«Non aspetteremo», decise Rochefort. Comunicò via laser le sue intenzioni all’ufficio controllo squadre a bordo della nave e ne ricevette un okay. Nel frattempo desiderò di non sudare in modo così violento. Non si trattava di paura, però; il polso era leggermente accelerato, ma costante, e lui non aveva mai visto prima le stelle con quella chiarezza e quella precisione. Era confortante sapere che possedeva un coraggio innato, e poteva mettere a frutto lo psicoaddestramento dell’Accademia.
«Se ce la fate», disse l’ufficio controllo, «dirigete verso…» (seguì una sfilza di numeri che le macchine memorizzarono) «ed agite a vostra discrezione. Abbiamo identificato in quella zona una nave leggera da battaglia. Noi e il Ganimede cercheremo di decimare la loro difesa. Buona fortuna».
La voce tacque. La lancia sfrecciò via, guadagnando velocità ad ogni secondo finché i misuratori balistici non consigliarono di decelerare. Rochefort obbedì e trasmise in Morse gli ordini necessari. La sua testa fu attraversata dal ricordo assolutamente irrilevante di una lezione dell’istruttore. «I piloti umani, i cannonieri, il personale, tutti possono prendere delle decisioni. Le macchine eseguono gran parte di queste decisioni, assicurano e governano la rotta, puntano e sparano i cannoni, più rapidamente e con maggior precisione di quanto non facciano nervi o muscoli. Si potrebbero anche costruire delle macchine e dei computer dotati di autocoscienza. È stato fatto, in passato. Ma pure se le loro capacità logiche superano di gran lunga le vostre e le mie, ad esse è sempre mancata una certa qual completezza, chiamatela intuizione o sesto senso, o come vi pare. Inoltre sono troppo costose per poterne fare un’uso eccessivo. Voi, signori, siete dei computer dai molti scopi che hanno una ragione per combattere e sopravvivere. Quelli come voi sono in numero più che sufficiente e, a parte ogni programmazione, possono essere prodotti in nove mesi mediante un impiego che non richiede nessuna abilità». Rochefort ricordò di aver detto agli allievi delle classi inferiori che, se non si rideva a quella battuta stantia, erano tre punti di demerito.
«Sono a tiro», disse Helu.
I raggi di energia colpirono. I fotoni consumati e sparpagliati che bruciavano lungo la strada erano solo una minima parte della potenza che nascondevano.
Uno toccò la Hooting Star. I meccanismi automatici della lancia le fecero cambiare rotta prima che esso potesse penetrare nella sottile placcatura. Con un ruggito la lancia fece uno scarto di lato. I campi interni non riuscirono a compensare del tutto l’improvvisa accelerazione, e Rochefort fu schiacciato dentro la sua bardatura finché essa non scricchiolò, mentre il peso sotto i piedi si spostava vertiginosamente.
Passò. Tornò la normale gravità uno. Erano vivi. Sembrava che non ci fosse nemmeno bisogno di una toppa; se pure erano stati trafitti, il buco era abbastanza piccolo per richiudersi da solo. E laggiù, visibile ad occhio nudo, c’era il nemico!
Con le mani e con la voce Rochefort fece dirigere la sua lancia diritta contro quella sagoma oscura, la quale prese a crescere a velocità mostruosa. Ne scaturirono due raggi e colpirono. Rochefort mantenne costante il veicolo. Sperava che in tal modo Wa Chaou sarebbe riuscito a trovare un punto debole in quei raggi e li avrebbe eliminati prima che potessero arrecare un danno più serio. Due vampate! La brillantezza si spense. «Oh, splendido! Pronto con i siluri».
Gli Ythrani si fecero più vicini, e lui poté distinguere un’insegna dipinta, una ruota i cui raggi erano petali di fiori. Giusto, anche loro decorano con simboli personali le imbarcazioni minori, un po’ come facciamo noi quando gli diamo dei nomignoli non ufficiali. Mi chiedo che cosa significhi quello. Gli era stato detto che alcuni dei loro mezzi più veloci erano dotati di armi a pallottole. Ma gli oggetti solidi in cui ci si poteva imbattere non erano troppo pericolosi finché le relative velocità si mantenevano nell’ordine delle decine di chilometri al secondo.
Dal nemico partì un siluro, e Wa Chaou lo fece esplodere quasi dentro il tubo di lancio. Quello della Hooting Star, invece, colpì in pieno.
