La rabbia avvampò in lei. La ragazza si staccò. «Il tuo prezioso Impero può finirla quando vuole, lo sai».
«È finita, tranne che per Avalon. Che senso ha continuare ancora? Li costringerete a bombardarvi, per farvi capitolare».
«Mostrando così al resto dello spazio conosciuto che razza di cosa è l’Impero. A lungo termine, un’infamia del genere costerebbe loro molto cara». La rabbia di Tabitha andava defluendo. O Phil, solo mio! «Lo sai, puntiamo tutto sul fatto che loro non sono dei mostri; e che hanno un certo interesse a salvare la faccia. Non ne parliamo più».
«Io devo. Tabby, tu ed Holm… È il vecchio Holm, accidenti. Lui, e pochi altri vecchi e Ythrani, ai quali non importa nulla di quanti giovani muoiono, pur di non ammettere quanto sono stupidi, senili e ostinati…».
«Basta, ti prego».
«Non posso. State tramando qualche nuovo, folle piano con cui pensate di tenere in scacco tutte quelle stelle. Anche ammettendo che funzioni, io ti dico che sarà un disastro. Perché può prolungare la guerra, renderla più aspra… No, non posso star qui a far niente, lasciando che tu faccia questo a te stessa».
Lei si fermò, e così anche lui. Si guardarono l’un l’altra attraverso l’inquieto alone di luce. «Non preoccuparti», disse lei. «Noi sappiamo quel che facciamo».
«Davvero? E qual è il vostro piano?».
«Non posso riferitelo, tesoro».
«No», replicò lui amaramente, «ma puoi lasciarmi trascorrere notti insonni, avvelenare i miei giorni, con la paura per te. Senti, io ne so un bel po’, sulla guerra. E sulla psicologia dell’alto comando dell’Impero. Potrei dirti con una certa precisione come reagirebbero a qualunque vostro tentativo».
Tabitha scosse la testa. Sperò che lui non la vedesse mordersi le labbra.
«Dimmelo», insistette lui. «Che male posso fare? E i miei consigli… Forse non state progettando nulla di avventato. Se potessi esserne sicuro…».
Lei riuscì appena a dire: «Ti prego. Ti prego».
Lui le posò le mani sulle spalle. La luce della luna si riversava nei suoi occhi, trasformandoli in stagni vuoti. «Se mi ami, me lo dirai», le disse.
Tabitha rimase lì, preda del vento. Non posso mentirgli. O sì? Ma non posso nemmeno rompere il giuramento. O sì?
Ciò che Arinnian voleva che gli dicessi…
Ma non ti sto mettendo alla prova, Phil, Phil. Io… sto scegliendo il male minore. Perché tu non vorresti che la tua donna rompesse il suo giuramento, vero? Ti sto dando quel po’ di felicità che posso darti, con una menzogna che non farà alcuna differenza per te. E poi, quando avrai capito, mi inginocchierò per chiederti perdono.
Si spaventò, nel sentirsi dire: «Abbiamo la tua parola?».
«Di non usare l’informazione contro di voi?». La sua voce ebbe un attimo di esitazione. Dietro di lui le onde sibilavano. «Sì».
«Oh, no!». Lei allungò una mano per toccarlo. «Non volevo dire…».
«Beh, hai la mia parola, tesoro».
In tal caso… pensò lei. Ma no, non potrei dirgli la verità prima di aver consultato Arinnian, e lui direbbe certamente di no. E comunque Phil ne soffrirebbe moltissimo, e sarebbe spaventato per me e, sì, per i suoi amici della marina che, per tener fede al suo onore, non potrebbe avvisare.
Strinse i pugni sotto il mantello svolazzante, e disse concitatamente: «Beh, in effetti non è niente d’importante. Tu conosci Equatoria, il continente disabitato. Là non c’è nulla se non qualche postazione sparpagliata ed una guardia ridotta all’osso. Per lo più se ne stanno nelle baracche, perché sono talmente pochi che non avrebbe senso pattugliare un territorio così vasto. Chris è preoccupato di questo».
«Hmm, sì, l’ho sentito che te ne parlava».
