Umaksuman si stagliò dietro di lui alla poca luce della porta d'ingresso. Era curvo sotto un pesante fardello che portava sulle spalle. — Venite, portate i bambini! — ruggì, e al suono della sua voce conosciuta tutte si mossero. Agat le raggruppò sulle scale, disponendo intorno a loro i suoi uomini perché le proteggessero, poi diede l'ordine. Corsero via dalla Casa Familiare e si diressero verso la porta della città. Nessun Gaal interruppe la loro corsa: uno strano gruppetto di donne, bambini, uomini, guidati da Agat che, con un'ascia Gaal in mano, copriva la corsa di Umaksuman, il quale portava sulle spalle un grosso fardello penzolante, il vecchio capo, suo padre Wold.
Uscirono dalla porta, scambiarono alcuni colpi con un gruppo di Gaal nel vecchio accampamento; e con altre squadre di uomini di Landin e di fuggiaschi, alcune davanti a loro, altre dietro, si dispersero nei boschi. L'intera incursione attraverso Tevar aveva richiesto circa cinque minuti.
Nella foresta non c'era sicurezza. Esploratori e squadre Gaal erano sparpagliati lungo tutta la strada che portava a Landin. I fuggitivi e i loro salvatori si allargarono in gruppetti di una o due persone, dirigendosi a sud, verso l'interno dei boschi. Agat rimase con Umaksuman, che non poteva difendersi perché doveva portare il vecchio. Avanzarono a fatica tra gli alberi più bassi. Non incontrarono nessun nemico fra le macchie grige e le basse colline, i tronchi caduti e i mucchi di rami secchi e di arbusti mummificati. In qualche punto imprecisato, dietro di loro, assai lontano, una donna urlava e urlava.
Occorse loro molto tempo per spingersi a sud e ad est in un ampio semicerchio, nella foresta, sui monti e poi di nuovo a nord, finalmente, in direzione di Landin. Quando Umaksuman non poté proseguire, Wold prese a camminare, ma riuscì solamente a procedere con molta lentezza. Quando infine uscirono dagli alberi, videro le luci della Città dell'Esilio, che splendevano assai lontano, nell'oscurità e nel vento, al di sopra del mare. Semitrascinando il vecchio, percorsero ancora faticosamente un tratto sulla collina e giunsero alla Porta di Terra.
— Arrivano nativi! — esclamarono le guardie, prima ancora ch'essi giungessero abbastanza vicino, scorgendo i capelli chiari di Umaksuman. Poi scorsero Agat, e le voci gridarono: — L'Alterra, l'Alterra!
Scesero ad accoglierlo e lo portarono all'interno della città: uomini che avevano combattuto al suo fianco, avevano preso i suoi ordini, gli avevano salvato la pelle in quei tre giorni di guerriglia nei boschi e sulle montagne.
Avevano fatto quel che avevano potuto: quattrocento di loro contro un nemico che sciamava come le vaste migrazioni delle bestie… quindicimila uomini, aveva valutato Agat. Quindicimila guerrieri, e nel complesso sessanta o settantamila Gaal, con le loro tende e le pentole, le slitte a travois e gli hann, i tappeti di pelliccia e le asce, i bracciali e le culle legate alle spalle e gli acciarini, tutte le loro scarse proprietà e la loro paura dell'Inverno e la loro fame. Egli aveva visto le donne Gaal, negli accampamenti, raccogliere dai tronchi i licheni morti e mangiarli. Non sembrava possibile che la piccola Città dell'Esilio esistesse ancora, immune da quel fiume di violenza e di fame, con le torce accese sulle porte di ferro e legno scolpito, e uomini che lo accoglievano al suo ritorno a casa.
Cercando di raccontare la storia degli ultimi tre giorni, egli disse: — Siamo usciti dietro la loro linea di marcia, ieri pomeriggio. — Le parole non avevano realtà; e neppure l'aveva quella stanza calda, la faccia degli uomini che conosceva da sempre e che lo stavano ascoltando. — Il… il terreno dietro di loro, dove era passata l'intera migrazione, in alcune delle valli più strette… sembrava la terra dopo una frana. La terra nuda. Nulla di nulla. Ogni cosa ridotta in polvere, ridotta a nulla dal passaggio di tanti piedi…
— Ma come possono andare avanti? Che cosa mangiano? — mormorò Huru.
