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— Si adatta. Reagisce. Cambia! Data una sufficiente pressione, e sufficienti generazioni, l'adattamento favorevole tende a divenire prevalente… La radiazione solare finirebbe con l'operare, a lungo andare, verso una sorta di norma biochimica locale… tutte le nascite non vitali e gli aborti allora sarebbero degli iperadattamenti o forse un risultato dell'incompatibilità fra la madre e un feto normalizzato… — Wattock smise di agitare le forbici e tornò a chinarsi sul suo lavoro, ma dopo un istante rialzò gli occhi e riprese a fissare nel vuoto in quel suo modo assorto, senza vedere, e mormorò: — Strano, strano, strano!… Questo implicherebbe, sai, che l'incrocio potrebbe avere luogo.

— Ti ascolto ancora — mormorò Rolery.

— Che uomini ed eis potrebbero avere figli insieme!

Questo Rolery lo capì, alla fine, ma non capì se il medico lo dicesse come un dato di fatto, o un augurio, o un timore. — Anziano, io sono troppo ottusa per ascoltarti — ella disse.

— Lo capisci abbastanza bene — disse una voce debole, accanto a loro: l'Alterra Dipilota, che era desto. — Così, pensi che infine siamo diventati una goccia d'acqua nel catino, Wattock? — Dipilota si era sollevato su un gomito. Gli occhi scuri scintillavano nella faccia sottile, febbricitante, bruna.

— Se tu e molti altri avete ferite davvero infette, allora il fatto deve pur trovare una qualche spiegazione.

— Accidenti all'adattamento, allora. Accidenti ai vostri incroci e alla vostra reciproca fertilità! — disse il malato, e fissò Rolery. — Finché il nostro seme è stato puro, siamo stati Uomini. Esuli, Alterra, umani. Fedeli alle conoscenze e alle Leggi dell'Uomo. Ma adesso, se possiamo incrociarci con gli eis, la nostra goccia di sangue umano si perderà prima che sia passato un altro Anno. Diluita, assottigliata fino a ridursi a nulla. Nessuno userà più questi strumenti, o leggerà questi libri. I nipoti di Jakob Agat siederanno in cerchio, picchiando due pietre tra loro e urlando, fino alla consumazione del tempo… Maledetti stupidi barbari, non potete lasciar stare gli uomini… lasciarci stare! — Tremava di febbre e di collera. Il vecchio Wattock, che aveva continuato a maneggiare uno dei suoi piccoli dardi cavi, riempiendolo, ora tese la mano nella sua maniera tranquilla, da dottore, e punse il povero Dipilota nel braccio. — Stenditi, Huru — disse, e con un'espressione perplessa sul volto il ferito obbedì. — Non me ne frega niente di morire delle vostre sudice infezioni — disse ancora, con voce che diveniva sempre più roca, — ma i vostri sudici mocciosi, teneteli lontano di qui, teneteli fuori… della Città…

— Questa lo terrà tranquillo per un po' — disse Wattock, e trasse un sospiro. Rimase a sedere in silenzio mentre Rolery continuava a preparare bende. Ella era abile e instancabile in quel tipo di lavori. Il vecchio dottore la osservò con faccia meditabonda.

Quando ella si rialzò perché la schiena cominciava a farle male, vide che anche il vecchio si era addormentato: uno scuro mucchietto di pelle e di ossa aggobbito nell'angolo dietro la tavola. Continuò a lavorare, chiedendosi se davvero avesse capito ciò che il vecchio dottore aveva detto, e se egli ne fosse certo: che ella poteva dare un figlio ad Agat.

Si era completamente dimenticata che Agat poteva benissimo essere già morto, per quanto ne poteva sapere lei. Continuò a sedere laggiù in mezzo al sonno dei feriti, sotto la città in rovina piena di morte, e meditò senza parole sulle possibilità di vita.

CAPITOLO QUATTORDICESIMO

Il primo giorno

Il freddo fece presa più duramente, quando cadde la notte. La neve che si era sciolta alla luce del sole divenne ghiaccio scivoloso. Nascosti sui tetti vicini o nei piani più alti, i Gaal lanciavano frecce dalla punta intinta nella pece, che descrivevano traiettorie rosse dorate, come uccelli di fuoco, attraverso l'aria gelida e scura. I tetti dei quattro edifici cinti d'assedio erano di rame, e le pareti erano di pietra; il fuoco non attecchì. L'attacco alle barricate terminò, non vennero più scagliate frecce dalla punta di ferro o di fuoco. Dall'alto della barricata, Jakob Agat vide le strade sempre più buie perdersi nella distanza, vuote, fra le case nere.

