— I miei sono nell'altra casa, il Tiatro, credo.
— No, mangiamo tutti nel Palazzo, per risparmiare lavoro. Vieni con noi. — I ragazzi erano timidi, rudi, camerateschi. Rolery li segui.
La notte era giunta presto; il giorno giunse tardi. Ella si destò in casa di Agat, al suo fianco, e vide una luce grigia sulle pareti grige, strisce di confuso chiarore che filtravano dietro le imposte che nascondevano le finestre di vetro. Ogni cosa era ferma, completamente immobile. All'interno della casa e al suo esterno non c'era il minimo rumore. Come poteva essere così silenziosa una città assediata? Ma l'assedio e i Gaal sembravano molto lontani, tenuti a distanza da quello strano silenzio dell'alba. Lì si stava caldi, e lì c'era Agat, al suo fianco, perduto nel sonno. Ella continuò a giacere immobile.
Qualcuno che bussava al piano di sotto, pugni battuti contro la porta, voci. L'incanto si ruppe; il momento di felicità passò. Stavano chiamando Agat. Ella lo destò, compito arduo; infine, ancora accecato dal sonno, egli si mise in piedi e spalancò finestra e imposta, lasciando entrare la luce del giorno.
Il terzo giorno dell'assedio, il primo della tempesta. La neve era già alta un piede nelle strade e continuava a cadere, senza interruzione, a volte fitta e calma, spesso sospinta da un aspro vento del nord. Ogni cosa era messa a tacere e trasformata dalla neve. Le montagne, la foresta, i campi, tutti erano spariti; non c'era cielo. I tetti vicini svanivano nel bianco. C'era neve caduta e neve che cadeva, per una breve distanza, e poi non si poteva più vedere nulla.
Ad ovest la marea si era ritirata sempre più indietro, nella tempesta silenziosa. Il viadotto elevava sul vuoto le sue curve. La Torre era invisibile. Non c'era il cielo, non c'era il mare. La neve continuava a cadere sui precipizi bui, nascondendo la sabbia.
Agat richiuse imposte e finestre e si voltò verso di lei. Il suo viso era ancora rilassato dal sonno, la sua voce era roca. — Non possono essersene andati — mormorò. Poiché era ciò che gli avevano gridato dalla strada: «I Gaal se ne sono andati, sono partiti, stanno correndo a sud…».
Non si poteva saperlo. Dalle mura di Landin non si poteva vedere altro che la tempesta. Ma un poco più avanti, entro la tempesta, potevano esserci mille tende rizzate, in attesa che la tempesta di neve cessasse; oppure poteva non essercene alcuna.
Alcuni esploratori si spinsero al di là delle mura, a mezzo di corde. Tre ritornarono dicendo di essere risaliti lungo la montagna fino alla foresta e di non avere incontrato Gaal; ma erano ritornati poiché non avevano più potuto vedere la città stessa, giunti a un centinaio di metri di distanza. Uno non fece ritorno. Catturato, o disperso nella tempesta?
Gli Alterra si incontrarono nella biblioteca del Palazzo; come di consueto, qualsiasi cittadino che lo desiderasse venne ad ascoltare con diritto di prendere la parola. Il Concilio degli Alterra era di otto persone, adesso, non di dieci. Jonkendy Li era morto, e così pure Haris: il più giovane e il più vecchio. Ma i presenti erano solo sette, perché Dipilota era di guardia. La stanza, tuttavia, era affollata di ascoltatori silenziosi.
— Non sono partiti… Non sono vicino alla città… Alcuni… alcuni lo sono… — Alla Pasfal parlava con voce spessa, e sul collo le pulsavano le vene; aveva la faccia grigia come la cenere. Tra tutti i Nati Lontano era colei che era meglio allenata in ciò che essi chiamavano ascolto mentale: poteva udire i pensieri della gente più lontano di ogni altro, e poteva ascoltare una mente che non sapeva di essere spiata.
Questo è proibito, aveva detto Agat molto tempo prima… una settimana prima?… e si era espresso contro il tentativo di scoprire se i Gaal fossero ancora accampati nei pressi di Landin. — Non abbiamo mai infranto questa legge — aveva detto. — Non l'abbiamo mai infranta in tutto l'Esilio. — E aveva aggiunto: — Sapremo dove sono i Gaal non appena la neve cesserà di cadere; nel frattempo resteremo di sorveglianza.
