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«Non possiamo esserne certi, ma io credo di sì. Ne ho avuto la sensazione. Elayne l’aveva percepita.»

«E il cubo? Di cos’è fatto?»

«Una strana sostanza,» disse Elayne. «Se pure è una sostanza. Ti ferma, ma non puoi sentirla né vederla. È come se non ci fosse.»

Nicodemus cominciò a raccattare gli utensili sparsi sul fondo roccioso del sentiero.

«Ci rinunci?» chiese Horton.

«Tanto vale. Non posso fare altro. I miei utensili non intaccano la pietra. Non riesco a togliere la copertura protettiva del quadro, campo di forza o quello che è. Ci rinuncio, fino a quando qualcuno non se ne verrà fuori con una buona idea.»

«Forse, se dessimo un’occhiata al libro di Shakespeare, potremmo trovare qualcosa di nuovo,» disse Horton.

«Shakespeare non ha mai avuto idee,» disse Nicodemus. «Tutto quel che sapeva fare era prendere a calci il tunnel e snocciolare parolacce.»

«Non intendevo dire che nel libro si possa trovare qualche buona idea,» fece Horton. «Al massimo un’osservazione, le cui implicazioni erano sfuggite a Shakespeare.»

Nicodemus era dubbioso. «Può darsi,» disse. «Ma non possiamo leggere molto, con Carnivoro attorno. Vorrà sapere cosa aveva scritto Shakespeare, e certi suoi commenti non sono troppo lusinghieri nei confronti del suo vecchio amico.»

«Ma Carnivoro non c’è,» osservò Elayne. «Ha detto dove andava, quando l’hai cacciato via?»

«Ha detto che andava a fare una passeggiata. Ha borbottato qualcosa a proposito di magia. Ho avuto l’impressione, non troppo nitida, che volesse raccogliere certa roba magica… foglie, radici, cortecce.»

«Aveva già parlato di qualcosa del genere,» disse Horton. «Sembrava convinto che potessimo unire le nostre magie.»

Elayne chiese: «Avete qualche magia?»

«No,» disse Horton. «Non ne abbiamo.»

«Allora non dovete disprezzare quelli che ce l’hanno.»

«Vorresti dire che credi nella magia?»

Elayne aggrottò la fronte. «Non so bene,» disse. «Ma ho visto una magia che operava davvero, o almeno così sembrava.»

Nicodemus aveva finito di riporre gli utensili nella cassetta, e la chiuse.

«Andiamo in casa a vedere il libro,» disse.

20.

«Questo tuo Shakespeare,» disse Elayne, «mi sembra fosse un filosofo, ma abbastanza sconclusionato. Non aveva una buona base.»

«Era un uomo solo, ammalato e spaventato,» disse Horton. «Scriveva quello che gli passava per la testa, senza esaminarne la logica e la coerenza. Scriveva per se stesso. Non aveva mai pensato che qualcun altro avrebbe potuto leggere i suoi scarabocchi. Se lo avesse pensato, probabilmente sarebbe stato più circospetto.»

«Almeno era sincero,» disse lei. «Senti questo:

Il tempo ha un certo odore. Forse è solo un mio concetto, ma sono sicuro che ce l’ha. Il tempo vecchio deve essere acido e muffito, e il tempo nuovo, all’inizio della creazione, doveva essere dolce e inebriante ed esuberante. Mi chiedo se, via via che gli eventi procedono verso la fine inconoscibile, non verremo contaminati dall’odore acre del tempo vecchio, come la Terra del passato venne inquinata dai fumi delle ciminiere delle fabbriche e dai gas tossici. La morte dell’universo consisterà nell’inquinamento del tempo, nell’addensarsi dell’odore del tempo vecchio, fino a quando la vita non potrà più esistere sui corpi celesti che compongono il cosmo, e forse la materia stessa dell’universo si eroderà trasformandosi in una putredine immonda? E questa putredine ostacolerà i processi fisici in atto nell’universo al punto che cesseranno di operare, e ne risulterà il caos? E se così fosse, cosa porterà il caos? Non la fine dell’universo, necessariamente, poiché il caos in se stesso è una negazione della fisica e della chimica, e forse consentirebbe combinazioni nuove ed inimmaginabili che violerebbero tutte le concezioni precedenti, dando origine ad un disordine e ad una imprecisione che renderebbero possibili eventi attualmente impensabili per la nostra scienza.

