CAPITOLO DODICESIMO
L'assedio della piazza
L'alta, stretta Porta del Mare venne chiusa, le sbarre ritornarono nella loro sede. La battaglia nella tempesta era finita. Ma gli uomini della città, voltandosi, videro, al di là dei mucchi di neve macchiati di sangue della strada e dietro la neve che ancora cadeva, numerose ombre che correvano.
Si affrettarono a raccogliere i loro morti e feriti e ritornarono alla Piazza. In quella tormenta, non si poteva esercitare alcuna sorveglianza contro le scale e i nemici che cercassero di arrampicarsi: sulle mura la visibilità era ridotta a cinque o sei metri. Un Gaal o un gruppo di Gaal si era insinuato all'interno, proprio sotto gli occhi delle guardie, e aveva aperto agli assalitori la Porta del Mare. L'assalto era stato ricacciato indietro, ma il prossimo poteva avere luogo in qualsiasi punto, in qualsiasi momento, con forze assai maggiori.
— Io credo — disse Umaksuman, camminando insieme con Agat in direzione della barricata tra il Tiatro e il College, — che la maggior parte dei Gaal si sia diretta a sud, oggi.
Agat annui. — Sono stati costretti a farlo. Se non vanno avanti, muoiono di fame. Ciò che dobbiamo affrontare adesso è una forza di occupazione, lasciata indietro per finirci e per vivere delle nostre riserve. Quanti possono essere?
— Alla porta non erano più di un migliaio — disse l'indigeno, perplesso, — ma possono essercene altri. E tutti saranno all'interno delle mura… Laggiù! — Umaksuman indicò una forma che scappava, piegata in due, e che era apparsa per un istante fra le cortine di neve, a metà della strada. — Tu da quella parte — mormorò l'indigeno, e svanì improvvisamente a sinistra. Agat fece il giro dell'isolato, da destra, e incontrò nuovamente Umaksuman nella strada. — Non ho avuto fortuna — disse.
— Io sì — disse il tevarano, concisamente, e sollevò una scure Gaal, intarsiata d'osso, che prima non aveva. Alta sulle loro teste, la campana della torre del Palazzo continuava a mandare rintocchi sordi e lenti attraverso la neve: uno, due… uno, due… uno, due… Ritirarsi nella Piazza, nella Piazza… Tutti coloro che avevano combattuto alla Porta del Mare, coloro che erano di sentinella sulle mura e alla Porta di Terra, o che dormivano nelle loro case o cercavano di sorvegliare dai tetti, erano giuriti o si stavano recando nel cuore della città, la Piazza tra i quattro grandi edifici. A uno a uno vennero fatti passare oltre le barricate. Umaksuman e Agat infine giunsero anch'essi, consapevoli che era follia rimanere in quelle strade percorse da ombre. — Andiamo, Alterra! — lo sollecitò l'indigeno, e Agat lo segui, riluttante. Era duro lasciare la città al nemico.
Il vento era calato. A volte, attraverso lo strano e complesso silenzio della tempesta, la gente radunata nella Piazza poteva udire rumori di vetri infranti, il colpo di un'ascia contro una porta, provenienti da una delle strade che si perdevano nella neve che ancora cadeva. Molte delle case erano aperte, a disposizione dei saccheggiatori; in esse i Gaal avrebbero trovato ben poco, oltre a un riparo dalla neve. Ogni briciola di cibo era stata trasferita ai magazzini del Palazzo, una settimana prima. I tubi che portavano acqua e gas naturale alle case, eccetto quelli dei quattro edifici della Piazza, erano stati chiusi la notte prima. Le fontane di Landin erano asciutte, sotto i loro anelli di ghiaccioli e il loro peso di neve. Tutti i magazzini e i granai erano sottoterra, nelle cantine e gallerie scavate generazioni prima, al di sotto del Palazzo Vecchio e del Palazzo della Lega. Vuote, gelide, buie, le case deserte non offrivano nulla agli invasori.
— Possono vivere delle nostre mandrie per una fase lunare… anche senza foraggio per le bestie; abbatteranno gli hann e affumicheranno la carne… — L'Alterra Dermat aveva incontrato Agat alla porta del Palazzo della Lega, ed era in preda al panico, pieno di rimbrotti.
— Per prima cosa dovranno catturare gli hann — brontolò Agat, come risposta.
