Saracoglu respirò profondamente. «Avalon fu scoperto cinquecento anni fa dalla stessa nave per Lunghe Missioni che giunse su Ythri», disse. «Fu indicato come colonia potenziale, ma era così lontano dalla Terra che allora non interessò nessuno; lo stesso nome gli fu assegnato solo molto più tardi. Ythri era quaranta anni luce più lontano, è vero, ma era molto più interessante: un. pianeta ricco, con una razza avviata verso un moderno sviluppo, e una quantità di beni commerciabili.
«Circa tre secoli e mezzo fa, una compagnia commerciale umana fece una proposta agli Ythrani. La Lega Polesotecnica non sarebbe crollata prima di altri cinquanta anni, ma chiunque avesse un cervello funzionante poteva già intravedere che si preparavano tempi difficili. Questi umani, un gruppo eterogeneo guidato da un vecchio pioniere e affarista, intendevano salvaguardare il futuro delle loro famiglie emigrando sull’appartato Avalon, sotto la guida e la protezione della civiltà Ythri, non ancora contaminata dalla tecnica. Gli Ythrani accettarono, e naturalmente alcuni di loro si unirono alla colonia.
«Beh, poi ci furono i Tumulti, e Ythri non ne fu risparmiato. Le conseguenze finali furono analoghe… la Terra riconquistò la pace grazie all’Impero, Ythri grazie al Dominio. Nel frattempo, vivendo insieme, gli Avaloniani erano diventati un tutt’uno. Ma niente di tutto questo potrebber ripetersi oggi».
Si erano fermati presso un graticcio ricoperto di vite. Lui ne staccò un grappolo e glielo offrì. Lei scosse la testa, ed egli lo mangiò. Il sapore era dolcemente, leggermente straniero; il sole di Esperance non era, dopo tutto, identico a quello di casa. E adesso era scomparso alla vista, e nel giardino era tutto un rincorrersi d’ombre, e nel cielo era spuntata una stella della sera.
«Immagino… che i vostri piani di "rettifica" presuppongano l’annessione di Avalon all’Impero», disse Luisa.
«Sì. Considera la sua posizione». Saracoglu scrollò le spalle. «E poi gli umani che vivono lì costituiscono una netta maggioranza. Direi piuttosto che essi saranno felici di unirsi a noi, e ad Ythri non importerà di liberarsene».
«Dovremo combattere?».
Saracoglu sorrise. «Non è mai troppo tardi per la pace». Le prese un braccio. «Vogliamo entrare? Immagino che tuo padre sarà qui a momenti. Sarà bene fargli trovare lo sherry versato nei bicchieri».
Non volle sciupare la serata, che era ancora recuperabile, rivelandole che già da diverse settimane era arrivato via corriere quanto lui stesso aveva chiesto: la dichiarazione di guerra all’Impero nei confronti di Ythri, che sarebbe stata resa pubblica non appena il governatore e l’ammiraglio fossero stati pronti ad agire.
4
Una campagna contro Ythri avrebbe richiesto una flotta enorme, radunata da ogni parte dell’Impero. Nulla di tutto ciò si era visto, né se ne era sentito parlare pubblicamente, malgrado corressero certe voci. Ma naturalmente le unità di controllo dei sistemi di frontiera erano state apertamente rinforzate con l’aggravarsi della crisi, mentre proseguivano a ritmo sostenuto le esercitazioni e le prove di manovra.
In orbita intorno a Pax alla distanza di dieci unità astronomiche, gli incrociatori tipo-pianeta Thor e Ansa saggiavano gli schermi di energia scambiandosi reciproci colpi a salve di granate e di siluri, bombardandoli con raggi laser che cercavano di colpire un singolo punto dello scafo per il tempo sufficiente alla raffica energetica a perforare l’armatura, facevano esplodere razzi al magnesio la cui brillantezza nascondeva radiazioni mortali, balzavano qua e là per evitare colpi gravitazionali, entravano ed uscivano dalla fase iperdrive, e si servivano di tutti i trucchi del manuale terrestre, nonché di qualcun altro che il comando sperava non fosse ancora compreso in quello Ythrano. Nel frattempo anche le lance tipo-cometa e tipometeora che da essi dipendevano erano impegnate in attività analoghe.
