«E allora?», gli domandò suo figlio.
«E allora tu cresci nel tuo mondo, generazione dopo generazione. Non è questione di mura e macchinari, si tratta di una natura viva, di quell’albero su cui ti arrampicavi da piccolo e di quel campo che tuo nonno disboscò e della collinetta su cui baciasti la tua prima ragazza. I tuoi poeti l’hanno cantato, i tuoi pittori l’hanno ritratto, la tua storia vi si è svolta, i tuoi antenati hanno restituito alla terra le loro ossa, e così farai anche tu, anche tu. Esso è te, e tu sei lui. Non puoi rinuciarvi, più di quanto tu possa strapparti il cuore dal petto».
Holm tornò a guardare suo figlio. «Pensavo che avresti provato questa sensazione ancor più intensamente di me, Arinnian», gli disse. «Che ti succede?».
«Quell’uomo», mormorò l’altro. «Non ha minacciato cose tremende, ci ha messo in guardia, ci ha implorato. E questo mi ha riportato a casa. Ho visto… mamma, i ragazzi, tu, i miei compagni di gruppo…».
Eyath. Hrill che è Tabitha. In queste settimane abbiamo lavorato insieme, lei ed Eyath ed io… Tre giorni fa, ho fatto un volo di ispezione con loro fino a quella base di missili sottomarini. Le ali di bronzo risplendente, i bei capelli sciolti al vento; occhi d’oro, occhi verdi; l’austera sporgenza della carena, la robusta curva dei seni… Lei è pura. So che lo è. Ho trovato fin troppe scuse per vederla, per stare con lei. Ma quel dannato terrestre chiacchierone che si tiene in casa con il suo fascino da cosmopolita, lui può udire la gaiezza della sua voce più spesso di me.
«Concedigli almeno il loro orgoglio», disse Holm.
Eyath morirà piuttosto che arrendersi. Arinnian raddrizzò le spalle. «Sì. Certo, papà».
Holm sorrise appena. «Dopo tutto», gli fece notare, «sei stato tu ad avere il primo germe di questa affascinante idea che dobbiamo discutere».
«In verità, non… non è del tutto farina del mio sacco. Stavo parlando con Tabitha Falkayn, la conosci? Fu lei a tirar fuori quell’osservazione, quasi per scherzo. Ripensandoci in seguito mi sono chieso se… beh, comunque…».
«Hummm. Una ragazza in gamba, pare. Soprattutto se ha voglia di scherzare in giorni come questi». Holm sembrò accorgersi dell’intensità del suo sguardo, perché voltò rapidamente la testa e disse: «Torniamo al lavoro. Per prima cosa faremo una mappa, eh?».
I suoi pensieri si potevano quasi leggere. Li tradivano il tono leggermente più sostenuto, e le rughe intorno agli occhi. Bene, bene. Chris si è finalmente trovato una donna che non sia solo una macchina sessuale o una femmina Ythrana. Dovrei dirlo a Ro?… Le dirò che nostro figlio ed io siamo di nuovo insieme.
Intorno a St. Li l’inverno significava piogge. E le piogge imperversarono, rumoreggiarono, lavarono ed accarezzarono, ed era bello essere all’aperto senza vestiti, e quando per un po’ cessavano di cadere, si lasciavano arcobaleni alle spalle.
Eppure, si passava anche un sacco di tempo in casa, a parlare o ad ascoltare musica. Era un peccato sprecare una limpida serata.
Tabitha e Rochefort passeggiavano lungo la spiaggia, stringendosi per le dita. Poiché l’aria era dolce, lui indossava soltanto il kilt ed il pugnale che gli aveva dato lei, e lei lo stesso.
Morgana si alzò, piena, dalle acque ad oriente. Il suo scudo quasi senza macchie abbagliava la vista con un biancore tale che le stelle che si riuscivano a scorgere scintillavano piccole e delicate. Quella luce pioveva su una radura tremolante dall’orizzonte fino ai frangenti più lontani, le cui punte trasformava in pallide fiammelle; le dune rilucevano sotto di essa, e le cime degli alberi che formavano un muro d’ombra sulla sinistra incanutivano. Non c’era vento, e la risacca rimbombava sordamente, con un suono attutito come il battito di un cuore. Odori di foglie e di terra coprivano l’alito del mare. La sabbia restituiva il calore del giorno e scricchiolava appena, adattandosi sensualmente ai loro piedi nudi.