Ma gli altri non erano d'accordo con lui, e la sua volontà venne messa in minoranza. Rolery provò un senso di confusione e di pena, quando vide che si tirava indietro e che accettava la loro decisione. Egli aveva cercato di spiegarle perché dovesse fare così; le aveva detto di non essere il capo della città o del Concilio, che erano eletti dieci Alterra e che essi governavano insieme, ma tutto ciò non aveva senso per Rolery. O egli era il loro capo, oppure non lo era; e se non lo era, erano perduti.
Ora la vecchia tremava, con gli occhi che non vedevano, e cercava di mettere in forma di parole le mezze cose indicibili che vedeva in menti straniere i cui pensieri venivano formulati in un linguaggio sconosciuto, la comprensione rapida e inarticolata di ciò che toccavano le mani di uno straniero: — Tengo in mano… in mano… una corda… — balbettò.
Rolery rabbrividì di paura e di disgusto; Agat sedeva voltato dall'altra parte, senza guardare Alla, ritirato in se stesso.
Infine Alla tacque, e rimase immobile a sedere per lungo tempo, con il capo chino.
Seiko Esmit versò per ciascuno dei sette Alterra e per Rolery la piccola tazza cerimoniale di tii; ciascuno, limitandosi a sfiorarla con le labbra, la passò a un concittadino, e questi a un altro, finché la tazza fu vuota. Rolery guardò affascinata la tazza che Agat le diede, prima di bere e di passarla avanti. Azzurra, fragile come una foglia, permetteva che la luce le passasse attraverso, come un gioiello.
— I Gaal se ne sono andati — disse Alla Pasfal a voce alta, sollevando la faccia segnata dal tempo. — Adesso sono in cammino, in qualche valle tra due montagne… questa immagine mi è giunta assai chiaramente.
— La valle del Giln — mormorò uno degli uomini. — Circa dieci chilometri a sud delle Paludi.
— Stanno fuggendo dall'Inverno. Le mura della città sono salve.
— Ma la legge è stata spezzata — disse Agat, e la sua voce, divenuta roca, passò come una lama in mezzo al mormorio di speranza e di giubilo. — Le mura si possono riparare. Be', vedremo…
Rolery lo accompagnò giù per le scale e attraverso l'ampia Sala delle Assemblee, affollata ora di tavole e cavalletti, poiché la mensa comune era stata allestita laggiù, sotto gli orologi dorati e i disegni di cristallo dei pianeti che ruotavano intorno ai loro soli. — Andiamo a casa — egli disse, e infilandosi il grosso cappotto di pelliccia che era stato distribuito a tutti, prelevato dai magazzini sotto il Palazzo Vecchio, uscirono insieme nell'accecante vento della Piazza. Prima ancora che avessero potuto fare dieci passi, una grottesca figura sporca di bianco e di strisce rossastre uscì dalla tempesta e si precipitò verso di loro, urlando: — La Porta del Mare, sono dentro le mura alla Porta del Mare…
Agat rivolse una sola occhiata a Rolery e scomparve nella tempesta. In un attimo, il clamore del metallo contro il metallo si alzò bruscamente dalla torre che li sovrastava, rimbombando nell'aria resa pesante dalla neve. Chiamavano campana quel grande rumore, e prima ancora che iniziasse l'assedio, tutti avevano imparato i suoi segnali. Quattro colpi, cinque, e poi silenzio, poi cinque ancora, e altri cinque: tutti alla Porta del Mare, la Porta del Mare…
Rolery trascinò di lato il messaggero, sotto il porticato del Palazzo della Lega, prima che gli uomini accorressero dalla porta, senza pelliccia o sforzandosi di infilarla mentre correvano, armati e disarmati, precipitandosi nella neve turbinosa, e svanendo in essa prima ancora di essere giunti a metà della Piazza.
Non giunsero altri. Ella poté udire del rumore in direzione della Porta del Mare, rumore che sembrava molto lontano in mezzo al suono del vento e l'effetto ovattante della neve. Al riparo sotto il porticato, il messaggero si appoggiava a lei. Sanguinava da una profonda ferita al collo, e sarebbe caduto se ella non l'avesse tenuto. Riconobbe la sua faccia; era l'Alterra chiamato Dipilota, ed ella si servi del suo nome per tenerlo cosciente e per farlo muovere mentre cercava di portarlo all'interno dell'edificio. Egli inciampava per la debolezza e mormorava come se volesse ancora comunicare il suo messaggio: — Sono dentro, hanno fatto irruzione, sono dentro le mura…