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Di nuovo cadde tra loro il silenzio, per alcuni istanti. — Com'era l'altro mondo… la vostra casa?

— Ci sono delle canzoni che spiegano com'era — egli disse, ma quando ella chiese timidamente che cosa fosse una canzone, Agat non rispose. Dopo qualche tempo, egli disse: — A casa, il mondo era più vicino al suo sole, e l'intero anno durava meno di una fase lunare. Così dicono i libri. Se uno ci pensa, l'intero inverno durerebbe allora soltanto novanta giorni… — Questa osservazione li fece ridere entrambi. — Non avresti neppure il tempo di accendere il fuoco — commentò Rolery.

L'oscurità vera e propria cominciava a infilarsi nella penombra dei boschi. Il sentiero davanti a loro si fece indistinto, un debole varco fra gli alberi, che a sinistra portava alla città di lei, a destra a quella di lui. Lì, nel mezzo, c'erano soltanto il vento, il buio, la solitudine. La notte s'appressava rapidamente. La notte e l'inverno e la guerra, il tempo della morte. — Ho paura dell'Inverno — ella disse, molto piano.

— L'abbiamo tutti — egli rispose. — Come sarà?… Noi abbiamo conosciuto soltanto la luce del sole.

Non c'era mai stato nessuno, tra la gente di Rolery, che avesse spezzato l'impavida, indifferente solitudine della sua mente; sia per il fatto di non avere coetanei, sia per scelta deliberata, ella era sempre stata sola, se ne era sempre andata per la sua strada, e poco le era importato di qualsiasi persona. Ma ora che il mondo era diventato grigio e nulla recava con sé una promessa al di là della morte, ora che per la prima volta provava paura, Rolery l'aveva incontrato, aveva incontrato la figura scura, accanto alla torre di rocce che dominava il mare, e aveva udito una voce che le aveva parlato nel sangue.

— Perché non mi guardi mai negli occhi? — egli le chiese.

— Ti guarderò — ella disse, — se vuoi che lo faccia. — Ma non lo guardò, sebbene sapesse che il suo sguardo strano e ombroso era su di lei. Infine gli tese la mano ed egli la prese.

— Hai gli occhi dorati — egli disse. — Lo voglio… lo voglio… Ma se sapessero che siamo stati insieme, anche adesso…

— I tuoi?

— I tuoi. Ai miei, la cosa non importa.

— E i miei non devono venirlo a sapere. — Entrambi parlavano soltanto a bisbigli, ma in tono pressante, senza pause.

— Rolery, io parto per il nord tra due giorni.

— Lo so.

— Quando ritornerò…

— Ma se tu non ritornassi! — la ragazza gridò, sotto la spinta del terrore che era entrato in lei con la fine dell'Autunno, la paura del freddo, della morte. Egli la tenne stretta contro di sé, dicendole piano che sarebbe certamente ritornato. E mentre egli parlava, Rolery senti il battito del suo cuore e del proprio. — Voglio stare con te — ella disse, ed egli stava dicendo: — Voglio stare con te.

Era buio intorno a loro. Quando si alzarono, camminarono lentamente nell'oscurità che rendeva ogni cosa sempre più grigia. Ella lo accompagnò, si diressero alla città di lui. — Dove possiamo andare? — disse Agat, con una sorta di risata amara. — Questo non è come l'amore in Estate… C'è un capanno da caccia, qui sotto… Si accorgeranno della tua mancanza, a Tevar.

— No — ella sussurrò. — Nessuno la sentirà.

CAPITOLO SESTO

La neve

I corrieri erano partiti; l'indomani gli Uomini di Askatevar si sarebbero messi in marcia verso nord lungo l'ampio e vago sentiero che tagliava il loro Territorio, mentre il gruppo più piccolo di Landin avrebbe preso l'antica strada costiera. Al pari di Agat, Umaksuman aveva creduto che fosse meglio mantenere separate le due forze, fino alla vigilia della battaglia. Erano alleate soltanto in base all'autorità di Wold. Molti degli uomini di Umaksuman, sebbene veterani di numerose scorrerie e incursioni prima della Pace Invernale, provavano riluttanza a partire per quella guerra fuori stagione; e una grossa fazione, perfino all'interno del suo stesso Clan, detestava a tal punto l'alleanza con i Nati Lontano da essere pronta a fare un guaio alla prima occasione. Ukwet e altri avevano detto apertamente che una volta che l'avessero fatta finita con i Gaal, l'avrebbero fatta finita anche con gli stregoni. Agat non dava importanza a queste parole, prevedendo che la vittoria avrebbe smorzato il loro pregiudizio, o la sconfitta gli avrebbe posto fine; ma esse preoccupavano Umaksuman, che non guardava tanto in avanti.

