Io sono senza parole e ansiosa di dimostrarmi degna di far parte della famiglia. Un’altra fitta di senso di colpa mi trafigge quando scrivo queste parole, poiché loro non hanno voluto nulla da me, e non hanno fatto nulla tranne che accogliermi a braccia aperte.
Quando conobbi Zsuzsanna, lei mi conquistò il cuore. È così gentile, ed è una creatura così fragile, così sola… zoppa, come sembrano essere molti dei contadini. Arkady dice che è a causa dell’isolamento e dei matrimoni tra consanguinei, e che è una delle ragioni per cui la sua orgogliosa famiglia corre il pericolo di estinguersi.
Mi dispiace per Zsuzsanna, oramai sola in questa grande e triste casa. Mi è dispiaciuto per la morte di suo padre, ma sono contenta di essere venuta. Credo che nulla la renderebbe più felice che giocare a fare la zietta di una nidiata di bambini (e niente renderebbe me più felice che fare la madre di uno di essi). Lei stessa è una specie di bambina, essendo stata, come la sua gente, isolata troppo a lungo dai contatti con l’esterno. Sebbene sia straordinariamente intelligente — faceva pratica di inglese con Arkady “per divertimento” prima che lui partisse per l’Inghilterra e le lettere che ci ha scritto provano che, come suo fratello, ha ereditato il talento linguistico della madre poetessa — è anche enormemente ingenua.
Ma il suo prozio, Vlad…
Di lui non so cosa dire, tranne che mi spaventa, mi disgusta, e mi affascina. Non lo voglio vicino ai miei bambini. Forse il mio desiderio sarà esaudito, perché sembra terribilmente debole e pallido e, secondo Arkady, è incredibilmente vecchio.
Quando lasciammo Bistritz, vidi la paura negli occhi del vecchio cocchiere e la vedo quotidianamente negli occhi della mia cameriera, Dunya. Lei e gli altri domestici rabbrividiscono quando io o uno degli altri membri della famiglia ci avviciniamo, e non ci guardano negli occhi. Dopo aver conosciuto il Principe, ne capisco la ragione. C’è qualcosa di terribilmente inquietante in lui, qualcosa di spaventoso. Non riesco a definirlo, poiché ha a che vedere con l’istinto, e non con la ragione. Persino il cane, Bruto, lo percepisce, e fugge la presenza del Principe.
Ma Arkady e Zsuzsanna no. Lo guardano con un tale amore e una tale devozione! Ne parlano con un rispetto che altri riserverebbero a Dio, e minimizzano tutto ciò che essi definiscono piccole eccentricità: Vlad non ha partecipato nemmeno al funerale, ma nessuno si è offeso. È come se li avesse ipnotizzati.
Invece, la sera seguente al nostro arrivo, venne al pomana di Petra, un tradizionale “banchetto per il morto” per il quale furono preparati tutti i piatti preferiti dal defunto: mamaliga, una pappa piccante di farina di grano con sopra uova affogate, cavolo ripieno, e un piatto di pollo con una salsa rossa pepata.
È stata una faccenda breve e dolorosa. Nella sala da pranzo, simile a una caverna, Arkady, Zsuzsanna ed io, siamo rimasti in attesa, malinconici beneficiari di una sovrabbondanza di ricchezza, circondati da candelabri d’argento dai cento bracci, da un servizio da tavola in oro puro, e dal cristallo finemente lavorato, in cui ogni faccia rifletteva un migliaio di scintillanti lingue di fuoco. Eravamo seduti a un lungo, pesante tavolo di legno che avrebbe facilmente potuto ospitare trenta persone, e dall’altra parte del salone c’era un secondo tavolo della stessa lunghezza ma di altezza inferiore, che io suppongo fosse per i bambini.
Non potei fare a meno di pensare quanto fosse triste che la famiglia si fosse ridotta a noi tre più lo zio. Apparentemente, non fui l’unica a cui venne in mente questo pensiero, poiché Zsuzsanna si voltò verso Arkady e, con una debole e forzata allegria, gli disse:
«Ti ricordi, Kasha, quando eravamo bambini e zio Radu veniva a farci visita da Vienna?».
Mio marito annuì mentre diceva, con una voce ancora bassa per il dolore:
«Mi ricordo. Portava con sé le nostre cugine».
