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«Certamente. Io… certamente che lo voglio».

«Molti di loro lo vogliono, ne sono sicura. Molti dei primi lo fecero, alla fine, una volta venuti a patti con se stessi. Per di più, la situazione non è universale. Noi uccelli abbiamo questo in comune, che tolleriamo meno la curiosità rispetto all’uomo medio. Perciò non sono possibili statistiche comparate. Il problema è anche diventato più evidente in questi giorni. E infine, Chris, la tua esperienza è limitata. Quanti individui conosci, tra le migliaia, abbastanza bene da parlare della loro vita privata? Dovresti tendere per natura ad un maggiore approfondimento coi tuoi simili, specie considerando che noi uccelli abbiamo imparato molto bene a controllare le espressioni del volto e del corpo».

La pipa di Tabitha si era spenta. Lei la ricaricò e concluse: «Te lo dico io, il tuo caso non è così singolare come pensi, e nemmeno così serio. Ma io vorrei che il diventare uccelli non significasse, per i più sensibili, una perdita di anni a tormentarsi da soli».

La rabbia lo invase di nuovo. Che diritto aveva di trattarlo da inferiore? «Ora stammi a sentire…», cominciò.

Tabitha scolò la sua birra e si alzò. «Torno al mio albergo», disse.

Lui la fissò, sbalordito. «Cosa?».

Lei gli scompigliò i capelli. «Mi dispiace. Ma ho paura che stanotte, se andiamo avanti, ci faremo una litigata coi fiocchi. Io ho troppa stima di te per volere una cosa del genere. Se ti va, trascorreremo insieme un’altra serata, presto. Adesso ho voglia di mettermi a letto e di guardarmi sullo schermo della Biblioteca Centrale qualcosa di quell’Omero».

Lui non riuscì a dissuaderla. Forse si risentì troppo nel vedere come le sue repliche la lasciassero indifferente. Dopo averla gratificata di un freddo «buonanotte», si diresse svogliatamente alla più vicina cabina videofonica.

La prima donna che chiamò era al lavoro. La produzione difensiva marciava al ritmo di sette ore lavorative, con quindici minuti e rotti di intervallo, più lo straordinario. La sua seconda conoscenza femminile gli disse concitatamente che aveva il marito in casa, se era quello il tipo di intrattenimento che desiderava; lui si scusò per aver sbagliato numero. La terza era disponibile. Era eccessivamente piena, chiacchierava senza posa, e aveva il cervello di un barisauro. Ma che importava?

…Si risvegliò all’incirca al tramonto seguente. Lei sudava nel suo letto, con l’alito che puzzava di alcool. Si domandò come mai l’aria fosse diventata così appiccicosa e soffocante. Un guasto al condizionatore? Oppure, hmmm, avevano annunciato che se si dovevano alzare gli schermi di energia, l’impoverimento elettrico conseguente avrebbe costretto il Controllo Ambientale a bloccare…

Schermi di energia!

Arinnian balzò dal letto. La pioggia aveva fatto posto ad una bassa coltre di nubi, ma attraverso quella scura uniformità riuscì a scorgere dei bagliori. Brancolò in mezzo al polveroso disordine della stanza ed accese l’olovideo.

Un nastro registrato, che scorreva in continuazione, la voce stridula di un uomo e il suo volto deformato: «…dichiarata la guerra. Un corriere di Ythri ha portato a Gray la notizia che la Terra ha presentato la dichiarazione di guerra».

7

«La nostra strategia di fondo è semplice», aveva spiegato l’Ammiraglio Cajal. «Ne preferirei una ancor più semplice: una battaglia campale tra le flotte al completo. Il vincitore si prende tutto».

«Ma gli Ythrani non saranno così compiacenti», obiettò il Governatore Saracoglu.