L’esplosione avvenne così vicina che i suoi gas infuocati riempirono lo schermo dei Terrestri. Un frammento colpì la lancia, che rabbrividì e stridette. Poi ne uscì fuori, sola nello spazio aperto. L’avversario era una nuvola che si gonfiò fino a diventare invisibile, pochi pezzetti bruciacchiati di metallo e forse di ossa che ghiacciarono trasformandosi in meteoriti, precipitando da poppa e sparendo alla vista in pochi secondi.
«Se mi concedete l’espressione», disse Rochefort in preda all’entusiasmo, «Yahuuu!».
«Quella era vicina», disse Helu. «Quando torneremo indietro faremo meglio a chiedere dei sovralimentatori antiradiazioni».
«Uh-huh. Adesso, però, abbiamo ancora un sacco da fare». Rochefort diede istruzioni alla lancia per cambiare i vettori. «Non c’è da temere nulla, visto come ve la cavate voialtri».
Non erano ancora in vista, quando dei radio messaggi esultanti ed un altro breve sbocciare di fiamme gli comunicarono che un mortale sciame di lance e missili avevano colpito a morte la nave da battaglia nemica.
8
Lentamente i volumi di spazio in cui veniva combattuta la guerra si contrassero e si avvicinarono fra loro. I vascelli non vennero più schierati in formazione. Oltre ad essere difficili da mantenere, le formazioni strette e rigide avrebbero provocato uno sbarramento nucleare. Al massimo, una squadra di imbarcazioni minori poteva muoversi per breve tempo in scaglione libero. Se due unità maggiori di una flottiglia venivano a trovarsi a meno di cento chilometri, si consideravano vicine. Comunque, il tempo di ritardo nelle comunicazioni tendeva verso lo zero, l’attendibilità delle rilevazioni cresceva a vista d’occhio, e gli scontri mortali divenivano sempre più frequenti.
Divenne possibile individuare abbastanza bene cosa avesse in programma l’avversario e dove intendesse realizzarlo. Divenne possibile progettare e condurre una campagna.
In un nastro inviato a Saracoglu, Cajal riferiva: «Se ogni sistema Ythrano fosse resistente come Laura, ci vorrebbe l’intera Marina Imperiale per sconfiggerli. Qui essi possiedono, o possedevano, più o meno la metà degli scafi che possiedo io… il che significa un sesto del numero che noi ritenevamo adeguato per affrontare l’intero Dominio. Naturalmente, ciò non vuol dire che la loro forza effettiva sia in proporzione. Secondo il nostro punto di vista, sono deboli nella flotta pesante. Ma i loro distruttori, ancor più le loro corvette e i loro lanciasiluri, ammontano ad un totale sorprendente. Sono davvero contento che nessun altro sole nemico, a parte lo stesso Quetlan, sia lontanamente paragonabile con Laura! Nondimeno stiamo facendo dei progressi soddisfacenti. In parole povere — un rapporto tecnico ti sarà consegnato a parte — possiamo dire che circa la metà di quanto rimane delle loro forze sta ripiegando su Avalon. Abbiamo intenzione di seguirli fin là, sbarazzarci di loro, ed avere così il pianeta alla nostra mercé.
«Il resto della loro flotta si sta disimpegnando, pezzo per pezzo, e si sta ritirando verso lo spazio aperto. Senza dubbio hanno intenzione di sparpagliarsi per tutti i pianeti, le lune e gli asteroidi inabitabili del sistema, dove devono avere delle basi, e di là condurre una specie di guerriglia. Ciò potrebbe dare più fastidi che preoccupazioni, ma una volta che noi avremo occupato il pianeta, il loro governo li richiamerà. Probabilmente i vascelli più grandi, forniti di iperdrive, cercheranno di andare a portare rinforzi in qualche altro settore, e anche questo non ci preoccupa eccessivamente.
«Non sto sottovalutando questo popolo. Combattono con abilità e con tenacia. Con ogni probabilità si serviranno delle difese del pianeta in accordo con le navi che sono dirette verso la madrepatria. Spero che Dio, per il loro bene più che per il nostro, per il bene delle femmine e dei piccoli innocenti di entrambe le razze, faccia ragionare i loro governanti e li faccia arrendere prima che li colpiamo troppo duramente».