Dapprima gli uomini della Piazza si attesero un attacco notturno, poiché i Gaal erano chiaramente disperati; ma fece sempre più freddo, sempre più. Infine Agat ordinò che si tenesse soltanto il minimo di guardia, e lasciò che la maggior parte degli uomini andasse a farsi medicare le ferite, e a mangiare e riposare. Se erano esausti, altrettanto esausti dovevano essere i Gaal, ed essi erano almeno vestiti in modo adatto al freddo, mentre i Gaal non lo erano. Neppure la disperazione avrebbe potuto spingere gli uomini del nord ad affrontare quella terribile notte chiara, illuminata dalle stelle, nei loro stracci di feltro e pelo. Quindi i difensori si addormentarono, molti ai loro posti di guardia, raccolti nelle sale e accanto alle finestre degli edifici riscaldati. E gli assedianti, privi di cibo, si riunirono intorno ai falò, dentro alte stanze di pietra; e i loro morti rimasero a giacere, con le membra rigide, nella neve coperta da una crosta di ghiaccio, sotto le barricate.

Agat non voleva dormire. Non poteva entrare in uno degli edifici, abbandonando la Piazza dove per tutto il giorno avevano combattuto per salvarsi la vita, e che adesso giaceva così silenziosa sotto le costellazioni dell'Inverno. L'Albero; e la Freccia; e l'Orma di cinque stelle; e la Stella della Neve medesima, che ardeva fiera al di sopra dei tetti ad est: le stelle dell'Inverno. Bruciavano come cristalli nella profonda e fredda oscurità del cielo.

Egli sapeva che questa era l'ultima notte: o la sua ultima notte, o quella della città, o l'ultima notte della battaglia… ma non sapeva quale fosse. E mentre le ore si consumavano, e la Stella della Neve s'innalzava sempre di più, e un profondo silenzio dominava la Piazza e le strade accanto ad essa, una specie di esaltazione si impadronì di lui. Dormivano, tutti i nemici all'interno di quelle mura cittadine, e gli pareva di essere il solo che vegliasse; come se la città appartenesse, con tutti i suoi dormienti e tutti i suoi morti, a lui solo. Questa era la sua notte.

Non intendeva passarla chiuso in una trappola che stava dentro a un'altra trappola. Rivolta una parola alla guardia semiaddormentata, salì sulla barricata di Via Esmit e si lasciò scivolare dall'altro lato. — Alterra! — qualcuno gridò dietro di lui, con un roco bisbiglio; egli si limitò a voltarsi e a indicare con un gesto di tenere pronta per lui una fune, per il ritorno, e andò avanti, proprio nel bel mezzo della strada. La sua convinzione della propria invulnerabilità era talmente forte che sarebbe stato di malaugurio dubitarne. L'accettò, e procedette per la strada buia, in mezzo ai nemici, come se facesse una passeggiata dopo avere pranzato.

Passò davanti alla sua casa, ma non si voltò. Le stelle si eclissarono dietro i tetti neri e spigolosi, e poi riapparvero, e il loro riflesso scintillò sul ghiaccio, sotto i suoi piedi. Verso la parte più alta della città, la strada si restringeva e descriveva una curva in mezzo a case che erano deserte fin da prima della nascita di Agat, e poi si spalancava improvvisamente per formare la piccola piazza dietro la Porta di Terra. Le catapulte erano ancora lì, in parte rotte e smantellate dai Gaal per ricavarne legna da ardere, e accanto a ciascuna c'era un mucchietto di pietra. Gli alti battenti erano rimasti aperti per qualche tempo, ma adesso erano di nuovo sbarrati, e il gelo li aveva cementati. Agat salì gli scalini a fianco di una delle torri della porta, e si portò fino a una postazione sul muro; ricordò di essere stato nello stesso luogo, intento a guardare giù, poco prima che cominciasse a nevicare: aveva visto l'intero esercito dei Gaal, una ruggente marea umana, simile all'onda di piena che si scatenava sulla spiaggia. Se avessero avuto più scale, tutto sarebbe finito con quella giornata… Ora non c'era nulla che si muovesse; nulla che facesse alcun rumore. Neve, silenzio, luce delle stelle sul pendio e gli alberi morti, carichi di ghiaccio, che gli facevano corona.