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Lui azzardò un sorriso. «Non lo saremo per sempre, Donna».

«Il mio nome è Tabitha, Philippe; o Hrill, quando parlo in Planha. Naturalmente tu non… È giusto. Quando tornerai a casa, vorrei che ti rendessi conto che noi Ythrani non siamo dei mostri».

«Ythrani? Tu?». Lui aggrottò la fronte.

«E che altro? Avalon appartiene al Dominio».

«Non ancora per molto», disse Rochefort. Poi, concitatamente: «Fino ad allora farò del mio meglio per dimostrarti che nemmeno noi terrestri siamo dei mostri».

Lui non riusciva a capire come facesse la ragazza a sorridere così a cuor leggero. «Se ti diverte pensare una cosa del genere, fai pure. Ho paura che qui non avrai molta possibilità di divertirti. Nuoto, pesca, canottaggio, passeggiate… e, sì, lettura; io sono un’appassionata di storie poliziesche e ne ho una buona scorta, alcune giunte proprio dalla Terra. Ma l’elenco finisce qui. Io sonò il solo essere umano residente in permanenza a St. Li, e per di più i miei impegni ed i miei doveri di ufficiale della guardia nazionale mi terranno lontana per parecchio tempo».

«Ce la farò», disse lui.

«Certo, per un po’», replicò lei. «I veri Ythrani non sono ostili a voi. Prevalentemente considerano la guerra una cosa impersonale, come una carestia, quando sei costretto ad uccidere qualcuno per nutrire i tuoi figli, ma non lo odi per questo. Non amano molto le chiacchiere, ma se giochi a scacchi troverai parecchi avversari di valore».

Tabitha allentò la vela maestra e la fissò alla galloccia a scatto. «Sai», disse, «su Avalon non esistono divertimenti di massa, così come so che succede nell’Impero. Sugli schermi non troverai molto, solo notiziari, seri e sonnolenti programmi educativi, e drammi classici che probabilmente per te non significheranno nulla. Perciò… quando ti annoi, dimmelo e mi darò da fare per farti sistemare in una città come Gray o Centauro».

«Non credo che mi annoierò», disse lui, e aggiunse con voluta dolcezza, «Tabitha». Ma era sincero quando scrollò la testa, fissò lo sguardo sulle acque, e proseguì: «No, mi sento colpevole di non provare più dolore, di essere consapevole come sono della mia incredibile fortuna».

«Ah!», ridacchiò la ragazza. «Un giorno mi divertirò a contare in quanti diversi modi sei stato fortunato. Quella in cui ti trovavi era un’isola non convertita, ragazzo, puro Vecchio Avalon, incluso un bel campionario delle specie più pericolose».

«Un uomo armato, che stia all’erta, qui deve preoccuparsi di qualche animale?».

«Beh, senza dubbio potevi far fuori uno spatodonte prima che ti azzannasse, benché non sia facile uccidere i rettiloidi. Ma non avrei puntato un soldo su di te alle prese con un gruppo di licosauri; e se uno sciame di kakkelak avesse cominciato ad arrampicarsi lungo i tuoi calzoni…». Tabitha sogghignò. «Ma quelle sono bestie dei continenti tropicali. Avresti avuto i tuoi guai con le piante, che hanno una distribuzione più ampia. Immagina che una raffica di vento avesse fatto muovere i rami di un albero chirurgo mentre gli passavi accanto. O… proprio al di là della cresta, rispetto a dove ti trovavi, ho notato una depressione piena di arbusti infernali. Non sei un Ythrano, per poter respirare quei vapori e sopravvivere».

«Brrr!», fece lui, «Quale incurabile romantico diede il nome a questo pianeta?».

«La nipote di David Falkayn, quando lui ebbe deciso che questo era il posto dove andare», rispose lei, di nuovo seria. «Ed avevano ragione entrambi. Se non altro il problema era di offrire un’opportunità alla vita indigena. Come ai centauri, che sono la ragione principale per cui Equatoria è stata dichiarata zona interdetta. Essi si servono a mo’ di utensili di schegge di pietra e d’osso, e forse tra un milione di anni saranno diventati intelligenti. E, a proposito, è Ythri che ha insistito sulla loro protezione, Ythri il predatore, non i pionieri umani».

