«No, naturalmente non siamo sicuri», rispose rabbiosamente Arinnian. «Faremo tutto il possibile per far sì che quella zona si riveli la scelta più logica, per loro. Tra le altre mosse, stiamo progettando qualche diserzione. I terrestri non dovrebbero sospettare che sono opera nostra, perché in effetti non è difficile lasciare questo pianeta. Le sue difese non riguardano oggetti che volino verso l’esterno».
«Hmmm». Tabitha si strofinò il mento… la grossa mano ben sagomata sulla mascella robusta, sotto la bocca massiccia… «Se fossi un ufficiale del servizio segreto terrestre e mi si presentasse qualcuno che affermasse di essere scappato da Avalon, lo sottoporrei ad una… come lo chiamano, quell’aggeggio osceno? Una ipnosonda».
«Senza dubbio». Arinnian annuì con un vigoroso cenno del capo. «Ma avremo dei fuggiaschi genuini. Mio padre ha incaricato uomini in gamba di prendersi cura della cosa. Non conosco i particolari, ma posso immaginarli. C’è tanta gente in preda al panico, o che vorrebbe che ci arrendessimo perché è convinta che perderemo comunque. E c’è ancor più gente che la pensa così, ma con minore convinzione, e della quale i primi si fideranno. Immaginate… beh, immaginate, per esempio, di convincere il presidente Vickery a far partecipare un potenziale traditore ad una discussione segreta. Vickery spiega che ha intenzione di mollare, che per lui agire apertamente equivarrebbe ad un suicidio politico, ma che può darsi da fare per far sì che certe persone riferiscano le sue proposte ai terrestri. Non capite? Io non voglio dire che le cose andranno realmente in questo modo. In effetti non so nemmeno fino a che punto ci si può fidare di Vickery. Ma possiamo lasciare agli uomini di mio padre il compito di pensare ai dettagli».
«E lo stesso sarà per le disposizioni militari che renderanno plausibile la storia. Buono, buono», disse Draun, con malcelata esultanza.
«È per questo che sono venuto», disse Arinnian. «La mia missione consiste nell’impartire istruzioni ai capi delle guardie nazionali e nel coordinare i loro sforzi».
Si alzò dalla poltrona e cominciò a camminare su e giù davanti a Tabitha, senza mai guardarla in faccia. «Nel vostro caso la missione include un extra», proseguì, con distacco. «Sarebbe utilissimo se un terrestre tornasse dai suoi a confermare le false informazioni».
L’alito uscì come un sibilo dalle labbra della ragazza. Draun spostò il suo peso in avanti, dagli alettoni ai pollici del piede.
«Sì», disse Arinnian. «Il tuo caro Philippe Rochefort. Digli che sono qui perché sono preoccupato per Equatoria». E entrò nei dettagli. «Io inventerò qualche impegno nelle isole vicine, e me ne andrò in volo insieme ad Eyath. Il nostro apparecchio è qui dietro, custodito con negligenza. Tu lo lasci girovagare liberamente, no? Il comportamento del terrestre non potrà che essere uno».
Il cannello della pipa di Tabitha le si ruppe tra le dita. Non si accorse nemmeno del fornello che cadeva a terra, sparpagliando cenere e pezzi di tabacco infuocato. «No», disse.
Arinnian scoprì che non gli costava molto fermarsi e fissarla in volto, come fece. «Lui è più importante del tuo mondo?».
«Che Dio mi incenerisca se accetterò mai di servirmi di lui», disse la ragazza.
«Be’, ma se il suo nobile spirito non si sogna nemmeno di dubitare di te, cosa temi?».
«Non permetterò mai che il mio onore sia indegno del suo», replicò Hrill.
«Quel lurido individuo?», la schernì Draun.
Gli occhi della ragazza corsero a lui, mentre la mano si allungava verso il tavolo vicino sul quale giaceva un pugnale.
Lui fece un passo all’indietro. «Ne ho abbastanza», disse fra le labbra.
Fu un sollievo, quando il successivo silenzio venne interrotto bruscamente. Qualcuno bussava alla porta, facendo un gran fracasso. Arinnian, che era il più vicino, la aprì. Dietro c’era Rochefort, ed alle sue spalle un cavallo ed uno zirraukh. Respirava a fatica, e sembrava che il sangue fosse defluito dalla sua carnagione abbronzata.
