Le campane rintoccavano per tutta Fleurville, dalla cattedrale un possente riecheggiare di bronzo, dai campanili più piccoli poco più che un tintinnio. I razzi schizzavano verso l’alto per esplodere senza rumore e senza danni contro le stelle d’estate. Le strade erano affollate di gente, ubriache più di felicità che di qualsiasi liquore; suonavano trombe, gridavano, ed ogni donna si trovava baciata da un centinaio di uomini mai visti che all’improvviso si erano innamorati di lei. Di giorno, la Marina Imperiale aveva sfilato in parata al suono della banda, mentre pattuglie di astronavi o di mezzi aerei più piccoli avevano imperversato a quote pericolosamente basse. Ma per la capitale di Esperance e del Settore di Pax, la gioia si era scatenata di notte.
Su un’alta collina, nella serra del palazzo governatoriale, Ekrem Saracoglu osservava quella galassia che era diventata la città. Lui sapeva perché si era gonfiata così prepotentemente — il rumore lo raggiungeva come un lontano sciabordare di onde — e brillava così vividamente. Il retaggio pacifista dei coloni era soltanto un motivo secondario; adesso potevano smettere di odiare i loro fratelli che indossavano le uniformi imperiali. Benché, si disse mentalmente, io sospetto che il semplice sollievo animale abbia una voce ancora più forte. Fin dai primi incidenti di frontiera l’odore della paura ha riempito questo pianeta, addensandosi poi quando si è arrivati alla guerra vera e propria. Un’incursione Ythrana, che prendesse di sorpresa il nostro cordone di sorveglianza, un’incandescenza momentanea del cielo…
«Pace», disse Luisa. «Stento a crederci».
Saracoglu guardò la piccola figura accanto a lui. Luisa Carmen Cajal y Gomez aveva accettato il suo invito a cena, ma non si era vestita in modo troppo vivace. La sua gonna era impeccabile come lunghezza e modello, ma di un velluto artificiale grigio ed uniforme. A parte una piccola croce dorata tra i seni, tutti i suoi gioielli consistevano in pochi diamanti sintetici fra i capelli. Essi brillavano tra le trecce nere raccolte in alto come brillano di notte le stelle nel cielo trasparente, o come le lacrime che le orlavano le ciglia.
Il governatore, il quale aveva nascosto la sua corpulenza dietro i merletti, le guarnizioni, il panciotto con disegni a forma di tigre, i pantaloni di un verde iridescente, le calze bianche come la neve e le pietre preziose sistemate ovunque avesse trovato un posto, si azzardò ad accarezzarle la mano. «Hai paura che possano riprendere i combattimenti? No. Impossibile. Gli Ythrani non sono pazzi. Accettando i termini del nostro armistizio, essi hanno riconosciuto la sconfitta con se stessi, prima ancora che con noi. Tuo padre dovrebbe essere presto di ritorno. Il suo lavoro è compiuto». Sospirò, sperando di non essere stato troppo teatrale. «Il mio, naturalmente, diventerà più arduo».
«A causa dei negoziati?», domandò Luisa.
«Sì. Non avrò le prerogative del plenipotenziario, comunque sarò un alto rappresentante della Terra, e l’Impero farà molto affidamento sui consigli dei miei collaboratori ed anche sui miei. In fondo, questo settore continuerà a confinare con il Dominio, ed includerà i nuovi mondi».
Lo sguardo di lei era sorprendentemente grave, per degli occhi così giovani. «Lei diventerà un uomo importantissimo, vero, Eccellenza?». Il tono era, se non proprio gelido, quanto meno freddo.
Saracoglu cercò di superare l’imbarazzo strappando dei petali ingialliti da una fucsia. Accanto ad essa un cespuglio di cinnamomo — la pianta Ythrana — riempiva l’aria di fragranza. «Beh, sì», disse. «Non voglio essere ipocrita con te, Donna, né falsamente modesto».
«Il settore allargato e riorganizzato. Lei probabilmente un gradino più in alto nella scala nobiliare, magari cavaliere. Ed alla fine, con ogni evenienza, richiamato in patria per ricevere la notifica di Lord».
