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Poi volò per l’isola, stavolta con lentezza. Sarebbe andata in cerca delle piantagioni più alte per riposare tra gli alberi ed i fiori, all’ombra maculata dal sole; quindi sarebbe tornata in alto; e per tutto il tempo avrebbe ricordato Vodan. Poiché essi non si erano sposati, lei non poteva guidare la danza funebre; perciò oggi gli avrebbe regalato la sua, la loro.

Sfiorò bassa le cime di un frutteto. L’acqua, evaporando tra le foglie ed il terreno, creava nebbioline bianche che si stagliavano contro il verde, sotto il sole. Le correnti ascensionali le diedero una spinta verso l’alto. Si inebriò dei forti odori della terra viva attraverso le fessure subalari ed i polmoni, finché non si sentì la testa che si alleggeriva ed il sangue che cantava. Vodan, sognò, se tu fossi accanto a me, ce ne andremmo via in volo, solo noi due. E troveremmo un posto dove potresti avvolgermi nelle tue ali.

Era come se lui fosse lì. Il battito d’ali che premeva da dietro e da sopra, l’aria d’improvviso piena del profumo di maschio. La sua mente vorticava. Sto per svenire? Farei meglio ad abbassarmi. Scese irregolarmente ed atterrò con difficoltà.

Intorno a lei alberi di arancio, non alti né troppo ravvicinati, e lanterne dorate che brillavano misteriosamente nelle profondità del fogliame. Il suolo era stato coltivato e seminato di fresco, ed era nudo contro il cielo. La sua morbidezza bruna le abbracciava i piedi, umidi e riscaldati dal sole che l’abbagliava. La luce veniva giù a torrenti, il muschio e la dolcezza del suolo trasudavano dal basso, e tutto rombava intorno a lei.

Per un attimo Laura fu nascosto da un remigante, mentre l’altro scendeva. Riconobbe Draun.

La sua cresta era rigida. Ogni penna intorno alla bocca sorridente diceva: Speravo di trovarti in questo stato, dopo quello che è successo.

«No», disse lei con un filo di voce, ed allargò le ali per volare.

Draun avanzò rigidamente sul terreno, con le braccia aperte e le dita ripiegate ad uncino. «Bellissima, bellissima», le bisbigliò con voce soffocata. «Khr-r-r».

Le ali di Eyath sbatterono. L’afflusso d’aria le diede forza, ma non la sua forza. Era un’energia differente, quella che la scosse come lei avrebbe potuto scuotere una preda.

«Vodan!», gridò, ed in qualche modo riuscì a sollevarsi svolazzando dalla terra che turbinava. L’ascesa fu lenta e sgraziata. Draun allungò un braccio, afferrando con gli artigli uno dei suoi alettoni; caddero entrambi a terra.

Lei gli graffiò la faccia e allungò la mano per prendere il pugnale. Lui le strinse entrambi i polsi e la tirò verso di sé. «Non lo desideri, femmina?». Il suo respiro le ronzava nelle orecchie. «E adesso?». La abbracciò, portandosi le braccia di lei intorno al collo. Allargate, le sue ali nascosero di nuovo il sole, prima che le piume le coprissero gli occhi.

Lei lo strinse a sé, con le ali avvolte sotto le sue. Poi strinse le labbra così forte che l’oscurità fu piena di informi luci danzanti. Vodan, il pensiero le attraversò la mente superando a fatica lo stordimento, farò finta che sia tu.

Ma Vodan non l’avrebbe lasciata, dopo, abbandonandola lì piena di graffi, morsi e lividi in attesa che la trovasse Arinnian.

Tabby era ancora addormentata, Holm era ancora in cerca della sua povera amica, Draun se ne era andato da poco con il pretesto di dare un aiuto anche lui, i servitori ed i pescatori erano impegnati nei vari compiti. L’insediamento era tranquillo, alle prime luci del mattino.

Rochefort tornò senza far rumore nella stanza da letto. Lei era una delle poche donne che aveva conosciuto che a quell’ora avessero un bell’aspetto. Il corpo alto, la pelle abbronzata erano troppo robusti per cedere o gonfiarsi; i corti riccioli biondi erano aggrovigliati in modo da far venire voglia di giocarci con le dita. Respirava profondamente, regolarmente, senza russare, benché le labbra fossero appena separate a rivelare il bianco dei denti. Quando si chinò su di lei, attraverso le strisce di luce e l’ombra gettata dalla tendina, non sentì profumo di amarezza, ma solo di fanciullezza. Notò il segno delle lacrime che si erano asciugate sul volto.

