Ho sentito una vampata di calore e un formicolio che è cominciato alla base della colonna ed è salito fino in cima alla testa e oltre. Mi sono sentita come se, per tutti i miei anni su questa terra, fossi stata morta e, per la prima volta, un bacio mi avesse risvegliato alla vita. Ho guardato in basso il mio salvatore inginocchiato e ho affondato le mie dita nella sua folta criniera di capelli argentei.
Poi lui ha portato le labbra sulla coscia della mia gamba malata. Dapprima sono arrossita per l’imbarazzo; durante la mia vita adulta, non ho mai permesso a nessuno di toccare e nemmeno di vedere il mio arto storpio. Ho cominciato ad allontanarmi, ma lui mi ha trattenuto e l’ha accarezzato e baciato con delicatezza, con amore…
No, molto più di questo; l’ha baciato con pura e riverente adorazione, e in quel momento l’ho amato come un dio.
Ha continuato a baciarmi fino alla punta del mio povero e storto piede e poi si è alzato e mi ha preso tra le braccia, dicendo:
«Zsuzsanna, io sono obbligato dal Patto che feci con tuo padre a prendermi cura di te, finché vivrai. Sono anche obbligato da esso a non venire da te in questo modo, ma tu sei troppo malata per fare il viaggio fino in Inghilterra… dove io sono deciso ad andare. Questo è l’unico modo in cui tu mi puoi accompagnare. Capisci?»
«Sì», bisbigliai, sebbene, in verità, non sapessi nulla, e non capissi nulla tranne che desideravo rimanere per sempre tra le sue braccia.
Sorrise appena e disse:
«Di tutta la famiglia, in tutti i molti anni del mio tempo sulla terra, soltanto tu mi hai liberamente amato…».
«No», mormorai. «Io ti venero. Quando fui malata, tu mi hai salvato la vita, e nessun uomo mi ha mai trattato così gentilmente, o mi ha notata come hai fatto tu. Per gli altri uomini, io sono invisibile: tu solo mi vedi».
Un’espressione di estrema, regale soddisfazione, gli si dipinse sul volto; sapevo che le mie parole gli avevano fatto piacere.
«A causa di questa devozione», disse, «ho rotto il Patto con la Famiglia e devo pagarne il prezzo. Al suo posto, ora, ne farò uno nuovo. Non ti lascerò mai, ma ti farò mia e ci legheremo entrambi per sempre». Quando lo supplicai di farlo immediatamente, scosse la testa con tristezza. «Avevo sperato di farlo stanotte, ma non deve essere così; sono ancora troppo affamato. Presto sarà possibile… Molto presto».
E, con un movimento rapido come quello di un serpente, attaccò le labbra al mio collo.
Fu come se la subitaneità del movimento mi avesse svegliata da uno stato di trance. Sentii il dolore pungente dei suoi denti che mi bucavano la pelle e gridai, lottando nel suo abbraccio d’acciaio, piena di una selvaggia e irragionevole paura. Mi ritrassi e colpii con i pugni il suo largo e forte petto, cercando di respingerlo, ma lui, con una sola mano aperta dietro la mia schiena, premette il mio corpo contro il suo. La sua presa si strinse finché non potei più respirare. Sentii premere contro il collo, e la sua lingua e le labbra lavorare fameliche con la mia pelle con lo stesso sommesso rumore del succhiare di un bambino al seno della madre.
Smisi di lottare e caddi svenuta. In quell’istante, il dolce piacere della notte precedente mi prese di nuovo; e, più mi arrendevo ad esso, più il piacere diventava intenso, finché non potei trattenermi dal gemere. Non ero cosciente di nulla tranne dell’oscurità vellutata, della sensazione della sua lingua e delle labbra, e del mio sangue che usciva, fluendo verso di lui al lento e sincronizzato battito dei nostri cuori.
L’estasi aumentò finché non riuscii più a tollerarla e gridai. In quel momento, si ritrasse e mi lasciò cadere all’indietro, appena cosciente, nelle sue braccia. Ero troppo debole per stare in piedi, per parlare, persino per vedere, ma udii chiaramente la sua voce profonda quando disse:
«È abbastanza. Forse troppo…!».
