Il suo sguardo cadde preoccupato sulla sagoma a forma di siluro che si profilava dietro Arinnian. «Dobbiamo viaggiare su quello?» domandò.
«Dal momento che dobbiamo attraversare mezzo pianeta, sì», rispose lui. «Non è brutto, vedrai. Specialmente se le tappe non saranno lunghe. Ci vuole meno di un’ora per arrivare a St. Li». Da Tabby. «Su, dammi la mano».
Lei gliela diede. Le dita, i cui artigli potevano scorticarlo, erano snelle e calde, appoggiate fiduciosamente sulle sue. La aiutò a salire sulla passerella. Lei aveva già viaggiato parecchie volte su veicoli, naturalmente, ma sempre su aeromobili a «bulbo», fragili e lente perché le cabine di vitrile a forma di bolla non consentivano più che tanto.
«Questo è un problema che i gruppi come Stormgate, i cui membri sono in gran parte cacciatori, dovranno risolvere», disse lui. «Claustrofobia. Si limitano troppo le possibilità del viaggio quando non si può fare a meno di essere circondati da un involucro trasparente».
La testa di Eyath si sollevò. «Se Vodan può soffrire ancora peggio, mi vergogno di aver esitato, Arinnian».
«In effetti, spero che riuscirai a vedere ciò che vede Vodan. A lui piace trovarsi nello spazio con questo, no?».
«S-sì. Me l’ha detto lui. Non tanto da scegliere la carriera di pilota, ma dopo la guerra avremmo intenzione di visitare altri pianeti».
«Oggi cercherò di convincerti che sia il viaggio che l’obiettivo sono qualcosa di speciale… M-m-mm, lo sai, Eyath, due coppie ben assortite che viaggiano insieme… Beh, eccoci qui».
Lui la aiutò a sistemarsi nella bardatura del sedile accanto al pilota, benché lei fosse solo una passeggera. «Di solito questo non sarebbe necessario», le spiegò. «Il "flitter" è adatto anche al volo spaziale — potresti raggiungere Morgana senza difficoltà, ed anche i pianeti più vicini, se necessario — perciò dispone di campi anti-accelerazione, oltre ad una gravità interna in caduta libera. Ma noi voleremo alti, ai limiti dell’atmosfera, per non creare un boom supersonico. Ed anche se al momento la guerra langue, e avremo sulla testa una bella protezione di fortezze orbitanti, nondimeno…».
Lei strofinò la cresta sulla spalla di Arinnian. «Certo», mormorò.
Lui si assicurò, controllò gli strumenti, ricevette l’autorizzazione a partire, e decollò. Le fasi iniziali furono controllate a distanza, per evitargli di imbattersi nella danza di proiezioni negagravitazionali che proteggevano lo spazioporto. Una volta al di là, salì il più velocemente possibile, finché, giunto nelle parti alte dell’atmosfera, diede al velivolo l’energia calcolata per ridurre al minimo il tempo di passaggio.
«O-o-o-oh», fece Eyath, ansimando. Filavano tranquilli. Gli schermi visori rimandavano l’immagine ripresa in molte direzioni. Al di sotto, Avalon era un oceano argentato. Tutt’intorno il crepuscolo porporino, il sole, la luna, poche stelle: l’immensità, fredda e serena.
«Avrai visto le fotografie», disse Arinnian.
«Sì. Ma non è la stessa cosa». Eyath gli strinse il braccio. «Grazie, caro compagno di vento».
E vado da Tabby, per riferirle di un piano di battaglia che potrebbe anche funzionare, e al quale sarà necessario che lavoriamo insieme. Com’è possibile tanta felicità?
Il loro volo proseguì in un silenzio Ythrano che può essere un compagno di gran lunga preferibile alle chiacchiere umane.
Il cielo si annuvolò, poco prima di giungere a destinazione, ma una volta attraversato il velo di foschia si trovarono davanti un cielo grigio perla, le acque indaco merlettate di bianco, e l’isola di un verde soffice. Il campo di atterraggio era piccolo, scavato sul fianco della montagna a pochi chilometri dall’insediamento dove abitava Tabitha. Quando Chris l’aveva avvisata del suo arrivo, lei gli aveva promesso di venirlo a prendere.
