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«Ben detto», commentò Eyath. «Così direbbe anche il mio fidanzato».

«Che cos’è l’onore per un terrestre?», disse con disprezzo Draun. Tabitha gli rivolse un’occhiata furiosa. Prima che lei potesse dire qualcosa Rochefort, il quale non aveva evidentemente capito la frase espressa in Planha, proseguì:

«Come potete vedere, io… voglio sistemarmi su Avalon, alla fine della guerra. Comunque vada a finire. Ma credo che possa finire solo in un modo. Christopher Holm, oltre ad innamorarmi di questa fanciulla, mi sono innamorato del suo pianeta. Potrei indurti a prendere in considerazione l’inevitabile, prima che l’orrore si abbatta su Tabby e su Avalon?».

«No», rispose Arinnian.

«Lo supponevo». Rochefort sospirò. «D’accordo, andrò a fare una passeggiata. Basterà un’ora?».

«Oh, sì», rispose Eyath in Anglico.

Rochefort sorrise. «Amo la tua gente».

Eyath diede una gomitata ad Arinnian. «Hai bisogno di me?», gli chiese. «Devi spiegare l’idea generale. Io la conosco già». Emise un rumore sibilante che esisteva solo nel dialetto Planha di Avalon… una specie di risatina. «Tu sai che le mogli non si concedono i passatempi dei mariti».

«Eh?», fece lui. «Cosa vuoi fare?».

«Andare a spasso con Ph… Phee-leep Hroash For. Lui è stato dove è stato Vodan».

Anche tu? pensò Arinnian.

«E poi lui è il compagno di Hrill, nostra amica», aggiunse Eyath.

«Vai pure, se lo vuoi», disse Arinnian.

«Un’ora, dunque». Gli artigli ticchettarono, le penne frusciarono mentre Eyath attraversava il pavimento verso il terrestre. Allungò una mano e lo prese per un braccio. «Vieni; abbiamo molto di cui parlare», gli disse nel suo Anglico cadenzato.

Lui sorrise di nuovo, sfiorò con le sue labbra quelle di Tabitha, ed accompagnò fuori l’Ythrana. Dietro di loro cadde il silenzio, fatta eccezione per il mormorio degli alberi al di fuori. Arinnian rimase in piedi dove si trovava. Draun rise sprezzante. Tabitha andò in cerca delle sue pipe, ne scelse una e cominciò ad accenderla, con lo sguardo intento su tale manovra.

«Non prendertela con me», disse Draun. «Gli avrei staccato la testa come ho fatto con il suo amico dalla pelle glabra, se Hrill non si fosse opposta. Sai che lei non ha voluto che io ricavassi un boccale da quel teschio?».

Tabitha si irrigidì.

«Beh, dimmelo, quando ti sarai stancata delle sue lusinghe», continuò Draun. «Gli aprirò il ventre sull’altare di Illirian».

Lei si girò di scatto e lo fissò. La cicatrice sulla guancia spiccava sulla pelle, bianca come un osso. «Stai forse chiedendomi di mettere fine alla nostra relazione?», le uscì fuori quasi in un ringhio. «O di sfidarti?».

«Tabitha Falkayn può disporre come vuole della sua vita, Draun», intervenne Arinnian.

«Ar-r-rkh, se avessi potuto fare come volevo», grugnì l’altro maschio, con le penne arruffate e i denti digrignati. «Comunque, per quanto tempo ancora dovremo starcene rinchiusi in questa gabbia di navi terrestri?».

«Finché sarà necessario», scattò Tabitha, ancora pallida e tremante. «Vuoi forse andare alla carica e morire per niente, come qualsiasi stupido eroe delle saghe? O dare il benvenuto alle testate nucleari che possono trasformare interi continenti in un oceano di fuoco?».

«Perché no? Alla fine tutto muore». Draun sorrise. «Che splendido finale pirotecnico, sarebbe! Certo, preferirei spedire la Terra in fiamme tra i venti infernali; ma dal momento che questo non si può fare, sfortunatamente…».

«Io preferirei perdere una guerra piuttosto che uccidere un pianeta, invece, qualsiasi pianeta», disse Tabitha. «Tanto più se ci sono esseri viventi. E preferirei perdere questo pianeta piuttosto che vederlo ucciso». Abbassò il tono della voce e fissò in volto l’Ythrano. «Il tuo problema è che l’Antica Fede rinfocola il desiderio di uccidere che la guerra ha suscitato in te… e tu non hai modo di soddisfarlo».

