sé un’aria di spiacevolezza, la quintessenza di ciò che affligge il castello.

Masika Ivanovna seguì il mio sguardo e si voltò per vedere chi fosse il nostro visitatore. Non penso che avrebbe potuto essere più terrorizzata se fosse apparso il Diavolo in persona. Con gli occhi spalancati e tremando, ansimò rumorosamente con fare colpevole e si segnò alla sua vista, poi si alzò e corse fuori dalla stanza, dimenticando completamente di congedarsi da me.

Laszlo la guardò andarsene con un lieve e condiscendente sorrisetto, come se comprendesse benissimo la sua reazione e la trovasse del tutto divertente. Poi si rivolse a me, dicendo che era venuto soltanto per presentarsi formalmente e per offrirmi i suoi servigi ogniqualvolta fossero stati necessari. Provai piacere nel dirgli che non lo sarebbero stati, in conseguenza del dono del calesse da parte dello zio.

L’incontro con Masika Ivanovna mi lasciò vagamente turbato, ma lo bandii dalla mente e continuai a lavorare senza incidenti fino a sera inoltrata, quando mi incontrai con lo zio. Gli portai degli aggiornamenti su questioni d’affari e lo ringraziai caldamente per aver provveduto alla tomba di papà ma, in seguito, siamo quasi arrivati ad avere un litigio sull’argomento dei rumini, i servi.

Ho insistito con forza affinché abolisse del tutto il sistema feudale e pagasse ai servi un giusto salario, cosa che sarebbe tornata a vantaggio suo e loro. Per essere un uomo tanto intelligente, si è dimostrato sorprendentemente di strette vedute: non ne ha voluto sapere. La generosità verso la famiglia e i domestici era un fatto d’orgoglio e di tradizione… e non c’era niente di più importante, ha detto, che la tradizione familiare dei Tsepesh.

«Allora, guardiamola da un altro punto di vista», ho replicato, pensando di fare appello a quella stessa generosità. «Il feudalesimo è semplicemente immorale. Tu possiedi le vite dei servi: loro non possono lasciare il villaggio senza il tuo permesso, e devono venire a lavorare al castello secondo il tuo capriccio. Come esseri umani, hanno il diritto di essere i signori di loro stessi, i loro stessi padroni».

«Qui non si tratta di moralità», ha risposto mio zio fermamente, con una traccia di compiacimento per la mia ignoranza. «Si tratta della nostra tradizione familiare e, come tale, non dev’essere mai cambiata. Un giorno, quando sarai più vecchio e più saggio, Arkady, lo capirai».

Al sentire ciò, temo di aver perduto la calma e di aver assunto un tono piuttosto infervorato.

«La tradizione dei Tsepesh non può essere mai tanto importante quanto i diritti degli esseri umani!».

Fu come se lo avessi colpito in pieno sul viso. Una fredda furia da lupo si risvegliò nei suoi occhi, che per un fuggevole istante mandarono bagliori rossi per la luce riflessa del fuoco che proveniva dal camino dello studio. Fece verso di me un movimento veloce, animalesco, che immediatamente soppresse; nondimeno, io ritornai all’istante il bambino in preda al panico, spaventato, che si faceva piccolo, indifeso, mentre Shepherd saltava.

Poi battei le palpebre e vidi che i suoi occhi erano semplicemente freddi ma del tutto calmi, che sedeva completamente immobile nella sua sedia e non si era mai mosso. La mia mente mi sussurrò: è la tua immaginazione febbrile…

«Non devi parlare così di noi Tsepesh», disse a voce bassa. «Alle volte, assomigli troppo a tua madre; era troppo caparbia, troppo irrispettosa delle nostre abitudini. Temo che tu abbia ereditato qualcosa di più che i suoi occhi».

Forse aveva ragione; non lo so, poiché non ho mai conosciuto mia madre, ma sono sempre stato ostinato e impaziente, al contrario di papà e Zsuzsanna. Quando sono minacciato, lotto, e così, nonostante il dispiacere dello zio e la mia momentanea, sconvolgente visione, non mi arresi.

