Mio marito è stato così sconvolto alla notizia di Zsuzsanna che, sulle prime, ha agitato la pistola contro il povero Mihai, che ha dovuto persuaderlo a scendere le scale fino alla carrozza e portarlo a casa; in seguito, un altro domestico ha ripreso il calesse. Arkady adesso è con la sua defunta sorella, e non è possibile convincerlo a lasciarla. Temo per lui, nonostante il fatto che Dunya dica che dubita che Vlad gli farà del male, specialmente perché lui è il figlio maggiore, e una cosa del genere non è mai accaduta in tutti i secoli in cui il Patto è stato in vigore.
E nemmeno ha mai morso uno della sua famiglia, stavo quasi per rispondere, ma ho trattenuto la lingua; so che lei intende solo confortarmi. Ma non ci può essere conforto. La verità è che nessuno di noi è al sicuro.
Fino a quando non è arrivato suo fratello, sono rimasta seduta accanto a Zsuzsanna e le ho tenuto la mano. Era diventata un po’ irrequieta e incoerente, e aveva cominciato a chiedere di Vlad. Dapprima non avevo la minima intenzione di arrendermi alla sua richiesta, ma lei pianse così tanto, in modo talmente disperato da spezzare il cuore che, nonostante la mia determinazione, cominciai ad intenerirmi e presi da parte Dunya per chiederle se non ci fosse pericolo.
«Lui non le può fare altro male», bisbigliò Dunya solennemente. «Per quanto riguarda noi non può farci del male, a meno che non glielo permettiamo; fin quando indosseremo i nostri crocifissi ed eviteremo le sue lusinghe, saremo in salvo. Ma lui deve sapere che è Zsuzsanna, e solo Zsuzsanna, che lo invita qui»
Così ho mandato un altro domestico al castello, per consegnare a V. il messaggio che Zsuzsanna stava morendo e chiedeva di lui.
Subito dopo, è arrivato il povero Arkady. Sebbene fossi riuscita a calmarmi mentre ero seduta accanto a Zsuzsanna, sperando di essere forte per amore di mio marito, alla vista del suo viso segnato dal dolore mentre entrava nella camera, mi sono sciolta in lacrime.
Lui si è portato rapidamente al suo fianco. Io mi sono scansata e lui si è seduto sul letto e l’ha presa tra le braccia, sollevandole la testa e le spalle, lasciando che i capelli scuri cadessero sul suo braccio e sul cuscino.
«Zsuzsa…», sospirava, con le lacrime che gli cadevano sulle guance, mentre le accarezzava il viso teneramente. «Zsuzsa, come può accadere?».
La presenza di lui la fece ritornare in sé e la dotò di forza. Gli sorrise con la dolcezza di una santa, con gli occhi che ancora irraggiavano quella misteriosa serenità, nonostante il fatto che il suo respiro fosse un affannoso rantolo.
«Non devi piangere, Kasha. Ora sono felice…».
Lui si lasciò andare ad un amaro singhiozzo e disse:
«Non te ne puoi andare, Zsuzsa. Sono così solo, adesso, con Stefan e papà che se ne sono andati. Non andartene anche tu».
Il sorriso di lei si allargò, mostrando un lampeggiare di lunghi denti mentre mormorava:
«Ma io non ti lascio, Kasha. Mi vedrai ancora. Andremo tutti insieme in Inghilterra».
Mi irrigidii e repressi un brivido, ma il viso del mio dolce Arkady si contorse in una smorfia di dolore, che lui rapidamente soffocò e sostituì con una maschera di coraggio.
«Sì, naturalmente», disse con un tono tranquillizzante. «Devi guarire, così noi tutti potremo andare in Inghilterra insieme. Tu, io, Mary, lo zio e il bambino…».
«Sì, il bambino», sibilò Zsuzsanna con aria sognante, e fissò su di me uno sguardo pieno di una tale fame e desiderio che pensai che sarei svenuta. «Noi tutti saremo così felici quando verrà il bambino. Lo ameremo tanto…».
Arkady chinò la testa per il dolore.
Lei rimase in silenzio per un po’ e non si udiva nulla in quella triste stanza illuminata dal sole, tranne il suo faticoso respirare. Voltai lo sguardo, incapace di sostenere ancora quella scena straziante, fino a che udii il suo respiro affannoso:
«Arkady… Baciami. Baciami per l’ultima volta…».