Fece un gesto con le braccia. «Guardati intorno», gli disse. «Questo è il nostro mondo. E dovrà restare nostro».

No, pensò lui, e la bellezza di quella giornata si spense, ti sbagli, Tabitha-Hrill. Il mio ammiraglio schiaccerà gli Ythrani finché non avranno più via di scampo, ma per offrirvi al mio Imperatore.

12

Settimana dopo settimana, con il fuoco che non accennava mai a diminuire d’intensità, l’armata Terrestre avanzava.

Cajal si rese conto che, malgrado lo sfavorevole esordio, la sua campagna sarebbe diventata un classico dei libri di testo. In effetti la sua decisione riguardo Avalon ne era l’aspetto più tipico. Chiunque, con una potenza come la sua, sarebbe stato capace di fare un macello. Secondo le previsioni, nessun altro sistema coloniale aveva a disposizione un armamento lontanamente paragonabile a quello in cui si era imbattuto nella zona di Laura. Quello che esisteva era sfruttato con sufficiente abilità, ma era chiaro che non aveva alcuna possibilità di vittoria.

Perciò qualunque macellaio avrebbe potuto fare un impiego massiccio di navi e vite umane, e nel giro di pochi mesi ridurre in polvere l’opposizione. Secondo quanto riferivano le informazioni e secondo la stessa opinione di Cajal, quello era il tipo di comportamento che i nemici si attendevano da lui. Essi, a loro volta, avrebbero fatto azioni di disturbo, incursioni nell’Impero, ed avrebbero cercato di trascinare dalla loro parte terzi incomodi come Merseia, ed in generale di rendere la guerra talmente costosa per la Terra da farle preferire una pace negoziata.

Cajal dubitava che tutto ciò avrebbe funzionato, anche nelle condizioni più favorevoli. Conosceva gli uomini che facevano parte della Commissione Politica. Nondimeno sentiva che il suo dovere era quello di evitare una vittoria per logorio, era un dovere nei confronti di entrambe le parti in causa. E così aveva progettato non una prudente avanzata nella quale ogni conquista fosse consolidata prima di passare alla successiva, bensì un affondo deciso.

Khrau e Hru caddero pochi giorni dopo l’incursione terrestre nelle loro orbite planetarie più esterne. Cajal lasciò poche navi in ciascuno dei due sistemi e poche truppe di occupazione, in gran parte tecnici, sui pianeti abitabili.

Quelle forze sembravano ridicolmente insufficienti. Il Governatore Rusa ne mise insieme una superiore e tentò di ricatturare Khrau. I terrestri inviarono un messaggio e resistettero. Giunse un distaccamento della flotta principale, con una velocità impressionante, e distrasse il comando di Rusa.

Su Hru III i gruppi si rivoltarono, e massacrarono parte della guarnigione. Poi i missili colpirono dallo spazio. Non ce ne vollero molti per aver ragione della ribellione. I Wyvan furono radunati ed uccisi. Questo fu fatto con il dovuto rispetto per la loro dignità. Alcuni di loro, nelle dichiarazioni finali, sollecitarono la loro gente a collaborare con le squadre di soccorso che giungevano da Esperance nelle aree colpite.

Nel frattempo gli invasori avanzarono su Quetlan. Dal corpo principale si allungavano tentacoli che passando si impadronivano di un sistema dopo l’altro. Alcuni di questi, Cajal non si prese nemmeno la briga di occuparli. Si contentava di rendere inoffensive le loro marine e tirava avanti. Dopo sei settimane, il sole di Ythri era costellato di posizioni perdute.

Ora l’Armata era penetrata nel cuore del Dominio, ad una distanza di oltre cinquanta anni luce dalla più vicina base imperiale precedente. Gli ornitoidi non avrebbero mai avuto un’occasione migliore per tagliarla fuori. Se avessero radunato tutte le loro forze per un combattimento decisivo — non uno scontro finale in piena ragola, naturalmente, ma una battaglia in ritirata che sarebbe potuta durare delle settimane — sarebbero stati ancora inferiori come numero. Ma avrebbero potuto contare su un rifornimento continuo di munizioni, cosa che invece all’Impero sarebbe mancata.