L’espressione di Draun diceva: Forse. Ma almeno non vado a letto con il nemico. Tuttavia rimase silenzioso, e Tabitha lo lasciò perdere. Si volse invece verso Arinnian. «Puoi cambiare la situazione?», gli chiese, con un sorriso quasi timido.

Lui non glielo restituì. «Sì», rispose. «Lasciate che vi spieghi che cosa ho in mente».

Poiché gli ornitoidi non passeggiavano volentieri per lunghi tratti, ed una conversazione prolungata in volo era impossibile, Eyath condusse Rochefort alle stalle. Dopo le numerose visite delle ultime settimane, conosceva bene la strada. C’erano pochi zirraukh, lì dentro, ed un cavallo per Tabitha. I primi erano più piccoli del secondo e gli rassomigliavano solo perché erano anch’essi quadrupedi a sangue caldo — non mammiferi, a stretto rigore di termini — ma svolgevano comunque le stesse mansioni. «Puoi equipaggiare il tuo animale?», domandò lei.

«Sì, ora che vivo qui da un po’. Prima, non ricordo di aver mai visto un cavallo fuori da uno zoo». La sua risatina fu meccanica. «Ehm, non avremmo dovuto chiedere il permesso?».

«Perché? I membri dei gruppi osservano in genere le abitudini dei loro ospiti, ed a Stormgate non chiedi qualcosa in prestito, quando ti trovi tra amici».

«Vorrei davvero che lo fossimo».

Lei fece leva con la mano contro il box della stalla per allungare l’ala e gli sfiorò dolcemente la guancia con i remiganti.

Montarono in sella e marciarono fianco a fianco lungo una pista attraverso il bosco. Le foglie stormivano alla brezza marina, con una sfumatura argentata in quella luce chiara e senza ombre. Gli zoccoli toccavano terra con un tonfo, ma l’aria umida impediva alla polvere di sollevarsi.

«Sei gentile, Eyath», disse infine Rochefort, un po’ a disagio. «Molti lo sono stati. Più di quanti, temo, un prigioniero di guerra non umano potrebbe incontrarne su un pianeta umano».

Eyath cercò le parole. Si serviva dell’Anglico più per esercizio che per cortesia. Ma qui il suo problema era quello di trovare i concetti. La semplice frase che le venne in mente le sembrò pura tautologia: «Non bisogna odiare per combattere».

«Invece aiuta. Se sei umano, almeno», replicò lui con disappunto. «E quel Draun…».

«Oh, lui non odia te. È sempre cosi. Io provo… pietà?… per sua moglie. No, non pietà. Ciò significherebbe che la ritengo inferiore, no? E invece lei resiste».

«Perché rimane con lui?».

«I figli, naturalmente. E forse non è infelice. Draun deve avere i suoi lati buoni, se sta insieme a Hrill. Eppure, il mio matrimonio sarà molto più fortunato».

«Hrill…». Rochefort scosse la testa. «Penso di aver meritato l’odio del tuo, uh, fratello Christopher Holm».

Eyath gorgheggiò. «È evidente. Tu hai ottenuto quello che lui desiderava più d’ogni cosa. È ferito, e si può sentire il sangue sgocciolare».

«Non t’importa? Considerando come siete vicini?».

«Beh, non gioisco al suo dolore. Ma lui riuscirà a dominarlo. E poi mi domandavo se lei non avrebbe costituito un vincolo troppo stretto». Dacci un taglio, amico. Eyath soffermò lo sguardo sull’uomo. «Ma stiamo cianciando di cose che non ci riguardano. Volevo chiederti delle stelle che hai visto, degli spazi che hai attraversato, e di che cosa significhi far la guerra lassù».

«Non lo so», disse Tabitha. «Sembra dannatamente incerto».

«Indicami uno stratagemma che non lo sia», replicò Arinnian. «Il fatto è che, sia che riesca o no, avremo cambiato i termini del combattimento. Gli Imperiali non avranno motivo di bombardare, avranno anzi un’ottima ragione per non farlo, ed Avalon sarà salvo». Guardò Draun.

Il pescatore rise. «Se mi piace o no, akh?», disse. «Beh, penso che sia buono qualunque piano che ci consenta di uccidere personalmente i terrestri».

«Sei sicuro che atterreranno dove si pensa?», domandò Tabitha.