«E continua:

Può darsi che fosse questa la situazione — stavo per dire ‘un tempo’, e sarebbe stata una contraddizione in termini — quando, prima che l’universo esistesse, non vi era né tempo né spazio né referenti per quella grande massa di qualcosa che attendeva di esplodere, perché il nostro universo potesse incominciare ad esistere. È impossibile per la mente umana, naturalmente, immaginare una situazione in cui il tempo e lo spazio non c’erano, se non in potenza nell’uovo cosmico, che già di per sé è un mistero impossibile da visualizzare. Eppure, intellettualmente, si sa che tale situazione è esistita, se il nostro pensiero scientifico è esatto. Eppure, si propone egualmente il dubbio… se non c’erano il tempo e lo spazio, in quale mezzo esisteva l’uovo cosmico?

«È provocatorio,» disse Nicodemus. «Tuttavia non ci fornisce informazioni, niente di fondamentale. Quest’uomo scrive come se noi vivessimo in un vuoto. Questa roba avrebbe potuto scriverla dovunque. Solo di tanto in tanto accenna a questo pianeta, con allusioni malevole al Carnivoro.»

«Cercava di dimenticare questo pianeta,» disse Horton. «Cercava di chiudersi in se stesso, per poterlo ignorare. In realtà, tentava di creare uno pseudo-mondo che gli desse qualcosa di diverso da questo pianeta.»

«Non so perché,» disse Elayne, «ma pensava molto all’inquinamento. Ecco un altro brano che aveva scritto in proposito:

L’emergere dell’intelligenza, ne sono convinto, tende a sbilanciare l’ecologia. In altre parole, l’intelligenza è la grande inquinatrice. Solo quando un essere comincia a modificare il suo ambiente, la natura viene gettata nel disordine. Fino a che questo non avviene, vi è un sistema di freni e di equilibri operante in modo logico e comprensibile. L’intelligenza distrugge e modifica i freni e gli equilibri, anche quando cerca, con molto impegno, di lasciarli come sono. Non esiste un’intelligenza capace di vivere in armonia con la biosfera. Può crederlo e vantarsene, ma la sua mentalità le dà un vantaggio, ed è sempre presente la pulsione ad impiegare tale vantaggio per suo beneficio egoistico. Quindi, sebbene l’intelligenza possa essere un importantissimo fattore di sopravvivenza, è un fattore a breve termine, e l’intelligenza finisce per rivelarsi invece come la grande distruttrice.

Elayne sfogliò le pagine, scrutando rapidamente le annotazioni. «È così piacevole leggere la vecchia lingua,» disse. «Non ero sicura che ci sarei riuscita.»

«Shakespeare non ci sapeva fare molto, con la penna,» disse Horton.

«Comunque è una lettura interessante,» disse lei, «quando riesci a trovare il bandolo. Ecco una cosa strana. Parla dell’ora di Dio. Che strana espressione.»

«Ma è vero,» disse Horton. «Almeno, qui è vero. Avrei dovuto parlartene. È qualcosa che si protende dallo spazio e ti afferra e ti squarcia. Ma Nicodemus fa eccezione. Nicodemus reagisce appena. Sembra che non abbia origine su questo pianeta. Carnivoro dice che, secondo Shakespeare, proveniva da un punto lontano nello spazio. Cosa scrive?»

«A quanto sembra, ha scritto dopo una lunga esperienza,» disse Elayne. «Ecco:

Sento di poter forse venire a patti con il fenomeno che ho chiamato, in mancanza di un termine migliore, l’ora di Dio. Carnivoro, poveraccio, ne ha ancora paura, e suppongo di temerla anch’io, benché ormai, dopo aver vissuto qui per tanti anni e dopo aver scoperto che non c’è modo di sottrarvisi o di isolarsi, sono giunto ad una sorta di accettazione, considerandola come qualcosa d’ineluttabile, ma anche come qualcosa che può, per un certo tempo, portare un uomo al di fuori di se stesso e metterlo in rapporto con l’universo, anche se, per dire la verità, nel caso esistesse una possibilità di scelta ci sarebbe da esitare ad esporsi così spesso a tale contatto.