Carnivoro, che aveva finito di mangiare, si alzò, soffregandosi con le mani il muso insanguinato. «Adesso io vado a caccia,» disse. «Porto a casa carne fresca.»
«Aspetta che abbiamo finito di mangiare,» propose Horton. «Verrò con te.»
«Meglio no,» disse Carnivoro. «Tu fai scappare la selvaggina.»
Si incamminò, e poi si voltò indietro. «Una cosa puoi farla,» disse. «Puoi buttare la carne vecchia nello stagno. Però tappati il naso.»
«Ce la farò,» disse Horton.
«Bene,» disse Carnivoro, e se ne andò, verso est, lungo il sentiero che portava al villaggio abbandonato.
«Dove l’hai trovato?» chiese Elayne. «E che cos’è, esattamente?»
«Ci stava aspettando quando siamo atterrati,» disse Horton. «Non sappiamo cosa sia. Ha detto di essere rimasto intrappolato qui, insieme a Shakespeare…»
«Shakespeare, a giudicare dal teschio, è umano.»
«Sì, ma di lui sappiamo poco più di quel che sappiamo di Carnivoro. Però forse riusciremo a scoprire qualcosa d’altro. Vedi, lui aveva portato con sé un volume delle opere complete di Shakespeare, e lo riempiva di annotazioni, scarabocchiando sui margini, in fondo ai testi, dovunque ci fosse spazio libero.»
«Hai letto un po’ di questi scarabocchi?»
«Un po’. Ma c’è ancora parecchio da leggere.»
«La carne è pronta,» disse Nicodemus. «C’è solo un servizio in argento… un piatto e le posate. Uno solo. Non ti dispiace, Carter, se lo dò alla signora?»
«Figurati,» disse Horton. «Mi arrangerò con le mani.»
«Bene, allora,» disse Nicodemus. «Io vado al tunnel.»
«Appena avrò mangiato,» disse Elayne, «verrò a vedere come te la cavi.»
«Mi farebbe un favore,» disse il robot. «Io non riesco a venirne a capo.»
«È abbastanza semplice,» disse Elayne. «Ci sono due quadri; uno è più piccolo. Il più piccolo controlla lo schermo del quadro più grande, il quadro dei comandi.»
«Non ci sono due quadri,» disse Nicodemus.
«Dovrebbero esserci.»
«Be’, non ci sono. C’è solo quello con lo schermo di forza.»
«E allora,» disse Elayne, «questo significa che non si tratta di un guasto. Qualcuno ha chiuso il tunnel.»
«Ci avevo pensato anch’io,» disse Horton. «Un mondo chiuso. Ma perché qualcuno dovrebbe averlo chiuso?»
«Spero,» disse Nicodemus, «che non lo scopriremo mai.» Prese la cassetta degli utensili e se ne andò.
«Oh, ma è buona!» esclamò Elayne. Si tolse il grasso dalle labbra. «La mia gente non mangia carne. Comunque, conosciamo popoli che lo fanno, e li abbiamo sempre disprezzati, ritenendolo un segno di barbarie.»
«Qui siamo tutti barbari,» disse Horton, in tono asciutto.
«Cos’era quella faccenda dell’ibernazione per il Carnivoro?»
«Carnìvoro odia questo pianeta. Vuole andarsene. Per questo desidera tanto che il tunnel venga aperto. Se il tunnel non si apre, vorrebbe partire con noi.»
«Partire con voi? Oh, sì, avete una nave. L’avete davvero?»
«L’abbiamo. Un po’ lontano da qui, sulla pianura.»
«Dov’è?»
«A pochi chilometri da qui.»
«Quindi ve ne andrete. Posso chiedere dove vi dirigerete?»
«Mi venga un accidente se lo so,» disse Horton. «È competenza di Nave. E Nave dice che non possiamo tornare alla Terra. Siamo lontani da troppo tempo, sembra. Nave dice che saremmo obsolescenti, se tornassimo. Che non ci vorrebbero, che saremmo causa d’imbarazzo per tutti. E a giudicare da quel che mi hai detto tu, penso che sia inutile tornare.»
«Nave,» disse Elayne. «Parli come se la nave fosse una persona.»
«Be’, in un certo senso lo è.»
