Выбрать главу

Di nuovo si voltò verso di me, mezzo alzandosi dalla sedia mentre tuonava:

«Ma io non ti ho giurato che non ti sarebbe venuto alcun danno? Non l’ho giurato, sul nome della nostra Famiglia?».

Dracula, pensai, o Tsepesh? Ma non lo dissi, perché avrebbe soltanto protratto la discussione e compresi, in quel momento, perché poteva, con tale certezza, garantire la nostra sicurezza.

Vidi la follia nei suoi occhi e mi lacerò il cuore; seppi, allora, che egli era, almeno, consapevole degli omicidi, se non ne era l’autore stesso.

«Non l’ho giurato?», domandò V. «Rispondi!».

«L’hai fatto, ma, zio…».

«Come hai potuto non credermi? Come hai potuto credere che ti avrei mentito o che sarei stato sleale? Ti ho detto di non andare a Bistritz, ma tu insisti nel disobbedire! Ti ho detto di non interferire mai con i miei ospiti! Quest’unica legge… e tu l’hai infranta ancora!».

Si alzò e, presa la caraffa sul tavolino, mentre guardavo con orrore, si mosse come per gettarla nelle fiamme, poi si voltò e la scagliò, così che volò sulla mia testa e colpì la porta chiusa dietro di me, frantumandosi con uno spruzzo luccicante di cristallo e slivovitz alla prugna.

Indietreggiai e mi feci schermo con un braccio, a malapena riuscendo a non farmi male; se avesse mirato un po’ più in basso, mi avrebbe colpito. E poi, con molta lentezza, alzai la testa e mi ripulii le spalle dalle schegge di cristallo e dal liquore, e lo guardai con occhi brucianti.

Con il cuore che mi batteva forte dall’orrore di dover porre a lui, che amavo, una tale domanda, gli chiesi lentamente:

«I morti nella foresta, zio. Com’è che sono lì? Come sono morti?».

La sua rabbia si era in parte placata, ma il petto gli si sollevava ancora leggermente e il suo volto era arrossato. Gli occhi si socchiusero mentre mi osservava intensamente, dicendo, con terrificante calma:

«Qualche volta tu assomigli troppo a tua madre, Arkady. Devi imparare a non essere così ostinato. Devi imparare a non occuparti degli affari degli altri».

Le ginocchia mi si piegarono, come se il terreno stesso su cui stavo mi cedesse sotto i piedi; in qualche modo riuscii a rimanere in piedi, ma non riuscii a emettere altro che un bisbiglio soffocato.

«Che cosa stai dicendo?».

«Che non ha senso occuparsi di ciò che giace nella foresta. Sarebbe più saggio che dirigessi la tua attenzione verso i tuoi affari. Ora vai! Vai e considera attentamente il tuo errore, in modo che tu possa evitare tali idiozie in futuro».

Me ne andai, sbalordito e pieno d’orrore sentendo come se il mondo stesso si fosse rovesciato all’improvviso, come se fossi circondato da un oscuro male che girava turbinosamente, da un vortice di follia che presto mi avrebbe tirato giù per farmi affogare…

Ma questa non è la fine del mio attuale orrore e disperazione. Mi sono appena alzato, spinto da un inspiegabile impulso, e ho scoperto nella tasca del mio panciotto la lettera di Radu, e la lettera che io avevo scritto per dare istruzioni ai visitatori di non venire al castello. Mio Dio, la mia memoria non mi appartiene più? Ho soltanto sognato che ero riuscito a bruciare la lettera di V. nel fuoco? E se è così, quale lettera ho dato all’albergatore a Bistritz? Se i visitatori vengono…

Sto impazzendo. Pazzo quanto deve essere stato il mio caro padre nello scoprire una tale malvagità, pazzo come mio zio, il mio gentile, generoso, affettuoso zio. Vorrei cancellare la ragione, forzare la mente a fermare il suo incessante lavorio, la sua inevitabile conclusione che gli omicidi sono stati l’opera di, almeno, decenni, e quindi Laszlo non può esserne il solo responsabile. Né lo può essere stato mio padre, poiché morì prima che Jeffries apparisse.