— Le scorte invernali delle città che conquistano. Ormai il territorio è spoglio, i raccolti sono stati portati all'interno, le bestie più grandi sono andate a sud. Devono saccheggiare ogni città che incontrano sul loro cammino, e mangiare le mandrie di hann, altrimenti moriranno di fame prima ancora di essere usciti dalla zona delle nevi.
— Allora verranno anche qui — disse tranquillamente uno degli Alterra.
— Credo di sì. Domani o dopodomani. — Questo era vero, ma anche questo non era reale. Si passò la mano sulla faccia, e senti la sporcizia e la stanchezza, e il dolore alle labbra, che ancora non gli era passato. Gli era parso di dover fare il proprio rapporto ai governanti della città, ma adesso era così stanco che non poteva dire altro, e non riusciva ad ascoltare ciò che gli altri dicevano. Si volse a Rolery, inginocchiata in silenzio accanto a lui. Senza alzare i suoi occhi d'ambra, ella disse assai piano: — Dovresti andare a casa, Alterra.
Egli non aveva pensato a lei in tutte quelle interminabili ore di lotta e di fuga e di spari e di attesa nascosto nei boschi. La conosceva da due settimane; aveva parlato con lei, con una certa lunghezza, forse tre volte; era stato con lei una volta sola; l'aveva presa in moglie nel Palazzo della Legge tre giorni prima, all'alba, e un'ora più tardi era partito per la guerriglia. Sapeva ben poco di lei, ed ella non apparteneva neppure alla sua specie. E tra un paio di giorni, probabilmente, entrambi sarebbero morti. Egli fece la sua risata silenziosa e posò gentilmente la mano sulla sua. — Sì, portami a casa — disse. Silenziosa, delicata, diversa, ella si alzò e attese ch'egli prendesse commiato dagli altri.
Le aveva detto che Wold e Umaksuman, con circa duecento persone della sua gente, erano scappati o erano stati salvati dall'espugnata Città Invernale, e adesso si erano rifugiati a Landin. Ella non aveva chiesto di raggiungerli. Mentre salivano insieme per la stradicciola che portava dalla casa di Alla a quella di Agat, ella gli chiese: — Perché siete entrati a Tevar per salvare la gente?
— Perché? — La domanda gli pareva strana. — Perché non si sarebbe salvata da sola.
— Questa non è una ragione, Alterra.
Pareva sottomessa, la timida moglie indigena che eseguiva i voleri del suo signore. In realtà, egli si stava accorgendo, era ostinata, aveva una forte volontà ed era orgogliosa. Parlava piano, ma diceva esattamente ciò che desiderava dire.
— No, è una ragione, Rolery. Non si può rimanere seduti a guardare quei maledetti mentre uccidono lentamente la gente. E poi, io voglio combattere, difendermi…
— Ma la vostra città: come pensate di dar da mangiare alle persone che avete portato qui? Se i Gaal vi assediano, oppure dopo, nell'Inverno?
— Abbiamo abbastanza. Il cibo non è ciò che ci preoccupa. Ciò che ci serve sono soltanto gli uomini.
Incespicava un poco, per la stanchezza. Ma la notte chiara e gelida gli aveva schiarito la mente, ed egli sentiva risorgere una piccola fonte di gioia che da tempo non conosceva più. Aveva la sensazione che quel piccolo sollievo, quella leggerezza di spirito, gli venisse data dalla presenza di lei. Da molto tempo si sentiva responsabile di tutto. Ella, la straniera, la forestiera, di sangue e mentalità diversi, non condivideva il suo potere o la sua coscienza o le sue conoscenze o il suo esilio. Ella non condivideva nulla di lui, ma l'aveva incontrato e si era unita a lui completamente e istantaneamente, attraversando l'abisso della loro grande diversità: come se fosse stata quella differenza, l'estraneità fra loro, a farli incontrare, e, unendoli insieme, a liberarli.