Выбрать главу

«Analogamente, una rapida successione di figli non potrebbe sopravvivere in tali primitive condizioni. Questo può essere il motivo per cui la femmina ovula solo ad intervalli di un anno — l’anno di Ythri è circa la metà di quello terrestre — e non prima di due anni dopo aver partorito. La sessualità non si manifesta apertamente se non in questi periodi. Allora diventa quasi incontrollabile sia nel maschio che nella femmina. Questo può aver fornito all’istinto territoriale un sostegno culturale, con l’evolversi dell’intelligenza. I genitori preferiscono tenere le proprie figlie nubili isolate, quando sono in calore, per evitare fortuiti incontri con i maschi. Per lo più, marito e moglie non vogliono sprecare un’esperienza così ricca e rara con il primo che capita.

«Il ciclo sessuale non è del tutto rigido. In particolare, il dolore induce spesso il calore. Senza dubbio questo rappresenta un accorgimento della natura per rimpiazzare rapidamente le perdite. E sembra aver favorito una parziale fusione di Eros e Thanatos nella psiche Ythrana, il che rende gran parte della loro arte, e senza dubbio il pensiero, incomprensibili all’uomo. Qualche femmina può ovulare di sua volontà, ma questa è considerata un’anormalità; nei tempi antichi sarebbe stata uccisa, oggi è generalmente evitata, a causa della paura che incute la sua capacità. Uno dei più famosi "cattivi" della storia Ythrana è il maschio che, mediante ipnosi o altri mezzi, può indurre tale stato. Naturalmente la più importante manifestazione di un certo grado di flessibilità è il fatto che gli Ythrani sono riusciti con successo ad adattare il loro schema riproduttivo, come tutti gli altri, in una quantità di pianeti colonizzati».

«Per quanto mi riguarda, è più piacevole essere umano», commentò Rochefort.

«Non lo so, signore», replicò Wa Chaou. «In superficie il rapporto fra i due sessi sembra più semplice che nella sua razza o nella mia; o ti va di farlo, o non ti va, tutto lì. Mi domando tuttavia se esso non possa essere più sottile e complicato dei nostri, addirittura fondamentale nei riguardi dell’intera psicologia».

«Ma per tornare all’evoluzione», stava dicendo lo scienziato, «sembra che una gran parte di Ythri dovette sopportare qualcosa di simile alla grande siccità di Pliocene nella nostra Africa. Gli ornitoidi furono costretti ad uscire dalle foreste in via di estinzione e rifugiarsi nelle nascenti savane. Là si evolsero da mangiatori di carogne in cacciatori di selvaggina grossa, in maniera analoga ai proto-uomini. Quelli che in origine erano piedi divennero mani, che poi cominciarono a costruire attrezzi. Per sostenere il corpo e fornire locomozione sul terreno, quelli che prima erano artigli divennero piedi, mentre le ali che li sorreggevano si trasformarono in un sostituto convertibile delle gambe.

«Eppure l’Ythrano intelligente rimase un puro carnivoro, un essere che sul terreno si trovava a disagio. I primitivi cacciatori colpivano dall’alto, con lance, frecce, scuri. Ne bastavano pochi per abbattere gli animali più grossi. Non c’era necessità di scavare buche per catturare gli elefanti o di stare spalla a spalla per affrontare la carica di un leone. La società rimase divisa in famiglie o clan, che raramente si facevano guerra ma che, d’altro canto, avevano ben pochi contatti fra loro.

«La rivoluzione che pose fine all’Età della Pietra non coinvolse subito l’agricoltura, come nel caso dell’uomo. Essa nacque dal pascolo sistematico, e poi dall’addomesticamento, dei grandi animali di terra come il maukh, o di animali più piccoli come il mayaw dal pelo lungo. Ciò stimolò l’invenzione dei pattini, della ruota e di mezzi simili, per facilitare agli Ythrani il movimento sul terreno. L’agricoltura fu inventata come sussidiaria dell’allevamento, un sistema efficace per procurarsi il foraggio. Il cibo in avanzo agevolò i viaggi, il commercio e scambi culturali più ampi. Via via sempre più grandi, sorsero complesse unità sociali.

