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Il mezzo disco di Avalon risplendeva di un color zaffiro orlato d’argento, piccolo e amabile in mezzo alle stelle. Dal lato oscuro stava sorgendo Morgana. Ferune ricordò i voli notturni con Wharr sotto quella luna, e mormorò: «O luna del mio diletto che non conosci declino…».

«Eh?», disse la faccia di Daniel Holm nello schermo.

«Niente. Stavo vagando con la mente». Ferune respirò profondamente. «Abbiamo poco tempo. Stanno arrivando a tutta velocità. Voglio essere certo che tu non abbia trovato nessuna seria obiezione al piano di battaglia che è stato preparato».

Il raggio laser impiegava qualche secondo per guizzare dalla nave ammiraglia al quartier generale. Ferune tornò ai suoi ricordi.

«Dannazione, sì!», brontolò Holm. «Te l’ho già detto. Hai portato la Hell Rock troppo sotto. Così è un ottimo bersaglio».

«Ed io ti ho detto», replicò Ferune, «che non abbiamo più bisogno della sua capacità di comando». Vorrei che l’avessimo, ma le nostre perdite sono state troppo dure. «Abbiamo bisogno della potenza del suo fuoco e, sì, anche del fatto che può costituire un’attrazione per il nemico. Ecco perché non ho mai pensato di portarla verso Quetlan. Lì sarebbe soltanto un’unità in più, qui è il punto chiave della nostra formazione. Se le cose vanno bene, sopravviverà. So che il piano non è perfetto, ma era il migliore che i miei collaboratori, i computer ed io stesso siamo riusciti a progettare in un lasso di tempo che già in anticipo si sapeva essere tanto breve. Metterlo in discussione o modificarlo a questo punto significa causare un disastro».

Silenzio. Morgana continuava a salire da Avalon, man mano che la nave si muoveva.

«Beh…». Holm si accasciò. Era calato di peso a tal punto che i suoi zigomi sporgevano come le dune di un deserto montano. «Suppongo che sia così».

«Zio, un rapporto di contatti iniziali», disse l’aiutante di Ferune.

«Di già?». Il Primo Governatore di Avalon si voltò verso lo schermo. «Hai sentito, Daniel Holm? Che i venti ti siano sempre favorevoli». Interruppe la comunicazione prima che l’uomo potesse rispondere. «Ora», disse all’aiutante, «voglio un nuovo calcolo dell’orbita ottimale per questa nave. Progettami i migliori movimenti dei terrestri… dal loro punto di vista, alla luce delle informazioni che abbiamo… e modifica i nostri di conseguenza».

Lo spazio avvampava di fuochi d’artificio. Non tutte le esplosioni, e nemmeno la gran parte di esse, significavano un centro; ma si stavano intensificando.

La Three Stars schizzò via dal suo incrociatore. Subito i rilevatori segnalarono un oggetto. In pochi secondi seguì l’analisi… una meteora terrestre, suscettibile di intercettamento, e niente compagni nelle vicinanze. «Selvaggina!», gridò Vodan. «Cinque minuti alla portata di tiro».

Un urlo attraversò lo scafo. Due settimane e più di esercitazioni, ingabbiati nel metallo tranne che durante le rare, brevi ore in cui la flottiglia si lanciava in combattimento, erano state un fardello ben duro da sopportare.

Il suo nuovo vettore puntava direttamente su Avalon. Il pianeta cresceva; e lui stava volando verso Eyath. Non aveva alcun dubbio sulla vittoria: la Three Stars era ben addestrata alla caccia. Aveva dimensioni maggiori della sua controparte terrestre — a causa delle esigenze Ythrane di spazio — e quindi godeva di un’accelerazione un poco inferiore. Ma proprio per ciò la sua potenza di fuoco poteva essere aumentata, come infatti era stata.

Vodan sporse i piedi dal trespolo e rimase così in equilibrio precario nella sua bardatura. Allargò le ali e le batté lentamente, pompando ossigeno nel sangue, con il corpo traboccante energia e pronto all’azione. Quel corpo fremeva e cantava. Udì provenire da poppa un rumore frusciante: i quattro membri dell’equipaggio stavano facendo la stessa cosa. Le stelle brillavano sopra e intorno a lui.