— I nostri esploratori si terranno a portata di vista da voi per tutto il percorso. Dopotutto, non è detto che i Gaal siano restati al confine ad attendere il nostro arrivo.

— La Valle Lunga, sotto la Cima Spezzata, sarebbe un ottimo luogo per la battaglia — disse Umaksuman, con il lampo di sorriso che gli era caratteristico. — Buona fortuna, Alterra!

— Buona fortuna a te, Umaksuman. — Si separarono in amicizia, laggiù sotto la porta della Città Invernale, fatta di pietre cementate con l'argilla. Mentre Agat si voltava, qualcosa guizzò nell'aria ferma del pomeriggio, dietro l'arco: un movimento che ondeggiava, privo di direzione. Alzò gli occhi, stupito, poi si voltò. — Guarda.

Il nativo uscì dalle mura e si fermò accanto a lui per un momento, a guardare per la prima volta la fonte delle narrazioni dei vecchi della tribù. Agat tese la mano, con il palmo sollevato. Una guizzante macchia bianca gli toccò il polso e spari. La lunga vallata, i campi di stoppa e i pascoli consumati, il ruscello, le scure propaggini della foresta e le montagne lontane, a sud e ad ovest, tutti parevano tremare leggerissimamente, ritrarsi, mentre fiocchi privi di ordine cadevano dal cielo basso, ruotando su di sé e scendendo obliqui, sebbene il vento fosse calato.

Le voci dei bambini si alzarono eccitate dietro di loro, fra i tetti di legno, aguzzi e inclinati.

— La neve è più piccola di quanto credessi — disse infine Umaksuman, in tono sognante.

— Pensavo di trovarla più fredda. L'aria sembra più calda di prima… — Agat si scosse dall'incanto sinistro, affascinante, della roteante caduta della neve. — Arrivederci al nord — disse, e tirandosi sul collo il colletto di pelliccia per proteggersi dallo strano, curioso contatto dei minuscoli fiocchi, si avviò lungo il sentiero che portava a Landin.

Mezzo chilometro all'interno della foresta, egli scorse il sentiero laterale, poco marcato, che conduceva alla capanna dei cacciatori, e avvicinandosi ad esso gli parve che nelle vene gli scorresse luce liquida. — Su, su — disse a se stesso, indispettito dalle ricorrenti perdite di autocontrollo. Si era chiarito perfettamente la cosa nei brevi intervalli che aveva avuto a disposizione per riflettere, durante la giornata. La notte prima… era la notte prima. D'accordo, era quello e nient'altro. A parte il fatto che lei era in fin dei conti un'aliena ed egli era umano, e che pertanto non c'era alcun futuro nella relazione, tutto l'accaduto era una sciocchezza anche per altre ragioni. Fin da quando egli aveva visto la sua faccia, sui gradini neri in occasione della marea, aveva pensato a lei e aveva desiderato vederla, come un adolescente che vive nelle nuvole perché si è preso una cotta della sua prima ragazza; e se c'era una cosa che odiava era la stupidità, l'ostinata stupidità della passione incontrollata. Portava gli uomini a correre rischi fuor d'ogni calcolo, a mettere a repentaglio le cose più importanti, in cambio di un semplice momento di passione, a perdere il controllo sulle loro azioni. E quindi, per mantenere il controllo di sé, egli era andato con lei la sera prima: era semplicemente la cosa più sensata per superare la crisi. E così ripeté ancora una volta a se stesso, mentre camminava a passo assai rapido, tenendo alta la testa, mentre la neve danzava sottile intorno a lui. Questa notte si sarebbe nuovamente incontrato con lei, per lo stesso motivo. Al pensiero, un flusso di luce tiepida e una gioia dolorosa gli percorsero il corpo e la mente; egli li ignorò. Domani sarebbe stato lontano, a nord, e se fosse ritornato ci sarebbe stato il tempo di spiegare alla ragazza che non potevano esserci altre notti simili, non sarebbero più stati insieme distesi, sul mantello di pelliccia di lui, nel rifugio in mezzo alla foresta, illuminato dalla luce delle stelle proveniente dall'alto e con tutt'intorno il freddo e il grande silenzio… no, mai più… La felicità assoluta ch'ella gli aveva dato si alzò in lui come un'onda di marea, sommergendo ogni pensiero. Egli non disse più nulla a se stesso. Continuò a camminare rapidamente con le sue lunghe falcate, nella crescente oscurità dei boschi, e mentre camminava cantava sottovoce, senza neppure accorgersi di farlo, una vecchia canzone d'amore della sua razza esiliata.