«No. Non sono ben organizzati per una cosa del genere, in primo luogo. Non è in carattere con le loro abitudini centralizzare le operazioni. Inoltre, sanno che sono condannati a perdere qualsiasi combattimento in piena regola. Gli manca la semplice forza numerica. Mi aspetto che cercheranno di mantenere le posizioni negli avamposti fortificati. Di lì faranno delle sortite, scaglieranno attacchi ripetuti, distruggeranno le nostre piccole unità che capiteranno loro a tiro, tenteranno di saccheggiare le nostre linee di rifornimento. Noi non possiamo penetrare direttamente nel Dominio con quella minaccia alle nostre spalle. La pagheremmo troppo cara. Potremmo trovarci veramente nei guai se ci lasciassimo prendere in mezzo tra le loro forze interne e quelle esterne».

«Ergo, dobbiamo cominciare coll’impadronirci delle loro basi avanzate».

«Le principali. Non c’è bisogno di preoccuparsi di piccole colonie appena sorte, o di alleati riluttanti; ci basta tenere poche navi per pianeta». Cajal gesticolò con la torcia a raggi, che sondò l’oscurità di un pannello indicatore nel quale brillavano punti luminosi che rappresentavano le stelle di quella regione. Si affollavano a migliaia attraverso quei pochi parsec in scala ridotta, uno sciame di luce nel quale non molti uomini erano in grado di distinguerle una per una. Cajal si rese conto che il suo talento in proposito aveva un valore intrinseco ben scarso. L’immagazzinamento e l’interpretazione dei dati era compito dei computer. La sua era la dimostrazione evidente di un dono interiore.

«Il più vicino è Laura», disse. «Seguono poi Hru e Khrau, che insieme ad esso formano un triangolo. Datemi, questi, ed io mi impegno a procedere direttamente su Quetlan. Ciò dovrebbe costringerli a richiamare tutte le loro forze per proteggere il loro sole d’origine! E, dal momento che a questo punto la mia retroguardia e le mie linee saranno abbastanza sicure, potrò affrontare la battaglia decisiva che desidero».

«Uhm». Saracoglu si strofinò il mento massiccio. I peli ispidi della barba scricchiolarono sonoramente; aveva lavorato così intensamente, negli ultimi tempi, che non aveva mai trovato il tempo di applicarsi un inibitore della crescita, dopo la depilazione. «Attaccherai Laura, per primo?».

«Certo, naturalmente. Non con tutta l’armata. Ci divideremo all’incirca in tre parti uguali. Le sezioni staccate procederanno lentamente verso Hru e Khrau, ma non attaccheranno finché non sarà stato preso Laura. La forza dovrebbe essere sufficiente in tutti e tre i sistemi, ma io voglio mettere alla prova la tattica Ythrana… ed anche assicurarmi che non tirino fuori da sotto le penne qualche spiacevole sorpresa».

«Potrebbero farlo», disse Saracoglu. «Tu sai che le nostre informazioni su di loro lasciano molto a desiderare. Il problema di spiare i non umani… E poi è quasi impossibile trovare dei traditori Ythrani, e del tutto impossibile trovarne di preparati e attendibili».

«Ancora non capisco perché non puoi infiltrare degli agenti in quella colonia di Laura quasi interamente umana».

«L’abbiamo fatto, Ammiraglio, l’abbiamo fatto. Ma in quel gruppo di piccole comunità strettamente congiunte tra loro non hanno potuto che riferire ciò che era già evidente. Devi capire che gli umani di Avalon non pensano, non parlano, addirittura non camminano più come tutti gli altri umani dell’Impero. Imitarli non è possibile. E poi sono dannatamente pochi quelli che si possono comprare. Inoltre l’Ammiragliato di Avalon vanta delle eccellenti misure di sicurezza. Il comandante in seconda, un tipo di nome Holm, ha fatto a quanto pare molti viaggi in lungo e in largo per l’Impero, in tempi passati, ufficiali e non. Ho saputo che ha anche fatto studi avanzati in una delle nostre accademie. Lui conosce i nostri metodi».

«Io so invece che in questi ultimi anni ha rinforzato enormemente non solo la flotta laurana ma anche le difese del pianeta», disse Cajal. «Sì, non c’è dubbio che per prima cosa dobbiamo preoccuparci di lui».

…Questo accadeva alcune settimane addietro. Al momento (secondo il computo orario nell’infinita notte stellata) i Terrestri si stavano avvicinando al nemico.