Oh, dèi! V è un assassino, non il mostro immortale della leggenda come pretendono i contadini ma, nondimeno, è un mostro, e io sono stato suo inconsapevole complice nel far venire qui Jeffries.

Cosa posso fare? Nonostante le pretese di Radu (inclusa quella assurda riguardo a Stefan; mio fratello è stato ucciso non da V. ma da un cane, una tragedia di cui sono stato testimone con i miei stessi occhi) è difficile credere che V. farebbe del male a qualcuno della sua famiglia; l’oggetto della sua follia sembrano essere gli estranei…

… e i poveri bambini storpi e rifiutati sacrificati a lui dai contadini (in cambio della loro sicurezza?). Sono combattuto tra il proteggerlo e il consegnarlo alle autorità di Vienna; come posso tradire il mio caro benefattore? Almeno, devo tentare di procurargli un dottore, uno specialista che lo possa aiutare. Ma non posso permettere…

Non ho tempo di finire! Ho appena alzato lo sguardo e ho visto, attraverso la finestra aperta, Laszlo che guida la carrozza verso il castello. E all’interno, due visitatori! Per la loro sicurezza, andrò da loro immediatamente…

Capitolo nono

Il diario di Mary Windham Tsepesh

17 aprile, tardo pomeriggio. Zsuzsanna dorme. La sua pelle è talmente grigia e cerea che, se non fosse per il lieve e rapido alzarsi e abbassarsi del suo petto sotto la sua camicia da notte, la riterrei morta da giorni. Siedo al suo capezzale, lottando contro le lacrime, lottando per essere forte per amore di Arkady, che presto verrà a prendere il posto che gli compete in questa scena straziante. Desidero e temo il suo arrivo.

Ora capisco perché ha cominciato a tenere un diario dopo la morte di suo padre. Non posso sopportare di stare soltanto seduta a fianco di Zsuzsanna, in attesa dell’avvicinarsi dell’inevitabile. Dunya è stata così gentile da andarmi a prendere la penna e il diario e così, ora scrivo. Rende meno acuti il dolore e la paura, anche se nulla li potrebbe cancellare.

Non appena il mio caro marito si riprenderà dal suo recente dolore, lo convincerò a partire. Non mi importa se il momento del parto sarà su una carrozza o su un treno; mio figlio non nascerà in questa casa maledetta, non verrà a sapere che inferno il suo povero padre ha sopportato a causa dell’amore per quel mostro.

Le leggende sono tutte vere. L’ho saputo nel mio cuore nell’istante in cui Vlad ha premuto le labbra sulla mia mano; l’ho saputo, sebbene l’istruzione e la ragione non mi permettessero, fino ad oggi, di crederlo pienamente.

Ma qui quelle cose non hanno potere. In questo posto dannato e magico, domina soltanto il Male. Io lo combatterò con tutto ciò che conosco essere il Bene più alto: l’amore tra me e mio marito, e il nostro amore per nostro figlio.

Lui non li avrà.

Ma Zsuzsanna l’abbiamo persa.

Oh, se soltanto potessi dimenticare il modo in cui guardava il mio ventre al pomana…

Non riesco a scrivere altro; il dolore è troppo grande. Proverò a cercare la pace nel racconto ordinato degli eventi del giorno.

Nonostante il laudano, questa mattina mi sono svegliata presto, incapace di dormire a lungo a causa del terrore della notte scorsa, sebbene continuassi a sperare debolmente che forse era stato soltanto un incubo realistico.

Arkady stava ancora dormendo profondamente, con la pistola accanto a sé sul comodino: il primo infelice segno che la notte passata non era stata un sogno. Mi sono alzata, sono andata alla finestra, e ho scostato la tenda per vedere la luce del sole che si rifletteva sul vetro incrinato e scheggiato.

È un cattivo presagio. Cerco di convincermi del contrario, ma non posso più negare quello che so.

A quella vista, ho provato un dolore improvviso al ventre non così acuto come immagino siano le doglie, ma più simile a una fitta. L’ho imputato all’indigestione e alla preoccupazione, e mi sono premuta il fianco finché non è passato. Cosa che è avvenuta con rapidità, quindi ho chiuso le tende e mi sono vestita, lasciando Arkady a dormire.