«Ma è ridicolo. Posso capire che, dopo tanto tempo, provi per lei un sentimento d’affetto. Gli uomini hanno sempre personalizzato le loro macchine e gli utensili e le armi, ma…»
«Accidenti,» disse Horton, «non mi hai capito. La Nave è veramente una persona. Tre persone, anzi. Tre cervelli umani…»
Elayne lese una mano unta di grasso e gli afferrò il braccio. «Ripetilo,» disse. «Ripetilo, molto lentamente.»
«Tre cervelli,» disse Horton. «Tre cervelli di tre persone diverse. Collegati alla nave. La teoria era che…»
Elayne gli lasciò il braccio. «Dunque è vero,» disse. «Non era una leggenda. Quelle navi esistevano veramente.»
«Diavolo, sì. Erano abbastanza numerose. Non so quante.»
«Prima parlavo delle leggende,» disse lei. «Dell’impossibilità di distinguere tra leggenda e storia. Dell’impossibilità di essere sicuri. E questa era una delle leggende… navi che erano in parte umane, in parte macchine.»
«Non c’era niente di meraviglioso,» disse lui. «Oh, sì, forse lo era, per la verità. Ma si inquadrava nel nostro tipo di tecnologia… una fusione tra meccanico e biologico. Era nell’ambito del possibile. Nel clima tecnologico dei nostri tempi, era possibile.»
«Una leggenda divenuta realtà,» disse Elayne.
«Mi dà un’impressione strana, essere definito una leggenda.»
«Be’, non tu,» disse lei. «Ma l’intera storia. A noi sembrava inverosimile: una di quelle cose che non si possono credere.»
«Eppure hai detto che furono trovati sistemi migliori.»
«Sistemi diversi,» lo corresse Elayne. «Navi più veloci della luce, basate su principi differenti. Ma parlami di te. Non sei l’unico umano a bordo della nave, ovviamente. Non avrebbero mai lanciato una nave con un uomo solo.»
«C’erano altri tre, ma sono morti. Un incidente, mi è stato detto.»
«Ti è stato detto? Non lo sapevi?»
«Ero ibernato,» disse Horton.
«In tal caso, se non riuscissimo a riparare il tunnel, a bordo ci sarebbe posto.»
«Per te,» disse Horton. «E anche per Carnivoro, credo, se dovessimo scegliere, portarlo con noi o abbandonarlo qui. Comunque, debbo dirti che non ci sentiamo molto a nostro agio, con lui. E poi c’è il problema della chimica del suo organismo.»
«Non so,» disse Elayne. «Se non si potesse fare altro, credo che preferirei partire con voi, piuttosto di restare qui per sempre. Non mi sembra un pianeta affascinante.»
«Anch’io ho la stessa impressione,» disse Horton.
«Ma dovrei rinunciare al mio lavoro. Forse ti chiederai perché sono arrivata attraverso il tunnel.»
«Non ho avuto il tempo di chiedertelo. Tu hai parlato di mappe. Dopotutto, è affar tuo.»
Lei rise. «Non è un segreto. Non c’è niente di misterioso. Siamo un gruppo che sta preparando le mappe dei tunnel… o meglio, sta tentando di farlo.»
«Ma Carnivoro ci ha detto che sono randomizzati.»
«Perché non ne sa nulla. Probabilmente, moltissimi esseri non informati li usano, ed è logico che a loro sembrino randomizzati. Il robot ha detto che c’è un solo quadro, vero?»
«È esatto,» disse Horton. «Una sola scatola rettangolare. Sembrava un quadro di comando. Con una specie di copertura. Nicodemus pensa che sia uno schermo di forza.»
«Di solito ci sono due quadri,» disse Elayne. «Per scegliere la destinazione, devi attivare la prima scatola. Bisogna inserire tre dita in tre fori e premere i pulsanti d’attivazione. Così quello che tu chiami campo di forza scompare dal quadro della selezione. Poi premi il pulsante della destinazione. Stacchi le dita dalla prima scatola e sul quadro riappare lo schermo protettivo. Per arrivare al quadro delle selezioni, devi attivare la prima scatola. E quando hai scelto la destinazione, passi attraverso il tunnel.»
«Ma come fai a sapere dove vai? Ci sono simboli, sul quadro, che ti indicano quale pulsante premere?»
«Lì sta il trucco,» disse Elayne. «Non ci sono simboli delle destinazioni, e non sai dove stai andando. Immagino che i costruttori dei tunnel conoscessero un modo per sapere dove andavano. Dovevano avere un sistema che permetteva loro di scegliere la destinazione esatta: ma se è così, noi non l’abbiamo scoperto.»