«Non è probito sognare ad occhi aperti».
«È stato lei a suscitare questa guerra, Governatore».
Saracoglu si passò il palmo della mano sul cranio pelato. D’accordo, decise. Se lei non può o non si preoccupa di capire che è stato a causa sua che ho fatto fare le valige a Helga e Georgette (certamente, a questo punto, avrà sentito delle chiacchiere in proposito, benché non abbia detto né fatto capire nulla) beh, allora posso benissimo farle ritornare; o, se non vogliono, procurarmene quante ne voglio. Non c’è dubbio che questa mia particolare fantasticheria sia semplicemente l’eterno sciocco rifiuto dell’uomo di ammettere che sta diventando vecchio e grasso. Ho imparato quali sono i migliori condimenti quando ci si deve nutrire di delusioni.
Ma come spicca, tra quei fiori.
«Io ho promosso un’azione tendente a porre fine al cattivo stato della faccenda prima che peggiorasse», le rispose. «Gli Ythrani non sono santi votati al martirio. Sostenevano i loro interessi in modo sempre più arrogante e spietato man mano che aumentavano le loro risorse. Degli esseri umani sono morti. Donna, è alla Terra che ho prestato giuramento».
Di nuovo i suoi occhi si posarono su di lui. «Però lei sapeva cosa poteva significare questo per la sua carriera», gli disse, sempre calma.
Lui annuì. «Certamente. Ma mi crederai se ti dico che questo non ha semplificato le cose, anzi le ha complicate maledettamente? Ero convinto di pensare che la rettifica di questa frontiera fosse una buona causa. E, sì, penso di poter fare un lavoro superiore alla media, qui, prima di tutto ricostruendo, e poi, cosa non meno importante, trovando una riconciliazione con Ythri; in seguito, se sarò fortunato, nella Commissione Politica, dove promuoverò un buon numero di riforme. Dovrei forse lasciar perdere tutto questo lavoro per potermi sentire con la coscienza a posto? Devo essere maledetto perché mi piace quello che faccio?».
Saracoglu si mise una mano in tasca e ne tirò fuori il portasigarette. «Forse la risposta a queste domande è sì», concluse. «Come fa un mortale ad esserne sicuro?».
Luisa fece un paio di passi nella sua direzione. Tra i sussulti del cuore, lui si ricordò di mantenere il suo mezzo sorriso di pentimento. «Oh, Ekrem…». Si interruppe. «Mi dispiace, Eccellenza».
«No, ne sono onorato, Donna», le disse lui.
Luisa non lo invitò a servirsi del nome proprio, ma gli disse, sorridendo tra le lacrime: «Mi dispiace anche per le mie insinuazioni. Non intendevo una cosa del genere. Non sarei mai venuta, stasera, se non avessi saputo che lei è… un uomo di cui mi posso fidare».
«Non osavo nemmeno sperare che saresti venuta», le disse, ragionevolmente sincero, stavolta. «Avresti potuto festeggiare con persone della tua età».
I diamanti riversarono scintille, quando lei scosse la testa. «No, non per una cosa come questa. Ha mai saputo che una volta stavo per sposarmi? Lui fu ucciso due anni fa, nel corso di un’azione. Azione preventiva, era chiamata, sottomettere alcune tribù che si erano rifiutate di seguire i "consigli" di un residente imperiale… Bene», e tirò un sospirone, «stanotte non sarei capace di trovare parole per ringraziare Dio. La pace è un dono troppo grande per esprimerla a parole».
«Tu sei la figlia dell’Ammiraglio», disse Saracoglu. «Lo sai che la pace non è mai un dono senza prezzo».
«Le guerre giungono immeritate?».
Furono interrotti da un discreto colpo di tosse. Saracoglu si voltò. Si aspettava che fosse il suo maggiordomo che annunciava i cocktail, e la vista di un’uniforme di marina lo infastidì. «Sì», scattò.
«Se non le spiace, signore», disse nervosamente l’ufficiale.
«Ti prego di scusarmi, Donna». Saracoglu si inchinò sulla mano spendidamente affusolata di Luisa e seguì l’uomo nel salone.