Rochefort piegò la bocca, e il labbro ferito gli dolse meno di quanto non succedesse al suo cuore. Tabitha aveva pianto per lui, a causa sua, dopo che erano tornati a casa. «Ma certo che non puoi stanotte, tesoro», gli aveva mormorato, appoggiandosi su un gomito e girandosi verso di lui, mentre con l’altra mano gli accarezzava la guancia, il petto ed i fianchi. «Con tutta quest’agitazione, e quello che hai passato, e tutto il resto. Saresti proprio insensibile se ci riuscissi, non credi? Non piangere. Non è colpa tua, te la prendi troppo con te stesso. Aspetta fino a domani, o alla notte prossima, Phil, caro. Abbiamo tutta la vita».

Gran parte dell’inferno che mi straziava l’anima era proprio il fatto di non poterti dire perché me la prendevo tanto, egli pensò.

Se ti baciassi… ma tu potresti svegliarti e… O tutti voi Santi, e tu, Santa Giovanna, che ti sei lasciata bruciare per la sua gente, aiutami!

Si rese conto che se avesse indugiato troppo, lei si sarebbe senza dubbio svegliata. Contò lentamente fino a cento prima di scivolare vìa di nuovo dalla stanza.

I tetti delle case, il picco che li sovrastava, si stagliavano con incredibile chiarezza contro un cielo che solo un paio d’ali distanti dividevano col sole. Il verde e le ombre brillavano non meno del rosso più luminoso. L’aria era pregna delle fragranze della vegetazione e del mare che rumoreggiava al di là del frangiflutti. No. Tutta questa bellezza è insopportabile. Rochefort si allontanò rapidamente dalla zona, percorrendo un sentiero in mezzo ai frutteti. Ben presto avrebbe raggiunto la strada principale che portava al campo d’atterraggio.

Non posso farcela. Ci sarà qualcuno di guardia; oppure non riuscirò ad entrare; o magari succederà qualcosa ed io me ne sarò andato semplicemente a fare una passeggiata. Non c’è niente di male a guardare, no?

Solo un’occhiata, e poi tornare per la colazione. Niente di male, tranne lasciare che gli avaloniani siano uccisi, forse a milioni, forse lei compresa - e, sì, anche i miei amici marinai, senza una ragione, senza un motivo al mondo se non l’orgoglio. Ma può darsi che io possa salvarli. E forse lei capirà che ho fatto quel che ho fatto per porre fine alla guerra, e permetterle di sopravvivere.

La campagna taceva. In quel tempo dell’anno non c’era nessuno, al lavoro nelle piantagioni.

Il campo d’atterraggio era deserto. Per lo scarso traffico di St. Li, il controllo automatico a terra era più che sufficiente.

Il «flitter» era chiuso. Rochefort represse a stento il sollievo, quando si ricordò: Probabilmente è per proteggerlo dalle intemperie. Qui non si preoccupano dei ladri.

E per i bambini curiosi?

Se viene qualcuno e mi vede, posso sempre dire che ero preoccupato per questo. Tabby mi crederà.

Spinse una rampa portatile, usata per scaricare le navi mercantili, fino allo scafo rilucente. Nel salire, i suoi stivali facevano tump… tump… tump. L’ingresso era simile ai modelli che conosceva e trovò subito una piastra che doveva coprire un quadro di controllo manuale esterno. Non era bloccata, e scivolò di fianco senza difficoltà, rivelando solo un pulsante, senza nessun particolare congegno collegato ad un segnale. Lo premette. Il portello esterno si aprì ronzando ed una passerella si protese simile ad una lingua che volesse leccarlo.

Padre, mostrami la Tua volontà. Rochefort percorse la passerella ed entrò.

Il vascello Ythrano era molto simile ai corrispettivi terrestri. Non c’era da sorprendersene, considerando che la razza degli spaziali aveva appreso il volo dall’uomo, e che su Avalon i mezzi aerei avevano spesso passeggeri umani. Nella cabina di pilotaggio, i sedili ed i comandi erano adattabili ad entrambe le razze. Le istruzioni erano in Planha, ma Rochefort andò ad intuito. Dopo cinque minuti seppe che era in grado di far sollevare e navigare quel velivolo.