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«Coloro che parlano in nome vostro hanno rifiutato la proposta, come era loro dovere finché voi non poteste essere convocati per decidere in merito. Vi ricordo i rischi di una guerra prolungata e la minaccia di una pace dura in caso di sconfitta. Vi ricordo inoltre che, se decidiamo di resistere, il popolo libero di Avalon dovrà rinunciare a molti dei suoi diritti e sottomettersi alle decisioni dei capi militari per tutto il tempo che potrà durare la guerra. Che cosa dicono i gruppi?».

Lui ed i suoi colleghi si trovavano nell’antico luogo, la Prima Isola del Mare Esperide. Alle loro spalle sorgeva la casa di David Falkayn; davanti a loro il terreno erboso digradava verso la spiaggia ed i marosi. Ma non erano state erette tende né capanne, non c’erano navi all’àncora, né gruppi di delegati giungevano in volo raggruppandosi in ranghi sotto gli alberi. Non c’era tempo per riunioni formali. Quelli che erano stati scelti ai raduni regionali, e quelli che avevano espresso il desiderio di parlare, erano presenti elettronicamente.

All’interno della casa, del personale equipaggiato con computer era all’opera senza risparmio. Per quanto l’Ythrano medio fosse taciturno, per quanto non avesse la tendenza a fare la figura dello sciocco affermando delle banalità, tuttavia, quando circa due milioni di adulti con diritto al voto erano interessati ad una faccenda di tale importanza, le domande ed i commenti che giungevano dovevano per forza essere filtrati. Quelli scelti per essere ascoltati avrebbero dovuto attendere il loro turno.

Arinnian sapeva che sarebbe stato chiamato. Sedeva accanto ad Eyath davanti ad uno schermo di dimensioni superiori al normale. Erano soli sul banco anteriore, cioè il più basso. Alle loro spalle si ergevano le file di posti, affollate dalla famiglia di Lythran e Blawsa, fino su al sedile del capofamiglia e della sua signora. Il lento parlare di Liaw aveva solo incupito la quiete in quell’ampia e scura stanza con le armi appese alle pareti; ed altrettanto faceva il frusciare delle penne, il grattare degli artigli o degli alettoni, quando qualcuno si spostava appena. L’aria era impregnata dell’odore di legno bruciato dei corpi Ythrani. Un venticello che si infiltrava da una finestra aperta sulla pioggia aggiungeva il profumo di terra umida e faceva muovere gli stendardi che pendevano dalle enormi travi del tetto.

«…Rapporto sui fatti riguardanti…».

Sullo schermo apparve l’immagine di un mandriano. Alle sue spalle si potevano vedere la prateria di Corona Settentrionale, una mandria lontana, una fila di quadrupedali zirrauhk carichi di fardelli e guidati da un giovane svolazzante, alcuni velivoli da trasporto ultimo modello che passavano alti. Il mandriano affermò: «Quest’anno la produzione di cibo per tutte le Pianure degli Ampi Spazi è stata soddisfacente. Le previsioni per la prossima stagione sono ottimistiche. Abbiamo immagazzinato il settantacinque per cento delle riserve di carne conservata in bunker a prova di contaminazione radioattiva, e ci aspettiamo di completare l’opera per metà inverno. I particolari sono archiviati nella Biblioteca Centrale. Chiudo». L’immagine tornò sugli Alti Wyvan, i quali convocarono subito un altro rappresentante di zona.

Eyath prese il braccio di Arinnian. Lui sentì il palpito delle sue dita, mentre gli artigli dei due pollici stretti gli ferivano il polso. La guardò. La cresta di un color bronzo scuro era rigida ed eretta, gli occhi d’ambra sembravano lanterne. Tra le labbra i denti brillavano. «Devono star lì a perdere tempo fino alla fine dell’eternità?», ansimò.

«Hanno bisogno di conoscere la verità, prima di prendere una decisione», le bisbigliò lui di rimando, e sentì gli sguardi di disapprovazione che gli trafiggevano la schiena.

