Si guardò alle spalle, verso ovest, passando lo sguardo sull'intera Città dell'Esilio; una piccola macchia di tetti che si perdevano lontano verso il basso, a partire dal suo punto d'osservazione elevato e fino alle mura sul promontorio. Sopra quella manciata di pietre, le stelle scorrevano lentamente verso ovest. Agat rimase a sedere immobile, avvertendo il gelo anche se indossava pesanti vestiti di cuoio e pelliccia, e fischiettò piano un motivetto di danza.
Infine senti che la stanchezza della giornata si impadroniva di lui, e discese dal punto dove s'era appollaiato. I gradini erano gelidi. Scivolò sul penultimo, evitò di cadere afferrandosi alla pietra non squadrata del muro, e poi, ancora barcollante, posò lo sguardo su qualcosa che aveva visto muoversi, sull'altro lato della piccola piazza.
Nel nero abisso di una strada che si apriva tra due case c'era qualcosa di bianco che si muoveva: un leggero movimento oscillante, simile a un'onda vista nel buio. Agat fissò la scena, senza capire. Poi la figura entrò nel vago grigiore della luce delle stelle: una forma alta, sottile, bianca, che correva assai rapidamente verso di lui, simile a un uomo nella corsa, e la cui testa, sul collo lungo e curvo in avanti, dondolava un poco da una parte e dall'altra. Mentre correva, emetteva un suono debole, un sibilo misto a un cinguettio.
Agat non aveva mai lasciato la pistola, ma aveva la mano rigida a causa della ferita del giorno precedente, e il guanto gli era d'impaccio: sparò, e il dardo si piantò, ma la creatura era già su di lui, con le braccia tozze e unghiute che cercavano di afferrarlo, la testa spinta in avanti con il suo movimento ondeggiante, dondolante, e una bocca rotonda, zannuta, che si spalancava. Agat si gettò contro le gambe della creatura, per cercare di farla cadere a terra e così poter sfuggire al primo morso di quella bocca spalancata, ma la bestia fu più svelta di lui. Prima ancora che egli avesse toccato terra, la bestia si voltò e lo afferrò, ed egli senti che gli artigli di quelle piccole braccia dall'apparenza debole laceravano il cuoio della pelliccia e degli abiti, e si accorse di essere immobilizzato al suolo. Una forza irresistibile gli piegò indietro la testa, scoprendogli la gola; poi vide le stelle roteare nel cielo, alte sopra di lui, e sparire.
Poi cercò di rialzarsi in piedi, con le mani e le ginocchia, sulle pietre gelide, accanto a una grande, fetida massa di pelo bianco che si contorceva e tremava. Occorrevano cinque secondi perché il veleno dei dardi facesse effetto; per poco non era un secondo di troppo. La bocca rotonda continuava ad aprirsi e richiudersi di scatto, le gambe, con i loro piedi larghi e piatti, voltati verso l'esterno come racchette da neve, si agitavano ancora, come se il diavolo della neve stesse continuando a correre. I diavoli della neve vanno a caccia in branchi, Agat ricordò improvvisamente, mentre cercava di riprendere il fiato e la padronanza di sé… Ricaricò la pistola con dita impacciate, ma metodicamente, e tenendola pronta ritornò indietro per Via Esmit; senza correre per non rischiare di scivolare sul ghiaccio, ma senza neppure troppa calma. La strada era ancora vuota, e serena, e molto lunga.
Ma quando fu vicino alla barricata, aveva ripreso a fischiettare.
Dormiva profondamente nella stanza del College quando il giovane Shevik, il loro migliore arciere, venne a destarlo, bisbigliando in tono pressante: — Vieni, Alterra, vieni, svegliati, devi venire a vedere… — Rolery non era giunta nel corso della notte; gli altri che condividevano la stanza erano profondamente addormentati.
— Che c'è, che succede? — mormorò Agat, già in piedi, mentre cercava di infilarsi il cappotto stracciato.
— Vieni alla Torre — fu l'unica cosa detta da Shevik.
Agat lo seguì, dapprima docilmente, poi, destatosi del tutto, con un inizio di comprensione. Attraversarono la Piazza, grigia al primo pallido lucore, salirono la scala a chiocciola della Torre della Lega e guardarono la città, in basso. La Porta di Terra era aperta.