— Cosa vuoi dire?
— Voglio dire che abbiamo aperto le porte delle stalle pochi minuti fa, mentre eravamo alla Porta del Mare, e abbiamo lasciato fuggire gli animali. Il Pastore Paol era con me, e ha trasmesso un'onda di panico. Sono scappati via come una freccia, precipitandosi nella tempesta.
— Hai lasciato fuggire gli hann… le mandrie? Di che cosa vivremo per il resto dell'inverno… se i Gaal se ne andranno?
— Paol ha trasmesso anche a te il panico degli hann, Dermat? — sbottò Agat. — Credi che non siamo capaci di radunare ancora una volta i nostri animali? E le riserve di grano, la caccia, il grano della neve… che diavolo ti piglia?
— Jakob — mormorò Seiko Esmit, ponendosi fra lui e il vecchio. Si accorse che aveva urlato contro Dermat, e cercò di ricomporsi. Ma era maledettamente difficile arrivare da un combattimento sanguinoso come la difesa della Porta del Mare e doversi occupare di un caso di isterismo maschile. La testa gli faceva male, violentemente; la ferita al cuoio capelluto che si era fatto in una delle incursioni contro l'accampamento dei Gaal gli faceva ancora male, anche se avrebbe già dovuto essersi rimarginata; alla Porta del Mare non aveva ricevuto ferite, ma era sporco del sangue di altri uomini. Sulle alte finestre, prive di imposte, della biblioteca, la neve formava strisce e bisbigliava. Era mezzogiorno; sembrava il crepuscolo. Sotto le finestre si stendeva la Piazza con le sue barricate ben sorvegliate. Al di là di queste si allargavano le case abbandonate, le mura indifese, la città della neve e delle ombre.
Quel giorno della loro ritirata nella Città Interna, il quarto dell'assedio, rimasero all'interno delle barricate; ma già quella notte, quando la caduta di neve s'interruppe per qualche tempo, una squadra d'esplorazione lasciò la Piazza, passando per i tetti del College. La tormenta riprese allo spuntar dell'alba, o forse si trattò di una seconda tormenta che seguiva a brevissima distanza la prima, e nascosti dalla neve e dal freddo gli uomini e i ragazzi di Landin si dedicarono al gioco della guerriglia nelle strade della loro stessa città. Uscirono a squadre di due o tre, e andarono alla ricerca dei nemici lungo le strade e i tetti e le stanze, ombre fra le ombre. Si servirono di coltelli, dardi avvelenati, bolas, frecce. Fecero irruzione nelle loro case medesime e uccisero i Gaal che vi avevano trovato rifugio, o furono uccisi da loro.
Poiché non soffriva di vertigini, Agat era uno dei migliori nel gioco della guerriglia nella variante da tetto a tetto. La neve rendeva alquanto scivolose le tegole oblique, ma la prospettiva di colpire i Gaal con i dardi era irresistibile, e il rischio di essere ucciso non era superiore a quello delle altre versioni dello stesso sport: nascondersi dietro gli angoli o penetrare nelle case.
Il sesto giorno dell'assedio, quarto della tempesta: questa volta la neve era fine, sparsa, spinta dal vento. I termometri, nell'Archivio del Palazzo Vecchio, che ora veniva usato come ospedale, segnavano 4 °C sotto zero, all'esterno, e gli anemometri riportavano raffiche superiori ai 100 km/h. Fuori era spaventoso, il vento scagliava sulla faccia come pietrisco la neve sottile, la spingeva nelle case attraverso i vetri rotti delle finestre, ormai prive di imposte perché queste erano state utilizzate per fare un falò, l'accumulava sui pavimenti rotti. C'era poco calore e poco cibo in qualsiasi punto della città, eccetto i quattro palazzi della Piazza. I Gaal si affollavano in stanze vuote, bruciando materassi e porte e finestre spaccate e bauli nel mezzo del pavimento, aspettando che la tempesta finisse. Non avevano provviste… il cibo disponibile se n'era andato con la Migrazione. Quando il tempo fosse cambiato, essi avrebbero potuto recarsi a caccia, spegnere la resistenza degli abitanti della città, e da allora in poi vivere delle scorte invernali di Landin. Ma finché durava la tempesta, gli attaccanti pativano la fame.