«Non intendevo essere irrispettoso», dissi. «Io amo la mia famiglia e le sue tradizioni, ma il feudalesimo non è soltanto un costume degli Tsepesh. È, praticamente, schiavitù, ed è immorale».

La sua rabbia diminuì, ma la luce nei suoi occhi rimase, assumendo una strana qualità ferina che mi disturbò ancor più che l’immaginato sfogo di rabbia. Poi sorrise, e le sue rosse labbra carnose si aprirono per mostrare dei denti sorprendentemente forti e intatti.

«Ah, dolce Arkady! Ho camminato così a lungo su questa terra, che me ne sono stancato, ma la tua gioventù e la tua innocenza mi fanno sentire giovane di nuovo. Com’è piacevole vedere qualcuno così idealista, così ingenuo, da essere affascinante. Tuo padre era così quando venne da me: pieno di passione e di princìpi!». La sua espressione divenne improvvisamente severa. «Ma tu arriverai presto a capire l’errore del tuo pensiero, come ha fatto tuo padre e il suo prima di lui».

Cercai di riportare la conversazione sui rumini, ma lui rifiutò di discutere ancora quell’argomento e, invece, cominciò a parlare del progetto di andare in Inghilterra prima della fine del prossimo anno, quando Zsuzsanna fosse stata bene e il bambino abbastanza grande per viaggiare. Promisi di fare quello che potevo per contattare alcuni legali per il possibile acquisto di alcune proprietà.

Posso essere colpito dalla sua generosità ma, dentro di me, sono rimasto piuttosto sconcertato dalla sua condiscendenza verso mia madre e verso la mia “ingenuità”. Suppongo che l’aristocrazia non abbia migliore difesa che insultare quelli che hanno delle opinioni progressiste ed egalitarie. D’ora in avanti, mi terrò le mie opinioni per me — dopotutto, mio zio è più anziano di me ed è, nientemeno, un Principe — ma quando la proprietà sarà nelle mie mani, come dovrà senz’altro accadere entro pochi anni, farò in modo che le cose siano condotte diversamente.

Così tenni la lingua a freno, e lo zio ed io finimmo il lavoro serale. Arrivai a casa alle nove per trovare che Mary si era già ritirata. La raggiunsi e trascorsi una notte agitata piena di brutti sogni.

Il giorno seguente, 9 aprile (oggi), è stato molto più gradevole. Nel pomeriggio, sono ritornato al castello per trovare che Laszlo aveva portato un visitatore: un certo signor Jeffries, il giovanotto inglese che sta facendo il giro delle campagne. Apparentemente, il taverniere di Bistritz è un nostro lontano parente che, d’abitudine, indica ai viaggiatori stranieri il castello come punto di interesse storico, e lo zio fornisce alloggio e ospitalità senza un qualsivoglia compenso. Era compito di papà servire da ambasciatore e guida a questi visitatori, e di intrattenere la corrispondenza con loro.

Non ho potuto fare a meno di pensare come a una stranezza che un uomo, riluttante a mostrarsi ai suoi stessi servitori o a chiunque altro al di fuori della sua famiglia, sia disposto ad aprire la sua casa a dei perfetti sconosciuti. Nello stesso tempo, sono stato contento che il viaggiatore sia arrivato, poiché avevo già il desiderio di avere notizie dell’Inghilterra; il paese che fino a poco tempo prima avevo considerato la mia casa.

Ho incontrato il signor Jeffries nelle camere degli ospiti nell’ala nord. È un uomo alto, magro, con una folta chioma di capelli chiarissimi, una carnagione lattea che arrossisce con facilità, e un contegno allegro, socievole. È stato molto felice e sollevato nel trovare qualcuno al castello che sapesse parlare inglese, poiché era stato costretto a fare affidamento sul suo zoppicante tedesco per comunicare con Helga. Nessuno degli altri domestici parla inglese o tedesco, e lui era caduto in quell’infelice stato di anomia, sperimentata da coloro che sono incapaci di esprimersi in terra straniera (mi ricordava i miei primi giorni a Londra).