I Gaal si erano radunati al suo interno, e stavano uscendo. Era arduo vederli nella mezza luce, prima dell'alba; ce ne dovevano essere tra mille e duemila, valutarono gli uomini che stavano con Agat, ma era difficile dirlo con esattezza. Erano soltanto macchie scure in movimento sotto le mura e sulla neve. Sfilarono via dalla Porta in gruppi e mucchietti, che sparivano l'uno dopo l'altro sotto le mura e riapparivano più lontano, sul fianco della collina, trotterellando via in una lunga fila irregolare, diretti a sud. Prima che si fossero allontanati, la poca luce e le pieghe della montagna li nascosero; ma prima che Agat smettesse di guardare, l'oriente era già divenuto luminoso, e una fredda aurora era giunta fino a metà del cielo.
Le case e le strade in salita della città si stendevano perfettamente tranquille nella luce del mattino.
Qualcuno cominciò a suonare la campana, sopra le loro teste, nella torre; uno scampanio rapido e ininterrotto, uno stupefacente suono di bronzo sul bronzo. Premendosi le mani sulle orecchie, gli uomini che erano sulla torre discesero di corsa la scala, e a metà strada incontrarono altri uomini e donne. Risero e schiamazzarono dietro Agat e cercarono di fermarlo, ma egli scappò via lungo la scala a chiocciola, mentre l'insistente gioia della campana continuava a martellare dentro di lui, e raggiunse il Palazzo della Lega. Nella grande, affollata, rumorosa sala dove i soli dorati ruotavano sulle pareti e sia gli anni che gli Anni venivano registrati dalle lancette d'oro, egli cercò la straniera, l'estranea, sua moglie. Finalmente la trovò, e prendendole le mani le disse: — Se ne sono andati, se ne sono andati, se ne sono andati…
Poi si voltò e lo gridò con un ruggito, con tutta la forza dei suoi polmoni, a tutti: — Se ne sono andati!
Tutti si misero a gridare a lui, a gridare tra loro, ridendo e piangendo. Dopo un minuto, disse a Rolery: — Vieni con me… andiamo all'isola. — Frenetico, esultante, frastornato, voleva essere sempre in movimento, recarsi nella città e assicurarsi che fosse di nuovo loro. Nessun altro aveva lasciato la Piazza fino a quel momento, e mentre superavano la barricata ovest, Agat impugnò la pistola. — Questa notte ho avuto un'avventura — disse a Rolery, ed ella, guardando lo squarcio del suo cappotto, disse: — Lo so.
— L'ho ucciso.
— Un diavolo della neve?
— Esatto.
— Da solo?
— Sì. Eravamo soli tutt'e due, fortunatamente.
L'espressione grave del volto di lei, mentre gli correva a fianco, lo fece ridere forte dal piacere.
Giunsero al viadotto, che correva nel vento gelido, tra il cielo luminoso e l'acqua scura, bordata di un merletto di schiuma.
La notizia, ovviamente, era già giunta, grazie alla campana e alla comunicazione mentale, e il ponte levatoio dell'isola era stato abbassato non appena Agat aveva messo piede sul viadotto. Uomini, donne e bambini piccoli, insonnoliti e avvolti in pellicce, giunsero di corsa ad accoglierli, con altre grida, domande, abbracci.
Dietro le donne di Landin, le donne di Tevar si tenevano in disparte, timorose e senza dar segni di gioia. Agat vide che Rolery si recava da una di esse, una giovane donna con i capelli scomposti e la faccia sporca di fuliggine. Molte di loro si erano tagliate malamente i capelli ed erano sporche e trascurate; e così pure gli uomini di Tevar che erano rimasti nell'isola. Un po' disgustato da questa macchia grigia sulla lustra mattinata della sua vittoria, Agat si rivolse a Umaksuman, che era venuto a raccogliere i compagni di tribù. Erano fermi sul ponte levatoio, sotto le mura a picco del fortilizio nero. Gli eis, uomini e donne, si erano raccolti accanto a Umaksuman, e Agat alzò il tono di voce in modo che tutti potessero ascoltare. — Gli Uomini di Tevar hanno difeso le nostre mura a fianco a fianco con gli Uomini di Landin. Diamo loro il nostro benvenuto se vorranno rimanere o se vorranno lasciarci, perché vivano con noi o vivano dove preferiscono, a loro scelta. Le porte della mia città sono aperte a voi, per tutta la durata dell'Inverno. Siete liberi di uscire, ma siete i benvenuti se volete rimanere!