— Preferirei che non aveste dimenticato come si costruiscono gli eroplani — urlò a Seiko Esmit una volta, mentre scendevano sferragliando di corsa, con il pesante carrello che sobbalzava dietro di loro. Seiko non rispose; forse non aveva sentito. Continuava a svolgere il suo faticoso lavoro (pareva che tra i Nati Lontano non ci fossero dei deboli) ma la fatica era visibile in lei: lavorava come una persona in trance. Una volta, mentre si avvicinavano alla Porta, i Gaal avevano cominciato a scagliare frecce incendiarie che cadevano gettando fumo e scintille sulle pietre e sulle tegole dei tetti. Seiko, imbrigliata dalle corde, si era divincolata come un animale in trappola, impaurita dalle frecce incendiate che volavano sulla sua testa. — Si spengono, questa città non brucia — aveva detto Rolery, piano, ma Seiko, voltandosi e senza guardare, aveva detto: — Ho paura del fuoco, ho paura del fuoco…
Ma quando un giovane armato di balestra, in cima al muro, era stato colpito in faccia da una pietra dei Gaal ed era caduto all'indietro dal suo precario punto di combattimento, precipitando a braccia spalancate accanto a loro, e aveva gettato a terra due delle donne legate al carretto e aveva imbrattato di sangue e materia cerebrale la loro gonna, era stata Seiko a recarsi da lui per prendere sulle ginocchia quella testa fracassata e per mormorare addio al morto. — Era un tuo consanguineo? — domandò Rolery, quando Seiko riprese le corde e tornarono al lavoro. La donna Alterra rispose: — Siamo tutti consanguinei nella Città. Era Jonkendy Li… il più giovane del Concilio.
Un giovane lottatore nell'arena della grande piazza, che luccicava di sudore e di trionfo, e le diceva di andare dove voleva in quella città. Era il primo Nato Lontano che avesse parlato con lei.
Non vedeva Agat dalla sera di due giorni prima, poiché ogni persona, umana o Nata Lontano, rimasta a Landin aveva il proprio compito e il proprio posto, e quello di Agat era dappertutto, dovendo armare una città di millecinquecento abitanti contro un esercito di quindicimila uomini. Con il trascinarsi del giorno, quando la stanchezza e la fame cominciarono a consumare le sue forze, ella cominciò a vedere anche lui disteso a terra sulle pietre sporche di sangue, all'altro principale punto d'attacco, la Porta del Mare, sopra gli scogli. La sua squadra interruppe il lavoro per mangiare pane e frutta secca portati da un ragazzo allegro che spingeva un carretto di vettovaglie del solito tipo, con gli appoggi rotondi; una seria ragazzina che trascinava un otre d'acqua diede loro da bere. Rolery si rincuorò. Era certa che tutti loro sarebbero morti, poiché ella aveva visto, dalla cima dei tetti, i nemici che oscuravano le montagne: il loro numero non aveva fine, essi non avevano ancora iniziato l'assedio vero e proprio. Ed ella era altrettanto certa che Agat non potesse essere ucciso, e che, per il fatto che egli sarebbe sopravvissuto, sarebbe sopravvissuta anche lei. Che aveva a che fare con lui la morte? Egli era la vita: la vita di Rolery. Si sedette sulla strada lastricata, masticando soddisfatta il pane duro. La mutilazione, lo stupro, la tortura e l'orrore la circondavano a meno di un tiro di freccia da tutte le parti, ma ella continuò a sedere laggiù e a masticare il suo pane. Finché avessero combattuto con ogni loro forza, con tutto il cuore, così come stavano facendo, erano almeno al sicuro dalla paura.
Ma dopo poco tempo giunse un momento terribile. Mentre trascinavano il loro pesante carico verso la porta, il suono di ferraglia del carro ed ogni altro rumore vennero sommersi da un incredibile schiamazzo proveniente dall'esterno della porta, un ruggito simile a quello di un terremoto, talmente profondo e intenso che lo si sentiva nelle ossa, più che con le orecchie. E la porta sobbalzò sui cardini di ferro, rabbrividendo. Ella vide allora Agat, per un momento. Stava correndo, a capo di un vasto gruppo di arcieri e di uomini armati con pistola a dardi provenienti dalle parti basse della città, e mentre correva urlava ordini a un altro gruppo che stava sulle mura.
Tutte le donne si dispersero, con l'ordine di rifugiarsi in strade più vicine al centro della città. Hooo, hooo, hooo! gridava la voce della moltitudine alla Porta di Terra, un rumore così vasto che pareva che fossero le montagne stesse a gridare, decise ad alzarsi e a precipitare nel mare la città. Il vento era gelido, pungente. La squadra di cui faceva parte Rolery si era dispersa, tutto era confusione. Ella non aveva alcun lavoro a cui dedicarsi. Si stava facendo buio. Il giorno non era così avanzato, non era ancora giunto il momento dell'oscurità. D'improvviso ella comprese di essere veramente prossima alla morte, credette nella propria morte imminente; rimase immobile e pianse in silenzio, laggiù nella strada vuota, in mezzo alle case alte, vuote.
In una strada laterale, alcuni ragazzi stavano sollevando pietre e le portavano più in basso, per rafforzare le barricate che erano state poste nelle quattro strade che portavano alla piazza principale, come rinforzo alle porte. Ella si unì al gruppo per tenersi calda, per fare qualcosa. Faticarono in silenzio, in cinque o sei, facendo un lavoro che era troppo pesante per loro.
— La neve — disse uno dei ragazzi, fermandosi accanto a lei. Ella sollevò lo sguardo, distogliendolo dalla pietra che stava spingendo a palmo a palmo lungo la strada, e vide i bianchi fiocchi che roteavano davanti a lei e che cadevano sempre più fitti di momento in momento. Tutti s'immobilizzarono. Ora non c'era più vento, e la voce mostruosa che gridava alla porta tacque. La neve e l'oscurità giunsero insieme, portando il silenzio.
— Guardate — disse la voce di un ragazzo, meravigliata. Già era divenuto impossibile vedere la fine della strada. Un debole riflesso giallastro era la luce del Palazzo della Lega, a solo un isolato di distanza.
— Abbiamo tutto l'Inverno per guardare la neve — disse un altro ragazzo. — Se arriveremo a vederlo. Andiamo! Staranno già servendo il pasto, al Palazzo.
— Vieni? — disse il più giovane, rivolto a Rolery.