Mi trasportò fino al letto e mi coprì delicatamente con le coperte. Lo sentii che se ne andava, sebbene non riuscissi a muovermi, e non riuscissi ad aprire gli occhi per guardarlo andarsene. Per un po’ giacqui, sentendo ad ogni respiro che non avrei avuto la forza di tirarne un altro, sentendo un debole gorgoglio di piacere ad ogni battito del cuore, pensando che sarebbe stato l’ultimo.
Più di ogni altra cosa, ero stupita che la morte potesse essere un’esperienza così squisitamente sensuale.
Però, non morii. Dormii e, nel tardo mattino, quando mi svegliai, la camicia da notte era, ancora una volta, sul pavimento accanto alla finestra. Ero troppo debole persino per raccoglierla.
Dunya l’ha trovata questa mattina quando ha portato la colazione e me l’ha porta con un’espressione scandalizzata, mentre io colpevolmente cercavo di nascondere la mia nudità sotto alle lenzuola.
Dunya sospetta e Mary, penso, sa, sebbene sia impossibile per una persona conoscere i sogni di un’altra. Cercai di comunicarlo con i miei pensieri a Vlad, per avvertirlo che vi erano altri che sapevano e che avrebbero potuto interferire. Senza dubbio dovevano essere pieni d’orrore e scioccati.
Non me ne importa.
Non capisco che cosa mi stia succedendo; non so più che cosa sia reale. Sono così debole e confusa: penso di essere malata e morente. E ripeto: non me ne importa. Se questa è la morte, allora la morte è pura gioia! Per la prima volta nella mia stentata e triste vita, sono felice. Non voglio Dio. Non voglio perdono.
Voglio solo che lui ritorni.
Il diario di Mary Windham Tsepesh
10 aprile. Mio Dio, ti prego, fa che sia pazza. Ti prego, fa che sia un’isterica donna incinta che vede delle cose soltanto perché la sua testa è stata riempita di storie terrificanti…
Ma quell’orrore esiste, ed io so di non essere pazza. So che cosa ho visto… eppure è impossibile!
Ora è l’una e mezzo del mattino. Ho udito Arkady che se ne andava con il signor Jeffries in calesse pochi minuti fa; non ritornerà per almeno venti minuti, di più se resta per un po’ a conversare con il suo ospite, della cui compagnia sembra aver goduto molto questa sera. Devo metterlo per iscritto — devo fare qualcosa — o perderò completamente la ragione. La mia mano trema così forte, che riesco a malapena a leggere quello che ho scritto.
Naturalmente, non riuscivo a dormire dopo aver finito l’ultima registrazione nel mio diario, sebbene fosse dopo mezzanotte. Ho combattuto senza tregua con le lenzuola. Parte del malessere era dovuto all’indigestione e all’incapacità di trovare una posizione comoda per dormire a causa del mio ventre pesante, ma per lo più era qualcosa di mentale: ero incerta sul fatto di dire ad Arkady di Vlad e Zsuzsanna stanotte, dopo che il signor Jeffries se ne era andato, o se attendere fino al mattino, e mi preoccupavo anche su cosa dovessi dire con precisione.
Non riuscivo nemmeno a padroneggiare la mia curiosità circa quanto poteva accadere dall’altra parte della tenda. Di sicuro, decisi, Zsuzsanna doveva aver notato la mia oscura allusione al lupo alla sua finestra e avrebbe, almeno, avvertito Vlad che la sua camera da letto non era più un posto sicuro dove incontrarsi; osai persino sperare che le mie ambigue parole fossero state sufficienti per convincerla a rompere del tutto la sua relazione segreta.
Nonostante ciò, mi forzai a chiudere le palpebre. Forse sonnecchiai… sebbene la mia memoria giuri che sono rimasta completamente cosciente. Caddi, però, in uno strano sogno ad occhi aperti, simile a una trance, e mi trovai a fissare un paio di grandi occhi languidi, sospesi nella morbida oscurità.