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«Ti manca Elayne,» disse Nicodemus. «Sarebbe stato bello averla con noi.»

«Già,» disse Horton. «Sì, mi manca. È stato doloroso vederla entrare nel tunnel. E poi c’è anche lui.» Indicò il teschio appeso sopra la porta.

«Non possiamo portarlo con noi,» disse Nicodemus. «Quel cranio si sgretolerebbe a toccarlo. È rimasto lassù molto tempo. Un giorno, un colpo di vento…»

«Non è questo che intendevo,» disse Horton. «È rimasto qui solo per tanto tempo. E adesso lo lasceremo solo di nuovo.»

«Carnivoro è ancora qui,» disse Nicodemus.

Horton disse, con un senso di sollievo. «È vero. Non ci avevo pensato.»

Si chinò e raccolse la fiasca, reggendola delicatamente tra le braccia. Nicodemus si caricò gli zaini sul dorso e si infilò il libro sotto un braccio. Si voltò e cominciò a scendere per il sentiero, seguito da Horton.

Alla svolta, Horton si girò a guardare la casa greca. Stringendo saldamente la fiasca con una mano, levò l’altro braccio in un gesto d’addio.

Addio, disse mentalmente, senza parole. Addio, vecchio albatross delle tempeste… pazzo, coraggioso uomo perduto.

Forse era uno scherzo della luce. Forse era qualcosa d’altro.

Ma comunque, di lassù, sopra la porta, Shakespeare gli strizzò l’occhio.

FINE