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Mentre si girava, vide qualcosa nell’aria e si abbassò automaticamente. Una pietra vibrò contro il muro vicino alla vetrina, e rimbalzò indietro. Shane fece un passo di lato per avere il vetro alle sue spalle. I due che erano rimasti ora avevano raggiunto il bordo del marciapiede davanti a lui, ancora in posizione tale da impedirgli la fuga. L’uomo rossiccio fece una smorfia soppesando una pietra nella mano. Ma la fragile lastra di vetro alle spalle di Shane lo tratteneva. Un umano morto o malmenato era niente; ma una vetrina rotta voleva dire immediato allarme automatico alla polizia Aalaag; e gli Aalaag non erano pietosi nell’eliminazione dei Nonservi.

— È l’ultima possibilità — disse l’uomo rossiccio. — Dacci la borsa.

Mentre parlava, lui e il suo compagno si gettarono su Shane simultaneamente. Shane balzò a sinistra per prendere prima l’uomo su quel lato, ed allontanarsi dalla vetrina abbastanza per poter ruotare liberamente il bastone. Sollevò in alto il bastone e lo abbassò in un colpo che andò a scontrarsi con la mazza dell’altro, facendo cadere l’uomo a terra, dove vi rimase, stringendosi il braccio spezzato tra il gomito e la spalla.

Shane piroettò per affrontare l’uomo rossiccio, che si era sollevato sulla punta dei piedi, la pesante mazza alzata all’indietro con tutte e due le mani per vibrare un violento colpo dall’alto.

Di riflesso, Shane mulinò in alto la parte inferiore del suo bastone; e la punta massiccia, indurita a fuoco, colpì a velocità fantastica il punto di congiunzione tra il collo e la mascella dell’uomo.

Il vagabondo rotolò a terra; giacque immobile sulla strada, il capo piegato innaturalmente rispetto al collo.

Shane si voltò, ansimando, il bastone pronto a colpire. Ma l’uomo col braccio spezzato stava già correndo via nella direzione da cui era appena venuto Shane. Gli altri due erano ancora a terra, e non mostravano nessuna intenzione di alzarsi.

La strada era silenziosa.

Shane rimase là, respirando con grande affanno, appoggiato al suo bastone. Era incredibile. Aveva affrontato tre uomini armati — armati più o meno come lo era lui — e li aveva sconfitti. Guardò i corpi stesi a terra e stentò a crederci. Tutto il suo allenamento col randello… era stato a scopo di difesa; e lui aveva sperato di non doverlo usare mai nemmeno contro un solo avversario. Ora, ce n’erano stati tre… e lui aveva vinto.

Sentiva una strana sensazione di calore, forza e sicurezza. Forse, gli venne in mente all’improvviso, era così che si sentivano gli Aalaag. Nel qual caso, c’erano sensazioni peggiori di questa. Sapersi conquistatore e guerriero era qualcosa che gonfiava il petto e raddrizzava la schiena. Forse era questa la sensazione di cui aveva bisogno per capire gli Aalaag — aveva avuto bisogno di vincere con la forza, rischiando un poco, esattamente come loro…

Si sentì sul punto di respingere tutto l’odio e l’amarezza che aveva accumulato dentro di sé negli ultimi due anni. Forse la forza poteva davvero costituire un diritto.

Si avvicinò per studiare gli uomini che aveva sconfitto.

Erano tutti e due morti. Shane rimase a guardarli. Erano sembrati abbastanza magri, avvolti nei loro stracci, ma solo quando si trovò direttamente accanto a loro si accorse quanto fossero davvero magri e ossuti. Erano come scheletri con artigli.

Restò immobile, lo sguardo abbassato sull’ultimo che aveva ucciso; e lentamente il calore e l’orgoglio svanirono rapidamente. Vide le guance ispide e smunte, il collo filiforme, l’angolo aguzzo dell’osso mascellare che sporgeva da quel volto senza vita. Quei lineamenti lo colpirono profondamente. L’uomo doveva essere stato affamato — letteralmente affamato. Guardò l’altro cadavere e pensò all’uomo che era fuggito. Quei tre non avevano mangiato probabilmente da diversi giorni.