Si liberò della bardatura con le dita che tremavano un poco. Senza fermarsi ad aiutare Eyath, si affrettò verso il compartimento stagno. Si era aperto e la passerella sporgeva all’infuori. Un venticello gli scompigliò i capelli, caldo, umido, profumato dagli janie piantati intorno al campo.
Tabitha era lì sotto, che lo salutava con la mano.
Per salutarlo, usò la sinistra: con la destra stringeva la mano del terrestre.
Dopo mezzo minuto disse: «Hai intenzione di startene lì impalato per tutto il giorno, Chris?».
Lui scese. I due si sciolsero e tesero le mani alla maniera terrestre, mentre il piede di lei accarezzava quello di Rochefort. Tabitha non indossava nulla se non pochi disegni in una tinta color carne. Inclusa la lieta banalità del cuore trafitto da una freccia.
Arinnian si inchinò. «Abbiamo un argomento urgente da discutere», le disse in Planha. «Sarà meglio andare subito in volo a casa di Draun».
In realtà il socio ed ufficiale superiore di Tabitha attendeva a casa di lei. «A casa mia ci sono troppi adolescenti e servitori», borbottò. «Ritengo che la segretezza sia importante, altrimenti avresti semplicemente telefonato… malgrado ci sia quel tuo dannato fanfarone».
«I miei ospiti sono sempre i benvenuti», replicò asciutta la donna.
Arinnian si domandò se era solo la sua mente ad avvertire la tensione, o se invece era proprio nell’atmosfera. Draun, magro, pieno di cicatrici, non aveva le penne erette, ma sedeva sulla coda e sugli alettoni in un modo che suggeriva un evidente cattivo umore, e continuava ad accarezzare il suo pugnale. Lo sguardo di Tabitha sembrava soffermarsi su Rochefort con meno tenerezza di quanto aveva fatto al campo, ma quasi in senso di sfida.
Guardandosi intorno, Arinnian trovò il soggiorno leggermente cambiato. Fino ad allora gli era piaciuto. Era stata lei stessa a progettarlo. Il soffitto, un fluoropannello, era basso secondo la moda Ythrana, per armonizzare tutte le proporzioni. Alcune stuoie di susin giacevano sul pavimento di quercia levigata, tra le pareti in legno e rame dalle ampie finestre, e sotto le poltrone, le zampe dei tavoli ed un’urna di pietra colma di germogli. Anche se ogni cosa era lustra e risplendente, non mancava traccia del suo abituale disordine, qui un portapipe ed una borsa per il tabacco, là un libro, e più in là ancora un modellino di nave che stava costruendo.
Oggi, tuttavia, lui notò i testi che servivano a istruire uno straniero su Avalon, e una chitarra che doveva essere stata ordinata di recente, poiché lei non suonava quello strumento. Nel corridoio che portava alla sua stanza da letto non era stata tirata la cortina; Arinnian colse la visione di un nuovo letto matrimoniale in legno e pelle.
L’ala di Eyath lo toccò. A lei Draun non piaceva. Lui sentì il calore che si irradiava da quel corpo.
«Si», disse. «Dobbiamo tenere nascosta la faccenda». Posò gli occhi su Rochefort. «So che hai studiato il Planha. A che punto sei?».
Il sorriso del terrestre era stranamente timido per un nemico d’un altro pianeta che era riuscito ad abbagliare una ragazza di nome Hrill. «Non molto avanti», ammise. «Potrei anche provare a pronunciare qualche parola, a meno che voi non troviate il mio accento troppo atroce».
«Se la sta cavando benissimo», disse Tabitha, e gli si strinse addosso.
Con il braccio intorno alla vita della ragazza, Rochefort dichiarò: «Io non ho alcuna possibilità di rivelare i vostri piani ai miei compagni, se è questo che ti preoccupa, Cittadino… uh, voglio dire Christopher Holm. Ma sarà meglio che chiarisca la mia posizione. Io sono dalla parte dell’Impero. Quando ho accettato questo incarico, ho fatto un giuramento, ed ora non ho alcun motivo di rinnegarlo».