«È riuscito a convincere il padre che le difese sono inadeguate. In particolare, facendo uno studio accurato, hanno scoperto che l’altopiano di Scorpeluna è del tutto esposto. Lo isolano le catene circostanti di montagne, la turbolenza dell’aria e così via. Un nemico che concentrasse la sua azione per infrangere la resistenza delle fortezze orbitali e che piombasse giù sufficientemente veloce… appena al di sotto dei cinquanta chilometri, sarebbe al riparo da quei pochi raggi che potremmo lanciargli addosso, e riuscirebbe certo ad eliminare senza difficoltà i pochi missili e mezzi aerei che potremmo spedire in tempo. Una volta al suolo, basta trincerarsi… capisci? Una testa di ponte. Noi vogliamo rinforzare quell’area. Tutto qui».
Si fermò, presa da una specie di stordimento. Ho parlato senza mai prendere il fiato?
«Capisco», rispose lui dopo un po’. «Grazie, cara».
Lei gli si fece incontro e lo baciò, con dolcezza per non fargli male sulla bocca ferita.
In seguito, quella notte, il vento scemò, le nuvole si raccolsero, e cadde la pioggia, lenta come lacrime. All’alba aveva smesso. Laura sorse accecante dalle grandi acque, immergendosi nel blu assoluto del cielo, ed ogni foglia e lamina dell’isola ne fu ingioiellata.
Eyath lasciò la faglia su cui era rimasta appollaiata nelle ultime ore, quando non era stata più in grado di fronteggiare le intemperie. Aveva freddo, era bagnata, irrigidita, ma poi l’aria soffiò pungente nelle narici e nelle fessure subalari, il sangue si ridestò, e ben presto i muscoli tornarono a palpitare.
In alto, in alto, pensò, e si sollevò in grandi spirali ascendenti. Il mare rideva, ma l’isola sognava ancora, ed il solo rumore era l’impeto che le faceva rabbrividire i remiganti.
Alla tua morte, Vodan, anche tu eri un sole.
La disperazione se n’era andata, bruciata dallo sforzo delle sue ali, schiaffeggiata dai venti e sciacquata dalla pioggia, così come avrebbe certamente voluto lui. Eyath sapeva che il dolore sarebbe guarito meno rapidamente; non era nulla che lei non sapesse dominare, però. Già sotto di esso sentiva la tristezza, come il calore di un focolare al quale scaldarsi le mani. Che ne rimanesse una traccia, finché lei fosse vissuta; che Vodan dimorasse in lei anche quando fosse riuscita a innamorarsi di nuovo, e avesse donato a quell’ultimo amore l’altezza d’animo di lui.
Si librò nel cielo, quasi dondolando. Da quell’altezza poteva vedere più di un’isola, allungata per tutta la curva di mercurio del mondo. Ancora non voglio ritornare. Arinnian può aspettarmi fino al… tramonto? La fame le ribolliva dentro. Aveva consumato una gran quantità di energia. Benedette le fitte, benedetto questo bisogno di cacciare… benedetta l’occasione, ah!
Molto più in basso, delle macchioline, una mandria di pteropleuronti che lasciavano le loro scogliere e si sparpagliavano alla ricerca di pesci vicino alla superficie dell’acqua. Eyath scelse la sua preda, la puntò e si lanciò. Quando calò le membrane sugli occhi per proteggerli, il mondo divenne indistinto e in qualche modo si oscurò; ma lei era sempre più consapevole di un cielo spaccato in due che scorreva e sibilava intorno; gli artigli stretti intorno alla curva di ciascuna ala rispondevano brillantemente ad ogni cambiamento di angolazione, di velocità e di potenza.
Il suo corpo sapeva quando riavvolgere quelle ali e cadere — quando dispiegarle di nuovo, frenare in un rombo, e schizzare verso l’alto — e sapeva quando e come le sue mani dovevano colpirle. Non aveva bisogno della spada. Il collo del rettiloide si spezzò di schianto per la pura violenza dello scontro.
Vodan, ti sarebbe piaciuto!
Il suo fardello la ostacolò non poco; pur non essendo pesante, ci vollero tuttavia delle foglie molto ampie per sollevarlo. Si sistemò sopra una roccia che si protendeva dalla costa, macellò la carne e la mangiò. Cruda, aveva un sapore dolce, appena avvertibile. Il mare rumoreggiava e spumeggiava intorno a lei.