All’improvviso, il suo senso di vittoria lo abbandonò; e la disgustosa bile dell’amarezza gli salì un’altra volta in gola. Qui, aveva sognato di se stesso come un guerriero. Un grande eroe — l’uccisore di due nemici armati. Solo che le armi di quei nemici erano stati bastoni e pietre, e i nemici stessi erano uomini mezzi morti con appena la forza di usare le proprie armi. Non erano Aalaag, non erano i potenti conquistatori del mondo sfidati dal Pellegrino, ma umani come lui ridotti quasi allo stato animale da coloro che li consideravano, senza distinzione, come bestiame.

Shane si sentì inondare dal disgusto. Qualcosa come una bomba ad orologeria esplose dentro di lui. Si voltò e corse verso la piazza.

Quando arrivò, era ancora deserta. Respirando a fondo, rallentò il passo, e camminò attraverso la piazza, dirigendosi verso il corpo immobile sulla triplice lama, che giaceva insieme all’altro alla base del muro. Ora l’ira l’aveva abbandonato, e così il disgusto. Si sentiva vuoto, completamente vuoto — anche della paura. Era una strana sensazione, la mancanza di paura. Finalmente era riuscito a liberarsene; tutto il sudore e gli incubi degli ultimi due anni, tutto quel vacillare sull’orlo del precipizio dell’azione.

Anche adesso, non sapeva dire esattamente come era arrivato infine a saltare in quel precipizio. Ma non importava. E sapeva che la paura non se n’era andata, sarebbe tornata. Ma anche questo non importava. Niente importava, nemmeno la fine che ora certamente lo aspettava. L’unica cosa davvero importante era che finalmente aveva cominciato ad agire, a fare qualcosa per un mondo che non riusciva più a sopportare.

Con molta calma si avvicinò al muro, sotto le lame che reggevano il corpo dell’uomo. Si guardò intorno per vedere se era spiato: ma non c’era anima viva né sulla piazza né dietro le finestre che vi si affacciavano.

Infilò la mano in tasca per prendere l’unico pezzo di metallo che gli era permesso di portare. Era la chiave del suo appartamento privato nella residenza di Lyt Ahn a Denver — «schermata» come dovevano essere tutte le chiavi come quella, in modo da non interferire con il campo che gli Aalaag avevano attivato su ogni città e villaggio, per essere informati su qualsiasi metallo non autorizzato in possesso degli umani. Con la punta della chiave Shane incise una rozza figura sul muro sotto il corpo: il Pellegrino e il suo bastone.

La dura punta della chiave di metallo scavò facilmente la superficie annerita del mattone fino a scoprire il colore rosso originario. Shane si allontanò, rimettendo la chiave nella borsa. Le ombre del tardo pomeriggio avevano già cominciato ad allungarsi dagli edifici per nascondere quello che aveva fatto. E i corpi non sarebbero stati rimossi prima dell’alba — questo secondo la legge Aalaag. Quando la figura incisa sui mattoni sarebbe stata notata da uno degli alieni, lui si sarebbe già trovato nella «mandria» della casa di Lyt Ahn, confuso tra gli altri.

Confuso nella massa, ma diverso, d’ora in poi — in un modo che gli Aalaag ancora dovevano scoprire. Si voltò e si allontanò in fretta lungo la strada che doveva portarlo alla nave-corriere aliena che lo stava aspettando. Il tremolio colorato delle ali di una farfalla — o forse era solo il barbaglio di un riflesso di qualche finestra in alto che per un attimo era sembrata ammiccare di colori — lo colpì con la coda dell’occhio. Forse, pensò all’improvviso con calore, era proprio la farfalla che aveva visto emergere dal suo bozzolo nella piazza. Era bello sentire che poteva essere la stessa, piccola, libera creatura.

— Aggiungi un Pellegrino — le sussurrò trionfante. — Vola, fratellino. Vola!