«Non dovresti essere già qui», gli disse Arinnian.
«Eyath…», esordì Rochefort.
«Che cosa?», Arinnian lo afferrò per le spalle. «Dov’è?».
«Non lo so. Io… stavo andando a cavallo, chiacchierando… Tutto d’un tratto lei si è messa a gridare. Cristo, non riesco a togliermi quel grido dalla testa. E poi ha preso il volo, con le ali che battevano come un mantice, ed è scomparsa al di là degli alberi prima che potessi richiamarla. Io… io ho aspettato, finché…».
Tabitha gli si avvicinò. Fece per spingere da parte Arinnian, poi vide come se ne stava lì tutto deciso, con le dita affondate nella carne di Rochefort, e si trattenne. «Phil», gli disse a voce bassa. «Tesoro, pensaci. Deve aver sentito qualcosa di terribile. Che cosa era?».
«Non riesco ad immaginarlo». Il terrestre fremeva sotto la stretta di Arinnian, ma rimase dov’era. «Mi aveva chiesto, beh, di parlarle della guerra nello spazio. Delle mie esperienze. Ed io le stavo raccontando dell’ultimo scontro prima del nostro naufragio. Ti ricordi, ne ho parlato anche a te».
«Un particolare di cui non ti ho chiesto?».
«Beh, io… mi è successo di dirle che avevo notato l’insegna sullo scafo avaloniano, e lei mi ha chiesto com’era».
«E poi?».
«Gliel’ho detto. Non avrei dovuto?».
«Com’era?».
«Tre stelle dorate lungo una curva iperbolica».
Arinnian lasciò andare Rochefort. Il pugno colpì in pieno il volto dell’uomo. Rochefort barcollò all’indietro e cadde al suolo. Arinnian tirò fuori il coltello, si mosse per colpire, poi si dominò. Rochefort si mise a sedere, stupefatto, con la bocca che sanguinava.
Tabitha si inginocchiò accanto a lui. «Non potevi saperlo, mio caro», gli disse. Anche il suo autocontrollo era vicino alla rottura. «Ma tu le hai detto che il suo amante è morto».
15
La notte portò un vento insistente. Le nuvole si spaccarono in masse frastagliate, mentre Morgana, una sfera gibbosa sospesa nel mezzo, ne sfumava la tinta blu scura. Poche stelle splendevano appena, apparendo e scomparendo alla vista. La risacca sciabordava nell’oscurità al di là della pioggia, mentre gli alberi rumoreggiavano, anch’essi immersi nel buio della riva. Il freddo pungente aveva costretto gli umani a vestirsi pesantemente.
Rochefort e Tabitha passeggiavano lungo le dune. «Dove sarà lei?». La voce dell’uomo era spenta.
«Per conto suo», rispose la ragazza.
«Con questo tempo? E con la prospettiva che peggiori? Senti, se Holm è andato a cercarla, almeno noi…».
«Sanno entrambi badare a se stessi». Tabitha si strinse addosso il mantello. «Io non credo che Chris si aspetti davvero di trovarla, a meno che sia lei a volersi far trovare, il che è dubbio. Semplicemente deve fare qualcosa. E deve star lontano da noi per un poco. Il suo dolore fa male anche a lui. È tipico degli Ythrani trascorrere da soli il primo lutto».
«Santi numi! Ho combinato davvero un bel disastro, vero?».
Accanto a lei, Philippe era un’ombra alta e snella. Lei infilò la mano attraverso la fenditura della manica, vi annaspò dentro ed incontrò la realtà della sua mano. «Te lo ripeto, non potevi saperlo», gli disse. «Comunque, è meglio che l’abbia appreso così, invece di tirare avanti ancora per settimane o mesi, senza mai la certezza che lui non fosse morto in qualche modo orrendo. Adesso sa che se ne è andato in modo pulito, troppo rapidamente per accorgersene, subito dopo aver battuto un nemico coraggioso». Esitò. «E poi, non sei stato tu ad ucciderlo. È stato il nostro attacco. Potresti dire che è stata la guerra, come una valanga o un colpo di fulmine».
«Questa sporca guerra», disse lui con voce stridente. «Non ne abbiamo avuto ancora abbastanza?».