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— Una — disse.

Un attimo dopo gli fu servito un boccale pieno. Pagò e appoggiò i gomiti sul banco, la testa fra le mani, fissando la profondità del liquido scuro.

Il ricordo dell’uomo morto sulle lame, coi capelli mossi dal vento, riaffiorò nella mente di Shane. Certo, pensò, non ci sarà qualche portento nella farfalla detta anche Pellegrino? Cercò di mettere l’immagine dell’insetto fra sé e il ricordo del condannato, ma qui, lontano dal cielo azzurro e dalla luce del sole, la piccola figura non prendeva forma nella sua mente. Per disperazione, Shane pensò ancora all’immagine che costituiva la sua consolazione privata — la visione dell’uomo incappucciato che poteva sfidare gli Aalaag e ripagarli per quello che avevano fatto. Riuscì quasi ad evocarla. Ma l’immagine del Vendicatore non voleva fissarsi nella sua mente. Continuava ad essere scacciata dal ricordo dell’uomo sulle lame…

— Undskylde! — gli disse una voce all’orecchio. — Herre… Herre!

Per una frazione di secondo le parole furono solo rumori estranei. Nell’emozione del momento era tornato a pensare in inglese. Poi i suoni si tradussero. Alzò lo sguardo sul viso del barista. Al di là, il bar era di nuovo già mezzo vuoto. Poca gente al giorno d’oggi poteva sottrarre più di qualche minuto al lavoro costante richiesto per non venire ridotti alla fame — o anche peggio, per non essere scacciati dal lavoro e diventare così dei vagabondi legalmente eliminabili.

— Mi scusi — ripeté il barista; e questa volta la mente di Shane era tornata in Danimarca. — Signore, lei non sta bevendo.

Era vero. Davanti a Shane il bicchiere era ancora pieno. Dietro di esso, la faccia del barista era magra e curiosa, lo fissava con la curiosità amorale di un furetto.

— Io… — Shane si controllò. Aveva quasi cominciato a spiegare chi era — il che non sarebbe stato prudente. Pochi tra i comuni esseri umani avevano in simpatia i loro simili che erano diventati servitori in qualche casa Aalaag.

— È scosso da quello che ha visto nella piazza, signore? È comprensibile — disse il barista. Si sporse in avanti e sussurrò, — Forse qualcosa di più forte della birra? Da quanto tempo non assaggia un po’ di schnapps?

Il gusto del pericolo si risvegliò nella mente di Shane. Una volta Aalborg era famosa per la sua acquavite, ma questo prima dell’arrivo degli Aalaag. Il barista doveva averlo preso per uno straniero, forse pieno di soldi. Poi all’improvviso Shane si rese conto che non gli importava cosa pensasse il barista, o dove avesse preso il liquore distillato. Era quello di cui aveva bisogno ora — qualcosa di esplosivo per combattere la violenza a cui aveva appena assistito.

— Le costerà dieci… — mormorò il barista.

Dieci unità monetarie erano la paga di un giorno di lavoro per un abile falegname, ma solo una piccola frazione della paga di Shane per le stesse ore lavorative. Gli Aalaag pagavano bene i sudditi delle loro case. Troppo bene, secondo la maggior parte degli altri umani. Questa era una delle ragioni per cui Shane viaggiava per il mondo per conto del suo padrone indossando l’abito povero e dimesso da Pellegrino.

— Va bene — disse. Mise mano alla borsa appesa al cordone che portava intorno alla vita ed estrasse il fermamonete. Il barista si lasciò sfuggire un fischio sommesso.

— Signore — disse, — non vorrà mettersi di questi tempi a sventolare proprio qui dentro quel rotolo, soprattutto un rotolo come quello?

— Grazie. Io… — Shane abbassò il fermamonete sotto la banco mentre sfilava una banconota. — Prendine uno con me.

— Ma certo, sì, signore — disse il barista. I suoi occhi scintillavano come il metallo del toro Cimbriano al sole. — Dato che se lo può permettere…

La sua mano magra si allungò e fece sparire la banconota offertagli da Shane. Si chinò sotto il registratore di cassa e riemerse con due di quei grossi bicchieri, ciascuno pieno per circa un quinto di un liquido incolore. Tenendo i bicchieri tra il suo corpo e quello di Shane, in modo da sottrarli alla vista degli altri clienti, gliene passò uno.

