«Tu non vorrai dire…», farfugliò lui. «Voglio dire, una come te?».
Si accorse di essere rimasto a bocca aperta davanti a lei. Entrambi indossavano delle camicette sottili con le maniche corte, dei gonnellini e dei sandali; gli indumenti aderivano ai corpi umidi. Ma, nonostante il corpo luccicante di sudore e il profumo di calore femminile che lui non poteva fare a meno di notare, lei si ergeva come una creatura del mare e dei cieli aperti.
«Certo, che c’è di male in un po’ di volgarità, di tanto in tanto?», gli disse, sempre accondiscendente. «Sei troppo puritano, Chris».
«No, no», protestò lui, pensando adesso che lei lo potesse giudicare ingenuo. «Pignolo, forse. Ma io sono stato qui più di una volta e, ehm, me la sono spassata. Quello che cercavo di spiegarti è che, ehm, io… io sono orgoglioso di far parte di un gruppo e non lo sono affatto che i membri della mia razza abbiano scelto di vivere in un porcile. Ma non lo vedi, questa è la vecchia vita, quella da cui i pionieri volevano fuggire».
Tabitha disse una parola, e lui ne fu colpito. Eyath non avrebbe mai parlato in quel modo. La ragazza sorrise. «O, se preferisci, un nonsenso», proseguì. «Ho letto gli scritti di Falkayn. Lui ed i suoi seguaci non desideravano nient’altro se non uno spazio libero». Gli diede una gomitata, per farlo muovere. «E quella cena che avevamo in programma?». Lui si mosse, stordito.
Si riprese un po’ nella compiacente oscurità della Phoenix House. Tra le altre cose, riconobbe tra sé e sé, il locale era fresco e gli abiti di lei non mettevano in risalto il suo corpo come facevano all’esterno.
Il loocale aveva servizio dal vivo. Lei ordinò un cocktail al fior di gatto. Lui no. «Dài», gli disse. «Esci dal tuo guscio».
«No, grazie, davvero». Trovò le parole. «Perché limitare le mie sensazioni ad un solo attimo di felicità?».
«Mi sembra di aver già sentito prima questa frase. È un detto di Stormgate?».
«Sì. Ma credevo che nemmeno ad Highsky facessero molto uso di droghe».
«Infatti è così. Tranne che nei sacri festeggiamenti. La maggior parte di noi pratica l’Antica Fede, lo sai». Tabitha lo fissò per un istante. «Il tuo problema, Chris, è che ci metti troppo impegno. Rilassati. Frequenta di più quelli come te. Di quanti umani sei amico? Dannatamente pochi, ci scommetterei».
Lui si risentì. «Ultimamente ne ho visti un mucchio».
«Già. E, emergenza o no, non fa bene, forse? Io non vorrei mai condizionare la vita di un altro, naturalmente, né sto insinuando che ciò valga per te… ma è indubitabile che un uomo o una donna che cerchino di essere Ythrani sono degli illusi e nient’altro».
«Beh, dopo tre generazioni si può anche avere il diritto di sentirsi insoddisfatti nel proprio gruppo», disse lui, misurando il sarcasmo con la maggior abilità possibile. «Hai passato un bel po’ di tempo a girovagare in territorio umano, no?».
Lei annuì. «Parecchi anni. Cacciatrice itinerante, trapper, navigante, cercatrice d’oro, su gran parte del territorio di Avalon. Ho guadagnato al gioco una buona fetta della quota che ha consentito a Draun e a me di metterci in affari… l’ho guadagnata ai tavoli da poker più disparati». Rise. «Accidenti, a volte è più facile esprimersi in Planha!». Poi, seria: «Ma ricordati che io ero giovane quando i miei genitori si persero in mare. Fui adottata da una famiglia Ythrana, che mi incoraggiò a fare un periodo di vagabondaggio; queste sono le usanze di Highsky. Semmai, la mia gratitudine e la mia lealtà al gruppo ne furono rafforzate. È solo che io, beh, io riconosco di essere umana, ecco tutto. E come tale, ho da offrire cose che…». Si interruppe e voltò la testa. «Ah, ecco il mio drink. Parliamo di cose più banali. A St. Li muoiono quasi di fame».
«Credo che berrò qualcosa anch’io», disse Arinnian.