Per stimolare l’impegno era stato promosso un premio. Il vascello che i computer avessero giudicato vittorioso avrebbe fatto rotta verso Esperance insieme ai suoi ausiliari, e lì l’equipaggio avrebbe usufruito di una settimana di libertà.
Vinse Ansa, che trasmise un segnale di giubilo. Mezzo milione di chilometri più lontano, si accese il motore della Meteora che il suo capitano aveva chiamato Stella Sibilante.
«Finalmente risorti!», esultò il sottotenente di vascello Philippe Rochefort. «Ed in gloria».
«E senza merito». L’ufficiale di controllo del tiro, Wa Chaou di Cynthia, sogghignò. Il suo corpo piccolo e dal pelo bianco si accucciò sul tavolo che aveva pulito dopo il pasto; la coda a cespuglio vibrava come i mustacchi intorno al muso tinto di blu.
«Che diavolo vuoi dire con quel "senza merito"?», borbottò l’ingegnere addetto al computer, Abdullah Helu: un militare di carriera magro e di mezza età proveniente da Huy Braseal. «Fare i morti per tre giorni interminabili è più di quanto richieda il semplice dovere». La lancia era stata teoricamente distrutta nel corso di un duello aereo, ed era andata liberamente alla deriva, come avrebbe fatto un vero relitto, per complicare l’esistenza ai tecnici della rilevazione.
«Specialmente quando il poker ti ha ripulito e spremuto ben bene, eh?», lo beffò Wa Chaou.
«Non giocherò più con lei, signore», disse Helu al comandante-pilota. «Senza offesa. Lei ha un maledetto talento».
«È solo fortuna», replicò Rochefort. «Così come è stata solo la sfortuna a farci perdere. La lancia si è comportata bene, ed anche tu, dopo, con le fiches. Andrà meglio la prossima volta, per tutt’e due le cose».
Era il suo primo comando, nuovo di zecca — era stato recentemente promosso da guardiamarina per l’audacia dimostrata in un’operazione di soccorso — ed era ansioso di fare bella figura. Per quanto inevitabile, date le circostanze, la sconfitta gli bruciava.
Ma loro facevano parte della squadra di testa; ed avevano fatto fuori due lance nemiche, ed altre tre le avevano bloccate per un tempo che certamente doveva essere stato sfruttato con profitto da qualche altra parte; adesso sarebbero ritornati sull’Ansa e di lì su Esperance, dove lui conosceva così tante ragazze che un appuntamento era una certezza statistica.
La piccola cabina tremava e ronzava sotto l’energia motrice. Dai ventilatori entrava aria che sapeva di olio e di riciclati chimici. Una Meteora era progettata per sopportare un’alta accelerazione in condizioni sia relativistiche che di iperdrive; per l’accurato piazzamento di siluri a testata nucleare; ed era confortevole appena quel tanto che era necessario perché il personale fosse in continua efficienza.
Eppure al di là degli oblò si stendeva lo spazio nella sua gloria di stelle, scintillanti come gioielli, fisse e multicolori, che affollavano l’infinita chiarezza del buio, per poi fondersi nel ruscello argenteo della Via Lattea o nelle pallide e misteriose nuvolette che erano le altre galassie. Rochefort avrebbe voluto sedersi, guardare, lasciare che l’anima seguisse lo sguardo al di fuori, verso il divino tempio dell’universo. Ed avrebbe potuto anche farlo; la lancia procedeva in completa autoguida. Ma era meglio dimostrare agli altri che lui era un ufficiale coscienzioso e sicuro di sé. Fece scorrere all’indietro il videonastro che stava guardando quando era giunto il messaggio.
Quasi all’inizio, c’era una lezione registrata. Uno xenologo umano si stagliò nello schermo ed intonò:
«A sangue caldo, piumati, e capaci di volare, gli Ythrani non sono uccelli; mettono al mondo i loro piccoli come i vivipari dopo una gestazione di quattro mesi e mezzo; non hanno becco, ma labbra e denti. Non sono nemmeno mammiferi; non crescono loro peli né secernono latte; le labbra si sono sviluppate perché i genitori possano nutrire i piccoli mediante rigurgito. E mentre le feritoie subalari possono far venire in mente le branchie dei pesci, essi non sono adatti all’acqua ma al…».