Alzai lo sguardo e vidi che guardava il fratello con quegli enormi occhi sensuali, occhi tanto irresistibili, tanto seducenti quanto quelli verde scuro che mi avevano stregato, fin quasi a farmi dormire. Immediatamente, misi un braccio sulla spalla di mio marito, per trattenerlo… e intanto Dunya, allarmata, si era avvicinata a lui, piombando sulla preda come una chioccia che protegge la sua covata.
Ma era troppo tardi; Arkady si chinò per baciarla. Lei aprì le labbra, pronta a incontrare quelle di lui ma, all’ultimo istante, lui voltò il capo e le diede un casto bacio fraterno sulla guancia. Lei sollevò una debole mano fino alla mascella di lui, ma era troppo debole e, mentre mio marito rialzava la testa, io vidi un’acuta delusione negli occhi di lei.
In quel momento la lucidità l’abbandonò e ritornò a chiedere di Vlad, che io sapevo non sarebbe venuto poiché il sole era ancora alto nel cielo. Lei alternò irrequietezza e sonno e, nel tardo pomeriggio, arrivò il dottore, ma non poté far nulla, tranne lasciare una medicina disgustosa che lei rifiutò di bere.
Quando si avvicinò il tramonto, si svegliò e divenne estremamente irrequieta, piangendo pietosamente, chiamando Vlad per nome: non si riferiva più a lui come “zio”. Fino a quel momento era stata terribilmente debole. Tutti noi fummo stupiti che fosse ancora viva quando l’oscurità finalmente scese.
Vlad arrivò poco dopo. Ero terrorizzata dal mettergli di nuovo gli occhi addosso ma, quando entrò nella stanza, non provai un brivido di paura o di odio, poiché il suo comportamento non fu affatto quello che mi ero aspettata.
Oh, sì, era un uomo di venti o trenta anni più giovane di quello che avevo incontrato al pomana: bello come mio marito, con le stesse particolari sopracciglia, di un nero profondo, e ora con i capelli neri, striati di argento.
Mi aspettavo una traccia di quel sorriso lupesco, avido, sulle labbra, un bagliore di beffardo trionfo nei suoi occhi. Ma no: c’era solo una preoccupazione sincera, cupa, riflessa nella postura, nel passo, nell’espressione.
Ci ignorò tutti e andò direttamente verso Zsuzsanna, che ancora giaceva tra le braccia di suo fratello, e le prese la mano stringendola così forte che i nervi risaltarono sul suo pallido polso. Gli occhi di Arkady, intontiti dal dolore, tremarono di paura, presto lavata via dalle lacrime.
«Zsuzsa», disse Vlad, e io mi meravigliai di udire emergere dalle labbra di quel mostro una voce innegabilmente gentile, piena di amore e di dolore compassionevole, e fui meravigliata dal sapere che il Demonio in persona possedesse ancora i resti di un cuore umano. Le parlò in rumeno e io non compresi tutte le parole, ma capii perfettamente dal tono cosa le disse. So che le disse che lui l’amava e di non essere spaventata; so che le disse che lui non l’avrebbe mai lasciata.
La sua voce era così affascinante, così irresistibile, che, udendola, credetti che pronunciasse ogni parola con tutta la sua anima miserabile.
Si chinò e la baciò sulle labbra.
Un momento prima, Arkady, singhiozzando, si era coperto gli occhi con una mano, lasciando l’altra intorno alla spalla di sua sorella. Ma io guardai e vidi, con lo stesso affascinato disgusto con cui avevo letto il diario di Zsuzsanna, la profonda sensualità, la passione appena contenuta, nascosta in quel breve abbraccio.
Riluttante, Vlad sollevò la sua bocca da quella di Zsuzsanna, e io vidi l’improvvisa fiammata nei suoi occhi e la più alta venerazione in quelli di lei. In quell’istante, lei sembrò rifiorire; un lieve colore le ritornò sulle guance, e i suoi occhi brillarono di una gioia così intensa che arrivava al limite della follia.
Poi lei si rilassò completamente e smise di lottare mentre era tra le braccia del fratello, con Vlad che sedeva loro vicino, tenendo la piccola e fragile mano tra le sue grandi. Morì con gli occhi spalancati, che fissavano rapiti quelli del suo assassino, e fu solo dopo che Dunya notò che Zsuzsanna non aveva respirato da un po’ di tempo, che comprendemmo che se n’era andata.