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Avanzò di un passo per vedere meglio e venne fermato… fermato da nulla. Non c’era nulla che lo fermasse; era come se avesse urtato un muro che non poteva vedere né toccare. No, non un muro, pensò. La sua mente cercò frenetica una similitudine capace di esprimere quello che era accaduto. Ma sembrava non ne esistessero, di similitudini, perché ciò che l’aveva fermato era un niente. Alzò la mano libera, la mosse a tentoni, in avanti. La mano non trovò nulla, ma venne arrestata. Non era una sensazione fisica, qualcosa che potesse sentire o percepire. Era, pensò, come se avesse incontrato la fine della realtà, come se avesse raggiunto un luogo oltre il quale non si poteva procedere. Come se qualcuno avesse tracciato una linea e avesse sentenziato che il mondo finiva lì, che oltre non c’era nulla. Ma se questo era vero, pensò Horton, allora c’era qualcosa che non andava, perché lui poteva vedere oltre la realtà.

«Non c’è niente,» disse Elayne. «Ma deve esserci qualcosa. Possiamo vedere il cubo e l’essere.»

Horton arretrò di un passo e, in quel momento, lo splendore dorato del cubo parve dilagare ed avvolgerli entrambi, facendoli divenire una parte dell’essere e del cubo. In quella nebulosità aurea, il mondo parve dileguarsi, e per il momento rimasero soli, separati dal tempo e dallo spazio.

Elayne gli stava vicina e, abbassando lo sguardo, Horton vide la rosa tatuata sul suo seno. Tese la mano e la toccò.

«Bellissima,» disse.

«Grazie,» disse lei.

«Non ti dispiace che l’abbia notata?»

Lei scosse il capo. «Cominciavo a sentirmi delusa perché non l’avevi notata. Avresti dovuto capire che è lì per attirare l’attenzione. La rosa ha la funzione di punto focale.»

19.

Nicodemus disse: «Dai un’occhiata qui.»

Horton si chinò a guardare la linea sottile che il robot aveva scalpellato nella pietra, intorno al perimetro del quadro.

«Come sarebbe a dire?» chiese. «Non vedo niente di strano. Solo, non mi sembra che tu abbia fatto grandi progressi.»

«È proprio questo che non va,» disse Nicodemus. «Non combino niente. Lo scalpello incide la pietra per pochi millimetri. Poi la pietra s’indurisce. Come se fosse metallo, con una piccola parte della superficie trasformata in ruggine.»

«Ma non è metallo.»

«No, è proprio pietra. Ho provato in altri punti della roccia.» Tese il braccio verso la muraglia di pietra, indicando alcune scalfitture. «È così su tutta la parete. Sembra che le intemperie facciano sentire il loro effetto, ma sotto la pietra è incredibilmente dura. Come se le molecole fossero legate più strettamente di quanto dovrebbero essere per natura.»

«Dov’è Carnivoro?» chiese Elayne. «Forse lui ne sa qualcosa.»

«Ne dubito,» disse Horton.

«L’ho spedito,» disse Nicodemus. «Gli ho detto di andare all’inferno. Mi respirava sul collo e cercava di tenermi allegro…»

«Ci tiene tanto ad andarsene da questo pianeta,» disse Elayne.

«E chi non ci terrebbe?» chiese Horton.

«Mi fa tanta pena,» disse Elayne. «Siete sicuri che non ci sia modo di prenderlo a bordo… se tutti gli altri sistemi falliscono, voglio dire?»

«Non vedo come,» disse Horton. «Potremmo provare a ibernarlo, ma molto probabilmente lo uccideremmo. Tu cosa ne pensi, Nicodemus?»

«L’ibernazione è fatta su misura per gli umani,» disse il robot. «Non ho idea dell’effetto che potrebbe avere su un’altra specie. Non troppo buono, sospetto, forse pessimo. Innanzi tutto, l’anestetico che traumatizza le cellule ponendole in sospensione momentanea, fino a quando il freddo può agire. È quasi infallibile per gli umani, perché è stato creato per loro. Per agire su altre forme di vita, forse dovrebbe venire cambiato. Potrebbe essere un cambiamento minuto e sottile, immagino. E io non sono equipaggiato per operarlo.»

«Vuoi dire che morirebbe prima ancora di venire ibernato?»