Tre raffigurazioni occupavano l’ufficio e, ora, anche la mente di Daniel Holm. Una mappa di Avalon indicava le installazioni al suolo. In gran parte erano mimetizzate, e sperava (se fosse stato credente avrebbe pregato) ignote al nemico. Intorno ad un mappamondo olografico puntolini variegati roteavano in molteplici orbite. Molte stazioni erano state collocate pochi giorni prima, dopo essere state trasportate alle postazioni di lancio da fabbriche sotterranee automatizzate anch’esse segrete. Infine un pannello indicatore mostrava gli spostamenti delle navi all’esterno.

Holm aveva voglia di un sigaro, ma la sua bocca si era troppo inaridita, a furia di fumare, negli ultimi tempi. Vecchio mio, come ci starebbe bene un bicchierino! pensò. Ma non era possibile; le sole droghe consentite erano quelle che lo tenevano sveglio senza richiedere un prezzo metabolico troppo alto.

Fissò il pannello. Già. Sono proprio ansiosi di inchiodare la nostra ammiraglia. Stanno dirigendo sul serio contro di lei.

Guardò verso la finestra. Mentre Gray era ancora avvolta dalle ombre, la prima luce dell’alba sfiorava le case e faceva scintillare le acque. In alto, il cielo era una volta purpurea, e le stelle erano oscurate dagli schermi negagrav. Dovevano continuare a cambiare lo schema, per garantire un’adeguata protezione mentre consentivano la circolazione dell’aria. Ciò sollevava un vento freddo ed umido. Ma nel complesso il panorama aveva un aspetto sereno. Le tempeste erano al di là del cielo, e nelle pieghe della carne.

Holm era solo, più di quanto non lo fosse mai stato nella sua vita, benché le forze di un intero mondo aspettassero un suo ordine. Sarebbe toccato per forza a lui: i computer potevano semplicemente dare l’avviso. Si sentiva, immaginò, come un fante pronto a caricare.

«Là!», gridò Rochefort.

Vide sullo schermo visore un punto di luce in movimento portato al massimo dell’ingrandimento. E mentre lo guardava, quello cresceva, un ago, un fuso, un giocattolo, uno snello caccia dal muso aguzzo sulla cui fiancata risplendevano tre stelle dorate.

I vettori erano quasi identici. Le lance si avvicinavano lentamente, pur continuando a precipitare verso il pianeta. Strano, pensò Rochefort, come Ansa sia riuscita ad avvicinarsi senza incontrare alcuna opposizione. Vogliono offrire solo una resistenza simbolica? Sarebbe orribile uccidere qualcuno in queste condizioni. Avalon era di una bellezza assoluta. Lui si stava avvicinando in modo tale che sulla sua sinistra il grande disco rivelava la piena luce del giorno — azzurro, turchese, indaco, un migliaio di blu differenti sotto la ricurva purezza delle nuvole, una massa di terra con bagliori verdi, marroni e fulvi. Sulla sua destra c’era l’oscurità, ma la luce lunare aveva uno scintillio misterioso sugli oceani e sulle nubi.

Wa Chaou fece partire un razzo illuminato. Nessun risultato. La portata di tiro era al minimo, e non sarebbe rimasta tale per molto. Adesso Rochefort non aveva alcun bisogno di ingrandimenti per scorgere lo scafo nemico. Sugli schermi era stato fino ad ora un luccichio. Ma adesso scivolava attraverso lo sfondo stellato, ed era più solido dei globi di fuoco che scoppiettavano tutt’intorno.

Lo spazio avvampava per un migliaio di chilometri attorno allo sferoide gigante che era la Hell Rock. Ma quella non tentava di sfuggire; data la sua massa, sarebbe stato inutile. Orbitava intorno al suo mondo. Le navi nemiche si precipitavano, sparavano, la sfioravano e poi manovravano in modo da tornare indietro. Erano molte, ed essa era una sola, fatta eccezione per uno sciame di Meteore e Comete d’appoggio. La potenza del suo fuoco, tuttavia, era impressionante; ed ancora maggiori erano le sue capacità strumentali e l’efficienza dei suoi computer. Non era stata danneggiata. Quando una sezione dello schermo doveva essere disattivata per lanciare un carico di missili, le armi ad energia ausiliaria intercettavano qualunque cosa dirigesse verso un punto vulnerabile.