Volarono in silenzio per un po’, poi lei disse: «Mi piacerebbe arruolarmi nella guardia».
«Eh? Ah, sì. Benvenuta».
«Ma non in pattuglia di volo. È essenziale, lo so, ed anche piacevole se il tempo è appena buono; ma io non vado in cerca di piacere. Guarda, c’è Camelot che sta sorgendo laggiù. Forse Vodan è nascosto in una di quelle lune, sempre aspettando l’occasione per rischiare la vita».
«Che cosa preferiresti?», le domandò.
Le sue ali batterono più saldamente della sua voce. «Tu potresti trovarti col lavoro fino al collo, dal momento che il lavoro aumenterà certamente. Senza dubbio i tuoi collaboratori sono troppo pochi, altrimenti perché saresti così stanco? Non potrei esserti utile?».
«M-m-m… beh…».
«Come tua assistente, o addetta alle commissioni, o anche come tua segretaria personale? Posso sottopormi ad elettro-indottrinamento per quanto riguarda cognizioni e mansioni, ed essere pronta a cominciare entro pochi giorni».
«No. È troppo duro».
«Sopravviverò. Mettimi alla prova. Cacciami via se non sono all’altezza, poi, e resteremo ugualmente amici. Comunque io penso di potercela fare. Forse meglio di chi non ti conosce da tanti anni, e che può benissimo essere assegnato ad un altro incarico. Sono intelligente e piena di energia. Non è vero? E… Arinnian, ho tanto bisogno di stare con te, finché non sarà passato questo orribile periodo».
Gli si avvicinò, e lui le prese la mano. «Molto bene, compagna di vento». Nella luce pallida, lei volò più bella che mai sotto qualunque sole o luna.
«Sì, domani chiederò che sia messo ai voti», disse Matthew Vickery.
«Come pensa che andrà?», gli domandò Daniel Holm.
Il Presidente sospirò. «E lei? Oh, quelli che sono a favore della guerra non costituiranno quella maggioranza schiacciante come è successo nel Khruath. Pochi membri voteranno in base alle loro convinzioni più che alle loro deleghe. Ma io ho visto l’analisi di quelle deleghe, e delle chiamate telefoniche e… sì, avrete la vostra dannata decisione di andare avanti. Avrete i vostri poteri d’emergenza, la virtuale sospensione del governo civile che avete richiesto. Vorrei che lei desse un’occhiata a qualcuna di quelle lettere o di quei nastri. Il fanatismo potrebbe impaurirla, come ha fatto con me. Non avrei mai immaginato che ci fosse tanta pazzia latente, in mezzo a noi».
«È da pazzi combattere per la propria patria?».
Vickery si morse il labbro. «Sì, quando non c’è nulla da guadagnare».
«Io direi invece che c’è parecchio da guadagnare. Abbiamo aperto una falla considerevole nell’armata Terrestre, e stiamo recitando una parte ben più importante di quanto in origine non ci si aspettasse da Ythri».
«Ma lei crede davvero che il Dominio possa sconfiggere l’Impero? Holm, l’Impero non può permettersi un compromesso. Provi a vederla dal loro punto di vista, se ci riesce. Il solitario custode della pace in mezzo a migliaia di popoli incredibilmente diversi; il solitario guardiano delle frontiere contro predatori alieni barbari e civilizzati, forniti di armi nucleari. L’Impero deve essere più che potente. Deve conservare la credibilità, l’universale credito di invincibilità, altrimenti salterà tutto per aria».
«Il mio naso sanguina per l’Impero», disse Holm, «ma Sua Maestà dovrà risolvere i suoi problemi a spese di qualcun altro. Da noi non riuscirà ad avere passaggi gratuiti. Inoltre, lei avrà notato che i terrestri hanno rinunciato a puntare su Avalon».
«Non ne avevano alcun bisogno», replicò Vickery. «Ma se si rendesse nuovamente necessario, torneranno in forze. E intanto noi siamo bloccati». Respirò profondamente. «Ammetto che il suo gioco ha dato dei frutti straordinari…».
«Prego. "Investimento". E non mio. Nostro».
«Ma non capisce, adesso non può servirci più a nulla se non come "atout" per negoziare! Possiamo ricavarne delle condizioni eccellenti, e so che il Governatore Saracoglu, col quale ho parlato, si impegnerebbe perché gli accordi fossero rispettati. Considerando la questione in termini razionali, cosa c’è di tanto spaventoso nel finire sotto l’Impero?».