«Sospetto che sarebbe proprio così.»

«Ma non potete lasciarlo qui,» disse Elayne. «Non potete andarvene e abbandonarlo.»

«Potremmo prenderlo a bordo,» disse Horton.

«No, finché ci sono io,» disse Nicodemus. «Lo ucciderei entro la prima settimana. Per i miei nervi ha lo stesso effetto della carta vetrata.»

«Anche se sfuggisse ai tuoi impulsi omicidi,» disse Horton, «a che servirebbe? Non so cos’abbia in mente Nave, ma potrebbero trascorrere secoli prima che atterrassimo di nuovo su di un pianeta.»

«Potreste fermarvi a scaricarlo.»

«Tu lo potresti,» disse Horton. «Io lo potrei. Lo potrebbe Nicodemus. Ma non Nave. Nave, a quanto sospetto, assume una prospettiva su tempi più lunghi. E cosa ti fa credere che troveremmo un altro pianeta su cui Carnivoro possa sopravvivere… fra una dozzina d’anni, fra cent’anni? Nave ha passato mille anni nello spazio, prima che trovassimo questo. Devi ricordare che Nave è un vascello dalla velocità inferiore a quella della luce.»

«Hai ragione,» disse Elayne. «Lo dimentico sempre. Durante il periodo della Depressione, quando gli umani fuggirono dalla Terra, se ne andarono in tutte le direzioni.»

«Usando navi più veloci della luce.»

«No. Navi a balzi temporali. Non domandarmi come funzionassero. Ma afferri l’idea…»

«Un barlume,» disse Hortn.

«E anche così,» disse Elayne, «viaggiarono per molti anni-luce, prima di trovare pianeti terrestri. Alcune scomparvero… in lontananze immense, nel tempo, fuori da questo universo: è impossibile saperlo. Non se ne è più saputo nulla.»

«Quindi vedi,» disse Horton, «come diventa impossibile questa faccenda di Carnìvoro.»

«Forse possiamo ancora risolvere il problema del tunnel. È quanto Carnivoro desidera veramente. È quanto desidero io.»

«Ho esaurito tutti i possibili attacchi,» disse Nicodemus. «Non ho altre idee. Non ci troviamo di fronte alla semplice situazione di un mondo chiuso da qualcuno. Hanno lavorato parecchio, per tenerlo chiuso. La durezza della pietra non è naturale. Nessuna roccia potrebbe essere così impenetrabile. L’hanno resa tale. Hanno capito che qualcuno avrebbe potuto cercare di manomettere il quadro, e hanno preso misure per impedirlo.»

«Deve esserci qualcosa, qui,» disse Horton. «Qualche ragione per bloccare il tunnel. Forse un tesoro.»

«Non si tratta di un tesoro,» osservò Elayne. «L’avrebbero portato via. Un pericolo, molto più probabilmente.»

«Hanno nascosto qui qualcosa, per tenerlo al sicuro.»

«Non credo,» disse Nicodemus. «Un giorno o l’altro potrebbero aver bisogno di recuperarlo. Potrebbero arrivare qui, naturalmente, ma poi come farebbero a portarselo via?»

«Potrebbero venire per nave,» disse Horton.

«È improbabile,» disse Elayne. «L’ipotesi più logica è che sappiano come escludere il blocco.»

«Allora credi che vi sia un modo per riuscirci?»

«Tendo a credere che possa esserci: ma questo non significa che lo troveremo noi.»

«E allora,» disse Nicodemus, «può darsi che abbiano semplicemente bloccato il tunnel perché qualcosa che sta qui non possa andarsene. Che l’abbiano isolato dal resto dei pianeti del tunnel.»

«Ma in questo caso,» chiese Horton, «che può essere? Pensi alla creatura dentro al cubo?»

«Può darsi,» disse Elayne. «Non solo imprigionata nel cubo, ma confinata sul pianeta. Una seconda linea difensiva, nel caso che riuscisse a fuggire dal cubo. Comunque, non so perché, è difficile crederlo. È tanto bella.»

«Può essere bella e pericolosa.»

«Cos’è questa creatura dentro al cubo?»

«L’abbiamo trovata Elayne ed io in un edificio della città. Una cosa racchiusa in un cubo.»

«Viva?»