«Cosa c’è da decidere… quando Vodan è nello spazio?».

«Puoi essergli più d’aiuto con la pazienza». Si domandò chi era lui per dare dei consigli. Beh, Eyath era giovane (anch’io, ma oggi mi sento vecchio) ed era una cosa crudele che non potesse aver notizie del suo amato fino, forse, al termine della guerra. Nessuna scorta navale poteva avventurarsi all’interno della fiammeggiante cortina protettiva di Avalon assediato.

Almeno si era saputo che Vodan era tra quelli che erano riusciti a scappare. C’erano troppi relitti in orbita. Ancor più numerosi erano stati i terrestri eliminati, naturalmente, grazie alla trappola fatta scattare da Ferune e Holm. Ma un Ythrano ammazzato era troppo, pensò Arinnian, e mille terrestri troppo pochi.

«…Convochiamo il comandante della guardia di Corona Occidentale».

Lui scattò frettolosamente in piedi, si accorse che non sarebbe stato necessario, e decise che avrebbe fatto meglio a rimanere in piedi piuttosto che aggiungere goffaggine a goffaggine rimettendosi a sedere prima ancora di aver parlato. «Uh, Arinnian di Stormgate. Siamo in buona forma: equipaggiamo, addestriamo ed assegnamo le reclute man mano che si presentano. Ma ci serve qualcosa di più. Poiché nessuno ne ha fatto menzione, vorrei ricordare al popolo che, a parte gli ufficiali superiori, il servizio di guardia nazionale non è a tempo pieno, e si potrebbe organizzare il programma dei volontari in modo da interferire al minimo con le loro mansioni ordinarie. La collaborazione della nostra sezione con Oronesia Settentrionale è stata ora estesa all’intero arcipelago, ed abbiamo l’intenzione di fare la stessa cosa verso sud e verso est, in modo da ottenere un comando integrato per le Isole Brendana, Fiery e Shielding, ed anche per proteggere l’intero perimetro di Corona.

«Uh, per conto di mio padre, il Primo Governatore, voglio far notare una carenza considerevole nella difesa di Avalon, e precisamente l’assenza di una guardia per Equatoria, dove non c’è nulla se non qualche proiettore e delle postazioni di lancio per missili. È vero che il continente è disabitato, ma i terrestri lo sanno, e se prendono in considerazione un’invasione non si preoccuperanno certo di lasciare intatta l’ecologia nativa della zona. Io, uh, riceverò delle proposte in merito e le trasmetterò nei modi appropriati». Aveva la lingua secca. «Chiudo».

Si rimise a sedere. Eyath ricambiò il suo sguardo, stavolta più dolce. Per fortuna, nessuno voleva fargli delle domande. Poteva anche cavarsela a discutere problemi strettamente tecnici con poche persone intelligenti, ma un auditorio di due milioni di persone era davvero eccessivo per un uomo privo di istinti politici.

Le discussioni sembrarono interminabili. Eppure alla fine, quando fu il momento di votare, quando Liaw annunciò molto sbrigativamente che il banco-dati registrava un ottantatré per cento a favore della resistenza continua, non erano trascorse nemmeno sei ore. Gli umani non ce l’avrebbero fatta, in così poco tempo.

«Bene», disse Arinnian tra il rumore delle ali indolenzite che si stiracchiavano, «nessuna sorpresa».

Eyath gli diede uno strattone. «Vieni», gli disse. «Prendi la tua cintura. Voglio sgranchire i muscoli prima di cena».

La pioggia picchiava nell’oscurità, fredda e profumata di cielo. Quando furono al di sopra delle nuvole, entrambi virarono verso est per allontanarsi dai compagni di gruppo, anch’essi impegnati in esercizi fisici. I picchi nevosi ed i ghiacciai emergevano dal biancore stagliandosi su uno sfondo blu scuro dove scintillavano le prime stelle e pochi barlumi in movimento, che erano fortezze orbitali.