«Beh, tanto per cominciare romperemmo il giuramento fatto con Ythri. Mi dispiace, amico caro. Motivi d’orgoglio non lo consentono».
«Lei se ne sta lì seduto a riempirsi la bocca di parole antiquate, ma io le dico che i venti del cambiamento stanno già soffiando».
«So che anche questa è una vecchia frase molto d’effetto», disse Holm. «Ferune ne aveva una ancora più vecchia che gli piaceva citare. Come diceva? "… la loro ora più bella…"».
Tabitha Falkayn si allontanò dalla darsena e tirò due cime in rapida successione. Il fiocco e la vela maestra scricchiolarono, afferrarono la brezza, e si gonfiarono. La leggera barca aperta si inclinò finché il vapore non sibilò lungo il parapetto di tribordo, poi accelerò in avanti. Superato il frangiflutti, in mare aperto, essa cominciò a scivolare sulle onde.
«Stiamo planando!», esclamò Philippe Rochefort.
«Certo», rispose Tabitha. «Questo è un aliscafo. Attento alla boma». Abbassò il timone. Il pennone ruotò e lo scafo si inclinò sulla bordata opposta.
«Non c’è chiglia? E come fate per la resistenza laterale?».
Lei indicò con la mano le assi dalla strana forma ricurva che si protendevano al di sopra di ciascun parapetto, e che si muovevano sul perno sollecitate da maniche a vento poste più in alto. «Ecco lì. Il progetto è Ythrano. Sanno sui venti molto più di quanto gli uomini ed i loro computer possano immaginare».
Rochefort si sistemò ed ammirò il panorama. Era superbo. Le onde si stendevano a perdita d’occhio, di un color blu striato di viola e verde, attraversate dai raggi del sole e con la schiuma bianca che creava dei ghirigori intricati. L’imbarcazione rombava sordamente, risucchiando l’aria con un rumore sibilante. Gli spruzzi delle onde li raggiungevano, salati sulle labbra, e stimolando il sangue laddove colpivano la pelle nuda. L’aria era fresca, ma non fredda, e sembrava cantare la sua vitalità. A poppa i picchi di smeraldo di St. Li rimpicciolivano con una velocità stupefacente.
Lui dovette ammettere che l’aspetto migliore di quel panorama era quella ragazzona fulva che se ne stava eretta, pipa in bocca, con un animaletto simile ad un falco sulla spalla, con i riccioli ossigenati al vento, alla barra del timone. Indossava solo un kilt che il vento faceva aderire ai fianchi e — a titolo di precauzione — il coltello e il disintegratore.
«Quanto hai detto che è lontano?», le chiese.
«Circa trentacinque chilometri. Un paio d’ore, a questa velocità. Non dovremo ripartire fino al tramonto, tanto si può guidare benissimo alla luce delle stelle. Avrai il tempo per dare un’occhiata intorno».
«Sei troppo gentile, Donna», le disse con sollecitudine.
Lei rise. «No, sono contenta di aver trovato una scusa per una gita. Specialmente perché quelle macchie di alga atlantica mi affascinano. Intere ecologie, in aree che possono essere più grandi di un’isola di medie dimensioni. E un pescatore in ricognizione mi ha detto di aver visto un kraken sfiorare gli orli di quest’isola qui. Spero che lo incontreremo. Sono uno spettacolo raro. E pacifico, benché non oserei avvicinarmi troppo ad un simile mostro».
«Non intendevo solo questa escursione», disse Rochefort. «Tu hai accolto me, un prigioniero di guerra, come se fossi un ospite in casa tua».
Tabitha si strinse nelle spalle. «Perché no? Non ci teniamo a rinchiudere quei pochi che catturiamo. Non possono andare da nessuna parte». I suoi occhi si posarono candidamente su di lui. «E poi, voglio conoscerti».
Lui si domandò, con un improvviso battito del cuore, fino a che punto.
Tabitha sembrò farsi triste tutto d’un tratto. «E», disse, «spero di… rimediare a ciò che è successo. Devi ammettere che Draun non aveva intenzione di uccidere arbitrariamente il tuo amico. Lui è, beh, impetuoso; ed era stata estratta un’arma; e siamo in guerra».