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Non fu così. Rimase con lei tutta la notte del diciotto e quando, questa mattina, ho saputo da Dunya che era ancora al suo fianco, con gli occhi furiosi, prossimo al delirio per aver rifiutato cibo e bevande, il mio cuore è venuto meno.

Il funerale ha avuto luogo a mezzogiorno. Si è trattato di una faccenda estremamente pietosa. Sono venuti soltanto quattro dei domestici, poiché i racconti di Zsuzsanna morta in seguito al morso dello strigoi hanno fatto sì che il resto ne rimanesse lontano.

Prima sono venuti nello studio e sono rimasti in piedi davanti alla bara aperta per rendere omaggio con un rispettoso momento di silenzio alla loro padrona morta, togliendosi il cappello. Ion piangeva, ed io pensai di riconoscere nel suo dolore un accenno di quella rabbia indignata che avevo visto in Dunya, non appena aveva saputo della rottura del Patto.

Quando ha cercato di nascondere il suo crocifisso nelle mani della padrona morta, Arkady, che guardava attentamente, glielo ha tolto di mano. Per un momento, ho pensato che mio marito l’avrebbe scagliato via; invece, se l’è infilato in tasca in modo che non potesse essere ritrovato e ha gridato verso il vecchio giardiniere in rumeno. Mi è dispiaciuto moltissimo per il vecchio, e ho desiderato di saper parlare la sua lingua in modo da poterlo confortare poiché guardava mio marito con timoroso smarrimento, ma non ha detto una parola.

Anche Ilona e Dunya sono venute e sono rimaste a guardare il cadavere con inquieta riverenza e più timore che dolore, poiché loro sapevano meglio di chiunque altro gli stupefacenti cambiamenti che il corpo della domnisoara aveva subito. La chiara paura nei grandi occhi di Ilona diceva che anche lei capiva che la sua padrona non avrebbe riposato né in pace né a lungo, e che la bara era un grembo ligneo che avrebbe dato vita a un figlio perfetto, bello e mostruoso.

Mihai e il fragile e caro Ion hanno aiutato Arkady a trasportare la bara nella tomba, cosa che è stata una fatica per tutti e tre, e inoltre, poiché gli altri se ne erano andati, nessuno aveva preparato la tomba per la cerimonia.

Zsuzsanna è stata posta a riposare… no, non a riposare! A meno che non riesca a persuadere Arkady a lasciarla stanotte… senza fiori, o luce di candele, o canti, in una tomba tetramente adorna di ragnatele e polvere.

Scapigliato, con lo sguardo folle e la barba lunga, Arkady ha tenuto un discorso. Non ricordo che cosa ha detto; durante tutta la cerimonia non solo non sono stata bene, ma ero sull’orlo dello svenimento, e mi sono sentita sollevata quando ha finito dopo alcuni minuti.

Poi il nostro piccolo e triste gruppo è uscito camminando lentamente… tutti, tranne Arkady, che si è seduto sul freddo pavimento di pietra davanti alla bara di sua sorella e ha estratto la pistola, con la chiara intenzione di restare a vegliare.

Ero troppo turbata per cercare di supplicarlo ancora e volevo soltanto affrettarmi ad uscire e liberarmi dell’aria immobile e oppressiva della tomba, ma Dunya si è fermata per parlare con lui in rumeno. Come risposta, lui l’ha minacciata con la pistola.

Lo abbiamo lasciato là. Che altro potevamo fare? Tutte le parole del mondo non potrebbero aiutare né lui né sua sorella, a questo punto.

Questo pomeriggio, ho fatto portare un messaggio al castello da Mihai, dicendo che non ci sarebbe stato alcun pomana questa sera, poiché Arkady era indisposto.

Come i domestici, sono pronta a fuggire. Ho preparato i bauli ed ora ho bisogno soltanto di ritrovare il mio povero marito. Sono decisa a mettere in atto la mia promessa a Vlad: non resteremo.

