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Bulgakov era il cognome di Masika, ma il vedere sulla lapide il patronimico russo non consolò il mio cuore: Petrovich, figlio di Petru.

Non so descrivere come mi sento ora, o come mi sentii in quel momento. Colpito. Ferito. Tradito. Amaramente arrabbiato… con Masika, con papà. Con quel giovane, perché era morto prima che lo potessi incontrare.

Quando mi ripresi, chiesi al becchino più anziano:

«Di che cosa è morto?».

L’uomo smise di spalare per guardarmi con educata ostilità mentre sollevava il cappello spiegazzato e si puliva la fronte sporca con un avambraccio persino più sporco.

«Voi siete Dracula, signore. Di sicuro lo sapete».

Il suo tono era perfettamente civile, ma trasmetteva la profondità del suo odio verso di me… e la sua paura.

«Tsepesh», lo corressi, ma non c’era rimprovero, non c’era rabbia nella mia voce, soltanto un sincero desiderio di sapere. Quel nome evocò nella mia mente un’immagine improvvisa di Jeffries, che giaceva impalato su degli alti e oscillanti rami di pino; lottai per reprimerla.

«Onestamente no. Per favore…». Mi fermai e aggiunsi, pensando a Laszlo: «È stato un assassinio?».

Mi fissò con gli occhi socchiusi, scettici, cercando di giudicare la mia sincerità. Alla fine, qualcosa che vide lo dovette convincere, perché rispose, mentre cessava la sua osservazione e ritornava a scavare:

«Ahimè, si potrebbe dire così, signore. La sua gola è stata squarciata dai lupi».

Capitolo sesto

Il diario di Zsuzsanna Tsepesh

12 aprile. Continuo a sognare i suoi occhi, i suoi occhi di smeraldo.

Ieri ero certa che sarei morta; oggi sono un po’ più forte e mi posso sedere e mangiare la minestra che Dunya mi porta. Scrivere non è più uno sforzo terribile. Stranamente, ciò mi delude.

Adesso, due donne abitano il mio corpo. Una è la Zsuzsanna che ho sempre conosciuto: debole, timida, la ragazza brava e obbediente di papà. Questa è grata a Mary per la sua gentilezza e a Dunya che mi cura nella malattia. Io so che loro mi amano e che vogliono che mi rimetta e, così facendo, io voglio far loro piacere. Questa ama Bruto per la sua devota presenza al mio capezzale e si commuove fino alle lacrime quando, preoccupato, dà alla mia mano un colpetto freddo e umido e mi guarda con quegli adoranti occhi ambrati. Questa sa che è quasi morta, ed è terrorizzata alla prospettiva.

Ma l’altra…

Ah, l’altra… L’altra sa che sta cambiando, e vuole il cambiamento. L’altra è forte, appassionata, e attende soltanto che lui ritorni, per mantenere la sua promessa di legarci insieme per sempre.

So che sta cercando di venire da me. Non ha dimenticato. Penso che abbia tentato la notte scorsa; ho un ricordo debolissimo di Bruto che scatta verso il sedile della finestra e abbaia ferocemente. Mi ricordo di essere emersa a sufficienza dal mio torpore drogato per avere la sensazione dei suoi occhi disincarnati che mi fissavano dalle profonde ombre vellutate delle mie palpebre chiuse. Cercavo di parlare e non potevo; e così, gli ho mandato un pensiero, e credo che abbia udito. Gli ho raccontato quello che avevano fatto alla finestra. L’ho avvertito del cane.

Dio, quanto l’altra Zsuzsanna odia Mary! Quanto odia Dunya! Odia anche quel maledetto cane per aver tenuto lui lontano dalla mia finestra. Se non fossi stata così debole e incapace di alzarmi, le avrei uccise strangolandole per aver osato separarci! Fingono di essere innocenti; non diranno niente di lui, ma sanno cosa stanno facendo. Lo sanno, quelle bugiarde piagnucolose! Hanno liberato il cane dalla cucina e hanno messo i fiori d’aglio alla mia finestra mentre ero addormentata entrando di soppiatto come dei ladri per commettere le loro cattive azioni.

Quelle due pazze pensano di poterlo fermare.