«Sei figlie», disse Zsuzsanna, con un sorriso tremante. I suoi grandi occhi neri luccicarono alla luce della candela per le lacrime non versate. Apparentemente, il pomana viene considerato come un lieto evento, il ricordo di ciò che c’era di buono nella vita del defunto, ma lei sembrava oscillare sull’orlo di un precipizio emotivo, incerta se ridere o piangere. «Tutte così allegre, così intelligenti! Sedevamo con loro a quel tavolino», lo indicò, «e loro cominciavano a cantare per gli adulti. Ti ricordi?». Ora cantò una frase di quella che sembrò alle mie orecchie una ninna nanna transilvana; la sua voce era chiara e gradevole. «E papà convinceva gli adulti a cantare il ritornello».
Poi cantò ancora e, così facendo, un’unica lacrima le scivolò lungo la guancia; quando ebbe finito, il suo sorriso incerto si allargò. Con la stessa generosità emotiva che mi faceva amare suo fratello, si voltò verso di me ed esclamò:
«Sono così felice che tu sia venuta! Sono stata così triste per il fatto che la nostra famiglia fosse separata, ma ora avremo di nuovo dei bambini che ridono in queste stanze!».
Toccata, le afferrai la mano magra e la strinsi. Prima che potessi rispondere, Arkady si voltò nella sua sedia e Zsuzsanna lanciò uno sguardo veloce all’entrata. Seppi, immediatamente, che il Principe era arrivato, e seguii il loro sguardo, ansiosa di vedere, finalmente, il benefattore che aveva riversato così tanta gentilezza su di me e sulla sua famiglia.
Al vederlo, riuscii a malapena a trattenere un sussulto di spavento. Il suo aspetto era alquanto diabolico. Rimase sull’entrata, con la sua figura alta, imponente, che sembrava principesca in ogni millimetro. Sembrava, però, emaciato, mezzo denutrito, e così orrendamente pallido da sembrare senza sangue. Per contrasto, la pallida e consunta Zsuzsanna appariva come una rosa in fiore. La mia prima impressione fu che soffrisse di anemia o di qualche terribile forma di tisi. La sua carnagione si addiceva quasi perfettamente ai suoi capelli bianchi argentei e, nella luce tremula della candela, la sua pelle assumeva una strana fosforescenza. Immaginai che, se avessimo spento tutte le candele e fossimo rimasti al buio, lui avrebbe potuto continuare a risplendere come una lucciola. Eppure, nonostante il pallore, le sue labbra erano di un rosso intenso e scuro e quando, al vederci, si aprirono in un sorriso, apparvero per un momento dei denti color avorio, troppo lunghi e aguzzi.
Sorprendentemente, né Arkady né sua sorella sembrarono turbati dallo strano aspetto del loro zio o dai suoi spaventosi occhi magnetici. Quegli occhi mi studiarono con una tale intensità predatrice da farmi rabbrividire, e nella mia mente sorse un pensiero spontaneo: Ha fame, ha terribilmente fame.
Lui non disse nulla, ma rimase fermo come una statua all’entrata finché, finalmente, Zsuzsanna gridò; «Zio! Zio!» con una tale eccitazione e un tale giubilo che uno avrebbe potuto pensare che il padre fosse appena ritornato dal regno dei morti. Faticò per spingere all’indietro la pesante sedia, come se intendesse correre da lui come una bambina. «Per favore, entra!».
All’invito di lei, lui attraversò la soglia per entrare nella stanza. Sia Arkady che Zsuzsanna si alzarono e lo baciarono, un bacio su ogni guancia. Lui si fermò un po’ di più con Zsuzsanna, circondandole la vita con le braccia e…
Possa Dio perdonarmi per i miei pensieri cattivi se lui è innocente, ma non sono una che si lascia andare all’immaginazione o ai pettegolezzi. So quello che ho visto. Quando lei alzò gli occhi su di lui, i suoi occhi brillavano di adorazione, e lui guardò in basso verso di lei con una chiara, inequivocabile fame. Percepii un momento incerto, in cui lui sembrò appena in grado di controllarsi, poi alzò lo sguardo, vide la mia espressione indagatrice, e le sue labbra si curvarono verso l’alto.