«Esse non possono essere definite civiltà in senso stretto, perché Ythri non ha mai conosciuto vere e proprie città. La mobilità fornita dalle ali escludeva ogni necessità di riunirsi insieme allo scopo di mantenere rapporti stretti. Certo, sorsero anche dei centri sedentari: per l’industria mineraria, metallurgica e così via; per il commercio e la religione; per la difesa nel caso in cui il gruppo fosse sconfitto da un altro in una battaglia aerea. Ma si è sempre trattato di insediamenti piuttosto piccoli e con popolazioni continuamente oscillanti. A parte i loro baroni con le relative guarnigioni, gli abitanti fissi furono dapprima, in gran parte, schiavi con le ali mozze, ed oggi sono macchine automatiche. Il mozzare le ali era il modo più semplice di rendere controllabile un individuo; ma poiché le penne tendevano a ricrescere, la pratica comune di promettere l’affrancamento dopo un certo periodo di diligente servizio rendeva il prigioniero alquanto docile. Da allora la schiavitù divenne talmente basilare nella società industriale pre-Ythrana che ancor oggi non è del tutto scomparsa».

Beh, lo stiamo rivivendo nell’Impero, pensò Rochefort. Nei termini ed alle condizioni consentite dalla legge; come punizione, allo scopo di ricavare dal criminale una qualche utilità sociale; nondimeno stiamo riprendendo un’abitudine che gli Ythrani stanno invece abbandonando. Siamo forse più morali noi? Abbiamo il diritto di farlo più di loro?

Si stiracchiò sulla poltrona. L’umanità è la mia razza.

Bionda e snella, vestita con l’antico gusto di Esperance per la semplicità, Eve Davisson contrastava gradevolmente con Philippe Rochefort, come si rendevano ben conto entrambi. Lui era un giovanotto alto e piuttosto magro, di portatura atletica, naso ampio, labbra piene e regolari, i capelli piegati in una nera crocchia splendente, la pelle di un bruno intenso. Per quanto riguardava l’uniforme, sfiorava il limite di tolleranza garantito agli ufficiali: un vistoso berretto messo di traverso su cui spiccavano i raggi solari dell’Impero, una tunica blu ornata di fregi dorati, una cintura ed un mantello scarlatti, pantaloni candidi infilati dentro i bassi stivaletti di autentico vitello terrestre.

Erano seduti in un ristorante intimo di Fleurville, accanto ad una finestra che dava sui giardini e sulle stelle. Un sonorista suonava dal vivo qualcosa di vecchio e sentimentale; vapori profumati e vagamente inebrianti fluttuavano nell’aria; stavano sbocconcellando gli antipasti, ma prestavano maggiore attenzione allo champagne. Ciò nonostante lei non sorrideva.

«Questo mondo è stato colonizzato da gente che credeva nella pace», disse la ragazza. Il suo tono era di tristezza più che di accusa. «Per generazioni non hanno avuto un esercito, ed hanno vissuto facendo affidamento sulla buona volontà di coloro che aiutavano».

«Quella buona volontà non è sopravvissuta ai Tumulti», obiettò Rochefort.

«Lo so, lo so. Non mi unirò ai dimostranti, qualunque cosa possano dire i miei amici quando verranno a sapere che sono uscita con un ufficiale imperiale. Ma Phil… la stella chiamata Pax, il pianeta chiamato Esperance si preparano alla guerra. È doloroso».

«Sarebbe più doloroso che noi fossimo attaccati. Avalon non è lontano e laggiù hanno sviluppato una potenza impressionante».

Le dita di lei si strinsero sullo stelo del bicchiere. «Un attacco da Avalon? Ma io ho conosciuto quella gente, entrambe le razze. Sono venuti qui per commercio o in escursione, o… ci sono andata anch’io, non molto tempo fa. Ci sono andata perché è pittoresco, ma sono stata trattata così squisitamente che non volevo più tornare via».

«Oserei dire che i modi Ythrani sono andati perduti nei loro colleghi umani». Rochefort mandò giù una sorsata, sperando che avrebbe mitigato la sua irritazione. Quella non avrebbe dovuto essere una serata di discussioni politiche. «Come è successo per caratteristiche meno piacevoli della personalità Ythrana».