Nonostante la mia debolezza sento l’avvicinarsi di una forza che non ho mai conosciuto, l’accenno di un corpo libero dall’infermità che ha afflitto tutta la mia vita. Sento la mia spina dorsale muoversi, raddrizzarsi, allungarsi; siedo più alta e più dritta, ogni giorno. C’è un sordo battito nella mia caviglia e, quando Dunya e Mary lasciano la stanza, guardo il piede sotto le coperte e vedo che anch’esso si sta raddrizzando. Sorrido, nonostante il dolore.

Finalmente essere libera! Essere forte! Do il benvenuto a quest’altra Zsuzsanna; sto cambiando in qualcosa di nuovo, qualcosa di meraviglioso. Non sono sicura di cosa potrebbe essere; so soltanto che è molto meglio di qualunque vita abbia mai conosciuto. A volte la debolezza mi lascia e io ne colgo una fuggevole visione. Essere forte e libera, e unita a lui: questo è il Paradiso.

Che la storpia muoia! Che finalmente riesca a liberarmi di lei!

Papà e Arkady si sbagliavano: c’è una vita dopo la morte. Non l’eternità leziosa, con arpe strimpellanti, angeli alati e nuvole su cui sedersi, immaginata dai Cristiani, ma qualcosa di profondamente oscuro, di fuoco, così audace e puro nella sua appassionata devozione di sé, quanto lo stesso Lucifero!

Non vinceranno. Lui mi istruirà e, quando il tempo sarà maturo, lo chiamerò. Devo solo essere paziente e aspettare…

Il diario di Mary Windham Tsepesh

12 aprile. Sono molto preoccupata per mio marito.

Zsuzsanna, oggi, è molto migliorata. Le cure del medico — o quelle di Dunya — sembrano aver funzionato. È ancora estremamente debole ma, stamattina, quando sono andata a vedere come stesse, era seduta e mangiava la colazione.

L’alleviarsi della mia preoccupazione per Zsuzsanna ha fatto sì che le paure riguardo allo strigoi almeno diminuissero, alla gioiosa luce del sole. A questo punto mi sembra di aver sognato la conversazione con Dunya, che adesso sembra stranamente irreale, quasi un sogno lontano. Come l’immagine da incubo di Vlad che si trasformava in un lupo. A volte mi convinco che quella visione sia una sorta di allucinazione causata dal dolore, dal viaggio, dalla gravidanza. Soltanto una cosa sembra fermamente vera: che Vlad costituisca una minaccia per Zsuzsanna e che noi dobbiamo fare qualunque cosa possiamo per tenerlo lontano da lei.

Eppure, di notte, sogno gli occhi di Vlad e so che è tutto vero. Di notte è più difficile spiegare il fatto che la spina dorsale storta di Zsuzsanna si stia raddrizzando sotto i nostri stessi occhi.

Così continuerò ad assecondare Dunya e permetterò che le corone d’aglio rimangano sulla finestra (di notte; astutamente le togliamo la mattina ed è una cosa ben fatta, poiché Arkady a mezzogiorno è andato a far visita alla sorella). Non possono fare alcun male (e quando il sole tramonta, mi convinco che facciano molto bene). Fatto estremamente importante, mi assicurerò che Bruto rimanga in camera di notte.

Ma, per il momento, è Arkady che mi preoccupa di più. Dapprima ho scritto di Zsuzsanna sperando di calmarmi, ma di nuovo sono vicina alle lacrime. Oggi abbiamo litigato per la prima volta.

È stata colpa mia. Sono stata una sciocca a menzionare la relazione tra Vlad e Zsuzsanna così presto. È passata soltanto una breve settimana dalla morte di Petru, e Arkady è ancora in lutto. È del tutto naturale. Eppure…

Eppure non riesco a dimenticare il fatto che, da quando siamo venuti in Transilvania, è diventato di umore nero e solitario. Mi racconta ben poco in questi giorni, mentre in Inghilterra amava avere lunghe conversazioni e cercava il mio consiglio perché, così diceva: «Sei così freddamente logica sulle cose, Mary, mentre io non lo sono». È sempre stato emotivo, ma in un modo positivo, gioioso, pieno di energia e di passione.

Ora è silenzioso, chiuso in sé, e rimugina. Ogni notte, dopo essere ritornato dal castello, resta alzato fino a tardi per scrivere nel suo diario, piuttosto che venire a letto a parlare con me. So che là è infelice, che è accaduto qualcosa con Vlad che lo turba.