Rochefort disse, con voce angosciata: «Tutto questo dovrà morire? Dovrà essere avvelenato, bruciato, ridotto in frantumi? E tu!».
«Noi crediamo che non andrà così», replicò Tabitha.
«Te lo dico io, io so ciò che accadrà».
«È sicuro che il nemico bombarderà?».
«Non di sua volontà. Ma se voi avaloniani, nella vostra folle arroganza, non lasciate altra alternativa…». Rochefort si interruppe. «Perdonami. Non avrei dovuto dire una cosa del genere. È solo che il tempo incalza».
La mano di lei si strinse nella sua. «Capisco, Phil. Tu non sei il nemico».
«Che c’è di male nel far parte dell’Impero?». Fece un gesto verso il cielo. «Guarda. Un sole dopo l’altro. Potrebbero essere vostri».
Lei sospirò. «Vorrei…».
Tabitha aveva ascoltato con il massimo interesse i suoi racconti su quelle miriadi di mondi.
D’un tratto lei sorrise, un baleno nel chiarore lunare che la rivestiva. «No, non vorrei», disse. «Ti costringerò a mantenere la tua promessa di farmi vedere la Terra, Ansa, Hopewell, Cynthia, Woden, Diomede, Voxen, e tutte quelle meraviglie di cui mi hai parlato, una volta che avremmo avuto la pace».
«Se potremo ancora farlo».
«Lo potremo. Questa notte è troppo bella per credere a qualcosa di diverso».
«Ho paura di non poter condividere la tua mentalità Ythrana», disse lui lentamente. «E mi fa anche male».
«Non puoi? Voglio dire, sei coraggioso, io so che lo sei, e so che sei capace di godere la vita così come viene». La sua voce e le sue ciglia si abbassarono. «E come, se puoi».
Lui si fermò, si voltò e le prese l’altra mano. Rimasero a guardarsi senza parlare.
«Ci proverò», le disse, «per te. Mi aiuterai?».
«Ti aiuterò in tutto, Phil», rispose Tabitha.
Si erano già baciati, dapprima allegramente quando avevano cominciato a sentire che stavano bene insieme, poi con più passione. Quella notte lei non fermò le mani dell’uomo, né le sue.
«Phil e Hrill», gli bisbigliò alla fine, stretta al suo corpo. «Phil e Hrill. Tesoro, conosco un promontorio, un paio di chilometri più avanti. È coperto dagli alberi, ma attraverso di essi si può vedere la luna e il mare, e l’erba è folta e soffice, l’erba terrestre…».
Lui la seguì, appena capace di comprendere la sua fortuna.
Lei rise, con il seno che sussultava. «Sì, ho programmato tutto io», disse con voce gorgheggiante. «Erano giorni che aspettavo la mia occasione. Non ti dispiace essere sedotto? Magari abbiamo poco tempo, ancora».
«Con te sarebbe poco una vita intera», replicò lui con voce esitante.
«Adesso dovrai aiutarmi, amore mio, amore mio», gli disse Tabitha. «Tu sei il primo, per me. Ti ho sempre aspettato».
14
Arinnian chiamò Eyath dal basso. «Hoy-ah! Scendi e vieni dentro». Sorrise e poi aggiunse in Anglico: «Noi Funzionari Importanti non abbiamo tempo da perdere».
Lei fece un’altra piroetta. Il sole alle sue spalle dava alle ali una sfumatura bronzea orlata di un alone dorato. Potrebbe essere il sole stesso, pensò Arinnian, o il vento, o qualsiasi cosa bella e selvaggia al di sopra di questo deserto di calcestruzzo. Poi si lanciò in avanti verso il «flitter», frenò in un turbine d’aria e fu in piedi di fronte a lui.