Dunya dice che il Vampiro non può attraversare l’acqua che scorre, tranne che nella sua bara di terra. Benissimo; Arkady ed io fuggiremo al mattino e non ci fermeremo finché non attraverseremo il fiume Muresh, che raggiungeremo prima del crepuscolo se facciamo correre i cavalli. Fino ad allora, rimarremo nascosti nella camera dei bambini, che Dunya ha reso un porto sicuro con corone di aglio alla finestra e alla porta e, ovunque, ritratti di santi. Tiene una candela accesa davanti all’icona di San Giorgio, che brandisce una spada, pronto a staccare la testa di Dracula… il drago.

Il Demonio.

Ricordo che fu la parola con cui il signor Jeffries si riferì a Vlad; Dunya mi ha spiegato che gli abitanti del villaggio chiamano la famiglia di Arkady con quel nome.

Anch’io ho pregato San Giorgio: l’ho pregato di proteggere mio marito e mio figlio. Ucciderei il drago con le mie mani, se fosse possibile, ma Dunya dice che tentare è troppo pericoloso, e che durante il giorno, quando distruggerlo è più facile, la porta del suo rifugio rimane chiusa a chiave e sprangata, ed è troppo pesante da buttare giù per un’unica persona. Coloro che ci hanno provato, sono tutti morti di morte violenta.

Quanti secoli dobbiamo aspettare perché si incarni su questa terra il santo uccisore del drago e ci liberi da questo mostro?

Dunya ed io abbiamo discusso che cosa dev’essere fatto per fare uscire Arkady dalla tomba, e per impedire a Zsuzsanna di rialzarsi come strigoi questa notte. Sembra impossibile che possa restare sveglio ancora a lungo ma, se lo fa, il mio piano è di andare da lui, come Dalila, offrendogli di calmare la sua sete… con una bevanda contenente laudano. Se le parole dolci non lo convinceranno, allora lo farà il papavero.

Il sole è basso nel cielo; è ora.

San Giorgio, liberaci.

Capitolo undicesimo

Il diario di Mary Windham Tsepesh

19 aprile, aggiunta. Dio mio, si è infiltrato nel nostro piccolo rifugio sicuro! Dorme tra noi… ed io non posso andare ad avvertire mio marito, che è alla mercé di un altro figlio, più mostruoso, in procinto di nascere. Vlad sa tutto quello che noi abbiamo progettato.

Mentre Dunya, povera pedina innocente, non sa nulla. Mi sorride dolcemente anche ora, mentre mi versa una tazza di thè calmante, incapace di decifrare i misteriosi segni che scarabocchio sulla pagina… presto, prima che torni la prossima ondata di dolore. Temo che questa sia l’ultima registrazione che farò sul diario. Lo lascerò dove mio marito lo potrà trovare, se sopravviverà a questa notte.

Le doglie sono iniziate poco dopo il mio ritorno dall’aver parlato con Arkady alla tomba di Zsuzsanna e stavo camminando con Dunya verso la casa. Nel mezzo del prato erboso, sono caduta in ginocchio, allungando le braccia, e nel dolore lancinante ho afferrato il vestito di Dunya proprio sotto il colletto.

Il tessuto al suo collo si è aperto rivelando la tenera pelle proprio sotto la clavicola e lì, ecco due segni rossi, rotondi, con il centro bianco.

L’angoscia mi ha attraversato come una spada, riempiendomi dello stesso agghiacciante dolore dell’istante in cui seppi, tanti anni fa, che mia madre e mio padre erano morti. È vero, Dunya è ancora viva — respira, parla, si muove — ma, per me, è persa quanto i miei genitori, da lungo tempo sepolti nella terra fredda.

A quella vista ho emesso un lamento pieno d’orrore; Dunya ha creduto che gridassi per l’angoscia del parto. Volevo fuggire, correre via nella foresta. Dapprima ho lottato e non permettevo che posasse nemmeno una mano su di me ma, ben presto, sono stata costretta a permetterle di aiutarmi a ritornare nella camera dei bambini.

Una volta lì, ho dovuto farmi forza per non rabbrividire al suo tocco, troppo impacciata nella mia condizione per fare qualcosa, se non permetterle di prendersi cura di me. Ma lei è stata gentile e devota come una sorella. Adesso guardo il suo viso affettuoso e privo d’inganno, e posso solo piangere.