Lo trovò molto utile. Ben presto presero allegramente a scambiarsi i ricordi. Lei aveva indubbiamente condotto una vita molto più avventurosa della sua, ma anche lui non aveva vissuto in modo monotono. C’erano stati dei momenti, come quando era scappato dai suoi genitori per andare a nascondersi nelle Isole Shielding tempestate dai marosi, o quando aveva dovuto affrontare uno spatodonte armato solo di una lancia perché il suo compagno giaceva a terra con l’ala spezzata, in cui forse si era trovato in pericolo più di quanto fosse mai successo a lei. Ma si accorse che lei era molto interessata ai suoi ricordi meno avventurosi. Lei non aveva mai lasciato il pianeta, tranne una breve vacanza su Morgana. Lui, figlio di un ufficiale di marina, aveva avuto ampie possibilità di visitare l’intero sistema Laurano, da Elisio bruciato dal sole, attraverso le lune multiple di Camelot, fino al tetro Utgard, bersagliato dalle comete. Mentre parlava della gelida e azzurra pace di Feacia, gli venne da citare alcuni versi omerici, e lei ne fu deliziata e ne volle sapere di più e gli domandò che cos’altro avesse scritto quell’Omero, e la conversazione si spostò sull’argomento libri…
Il cibo fu misto, come tendeva sempre più ad essere la cucina di entrambe le razze: zuppa di pesce e pomodoro, pasticcio di manzo e shua, insalata di foglie di grano a grappoli, pere, caffè di radice d’olmo. Una bottiglia di dago d’annata condì il tutto con allegria. Alla fine, avendola già vista prima indulgere al vizio, Arinnian non si stupì quando Tabitha si accese la pipa. «Che ne diresti di andare a dare un’occhiata al Nido?», propose lei. «Potremmo trovare Draun». Il suo collega era suo diretto superiore nella guardia; lei si trovava a Centauro come sua aiutante. Ma il concetto di rango del gruppo era nello stesso tempo più complesso e più elastico di qualsiasi definizione tecnica.
«Beh… d’accordo», assentì Arinnian.
Lei sollevò la testa. «Non sei convinto? Avrei giurato che tu preferissi un ritrovo Ythrano a qualsiasi altro posto in città». Si riferiva all’unico locale pubblico prevalentemente per ornitoidi, che lì non erano molto numerosi.
Lui si accigliò. «Non riesco a fare a meno di pensare che quella taverna non vada bene. Per loro», aggiunse frettolosamente. «Non è che mi vergogni, bada bene».
«Eppure non ti importa quando gli umani imitano gli Ythrani. Uh-uh. Non si può avere tutto, figliolo». Si alzò in piedi. «Diamo un’occhiata al bar del Nido, ci beviamo qualcosa se incontriamo un amico o se si esibisce un buon poeta, e poi ce ne andiamo in un locale da ballo, eh?».
Lui annuì, contento — mentre il cuore pulsava più forte — che l’umore di lei fosse ancora buono. Se pure non c’era alcun sussidio meccanico che consentisse loro di poter prendere parte alle danze aeree degli Ythrani, anche il muoversi su e giù per il pavimento tra le braccia di un altro uccello era abbastanza piacevole. E, benché non avesse mai avuto con lei contatti più stretti di quello, forse Tabitha — perché in quella notte vaporosa lei era proprio Tabitha, e non Hrill dei cieli…
Aveva sentito diversi zoticoni muscolosi parlare dei loro incontri con ragazze uccello, più con rispetto riverenziale che per vanteria. Per Arinnian e quelli come lui, le rispettive controparti femmine erano compagne, sorelle. Ma Tabitha continuava a mettere in rilievo l’umanità di entrambi.
Presero un cimice-taxi per recarsi al Nido, che era l’edificio più alto della città, e salirono fino in cima servendosi di un pozzo gravitazionale, dal momento che nessuno dei due si era portato l’occorrente per volare. Con le pareti a forma di U, la taverna era protetta dalla pioggia mediante una copertura di vitrile attraverso la quale, a quell’altezza, si potevano scorgere le stelle a dispetto dell’illuminazione elettrica sottostante. Morgana stava affondando ad occidente, ma continuava ad inargentare il fiume e il golfo. Verso est si vedevano dei cumuli ammonticchiati, ed un vento insistente portava il brontolio dei lampi che tremolavano dentro di essi. Il debole globo al fluoro sopra ogni tavolo era circondato da insettoidi. C’era poca attività, qualche sagoma indistinta sul suo scanno davanti ad un bicchiere o ad un narcobraciere, un robot di servizio che rotolava su e giù, gli accordi registrati di un’arpa d’acciaio.