— A giorni migliori — disse, e alzò il bicchiere vuotandolo in un fiato. Shane lo imitò; e l’aspra oleosità del liquore gli fiammeggiò in gola, mozzandogli il respiro. Come aveva sospettato era un liquore grezzo, distillato illegalmente, di gradazione alcolica altissima, che non aveva niente in comune con l’acquavite di una volta, se non il nome. E anche dopo averlo inghiottito, continuò ad infiammare l’interno della sua gola come brace ardente.

Shane prese automaticamente il suo bicchiere di birra ancora pieno per lenire il bruciore. Il barista aveva già tolto i due bicchieri di liquore e si era spostato più in là per servire un altro cliente. Shane inghiottì con sollievo: la densa birra era leggera come acqua dopo il grezzo alcool di contrabbando. Un senso di calore cominciò a diffondersi lentamente nel suo corpo. I ricordi più acuti e dolorosi si smussarono; e sulla scia di questo conforto, stavolta ottenuto senza fatica, riaffiorò la sua fantasticheria consolatrice del Vendicatore. Il Vendicatore, si disse, era stato là nella piazza durante le esecuzioni senza farsi notare, e adesso era in attesa di qualche luogo dove poter assalire gli Aalaag, padre e figlio, per poi fuggire prima che si potesse chiamare la polizia. Aveva in mano una bacchetta nera e dorata, rubata da un arsenale Aalaag, e attendeva accanto ad una finestra aperta, guardando la strada in basso dove due figure in armatura verde e argento cavalcano verso di lui…

— Un altro, signore?

Era di nuovo il barista. Sorpreso, Shane guardò il suo bicchiere di birra e vide che anche quello era vuoto, ora. Un altro sorso di quella dinamite liquida? Oppure un altro bicchiere di birra? Non poteva rischiare nessuno dei due. Esattamente tra un’ora, davanti a Lyt Ahn, doveva essere sicuro di non tradire alcuna emozione nel riferire a che cosa aveva dovuto assistere nella piazza, e non doveva nemmeno mostrare il minimo segno di ubriachezza o dissipazione. Anche queste erano debolezze non permesse ai servitori dell’alieno, dato che l’alieno non le permetteva a se stesso.

— No — disse. — Devo andare.

— Un bicchiere le è bastato? — Il barista inclinò la testa. — Lei è fortunato, signore. Alcuni di noi non dimenticano così facilmente.

Il tocco di sarcasmo di quell’amara osservazione urtò i nervi già troppo tesi di Shane. Un’ira incontenibile, improvvisa, cominciò a scuoterlo, che ne sapeva quest’uomo di quello che voleva dire vivere con gli Aalaag, essere sempre trattato con quella specie di affetto indifferente che è peggio del disprezzo — quello stesso tipo di affetto che un umano potrebbe dare a un bravo animale domestico — e assistere sempre a scene come quella nella piazza, non una o due volte all’anno, ma ogni settimana, forse ogni giorno?

— Sta a sentire… — ribatté seccamente, ma si trattenne. Ancora una volta, aveva rischiato di rivelare chi era e cosa faceva.

— Sì, signore? — disse il barista dopo averlo guardato un momento. — Sto ascoltando.

Shane credette di percepire un’ombra di sospetto nella voce dell’altro. Quella percezione poteva essere solo un’eco del suo tumulto interiore, ma non poteva rischiare.

— Sta a sentire — ripeté, abbassando la voce, — Perché crede che io mi vesta così?

Indicò il suo abito da Pellegrino.

— Ha fatto un voto. — Ora la voce del barista era asciutta, remota.

— No. Non capisci… — L’insolito calore del liquido dentro di sé gli diede un’ispirazione. L’immagine della farfalla si insinuò — e si confuse — con l’immagine del Vendicatore. — Tu credi che sia stato solo un brutto incidente oggi, là fuori nella piazza? Be’, non lo è stato. Non è stato accidentale, voglio dire… non dovrei parlarne.