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Si batté il pugno nel palmo della mano, una volta sola. Poi si mise al lavoro.

16

Arinnian riportò Eyath all’insediamento percorrendo la strada a piedi. La cintura gravitazionale non avrebbe potuto sollevarli entrambi senza rischio, e lui la lasciò indietro. Per due volte lei gli disse che poteva volare, o in ogni caso camminare, ma con un filo di voce così flebile che lui le disse di no. Per il resto non si dissero nulla, a parte le poche parole che lei aveva singhiozzato contro il suo petto quando Arinnian si era inginocchiato per sollevarla.

Non poteva portare a lungo quel peso fra le braccia. Ma Eyath aderiva a lui, con la carena accostata alla schiena, gli artigli dei piedi ripiegati sulle spalle, abbrancata alla sua vita come una piccola Ythrana; lui doveva solo tenerla per gli alettoni, per impedirle di cadere. Arinnian aveva tagliato a strisce la camicia per ripulire le sue ferite con l’acqua piovana che si era raccolta sulle foglie, e ne aveva ricavato anche delle bende per evitare che perdesse ancora sangue. Le ferite non erano troppo gravi, ma almeno gli avevano dato la possibilità di utilizzare in qualche modo il suo pugnale. E così il calore e la serica morbidezza del piumaggio di lei gli coprivano la pelle; e il profumo del suo periodo d’amore, come un odore denso e pesante, era intorno a lui e in lui.

Questa non ci voleva proprio, continuava a pensare. Sarà in questo stato per giorni… un paio di settimane, se si riprende subito. E se lo incontra di nuovo…

Sarà pentita? Ma come potrebbe esserlo, per una cosa a cui non può opporsi? È stordita, naturalmente, addolorata, confusa; si sentirà moralmente insudiciata, forse. È giusto che sia così?

Tutto d’un tratto mi sembra di non capire più la mia compagna di vento.

Continuò a trascinarsi avanti. Nel corso della sua ricerca aveva avuto ben poco tempo per riposare. Si sentiva male, aveva la bocca secca, e gli sembrava di avere il cervello pieno di sabbia. Il mondo era una strada che doveva percorrere, lunga un certo numero di chilometri, solo che quei chilometri continuavano ad allungarsi. Il che restringeva ancor più la via, e il mondo che lasciava più spazio se non a una sequela di tradimenti. Cercò di smorzarne la consapevolezza recitando una filastrocca infantile dentro di sé, a beneficio dei suoi piedi. «Tirali su, e mettili giù. Tirali su…». Ma ciò lo rese troppo consapevole dei piedi, di quanto gli dolessero, delle ginocchia che gli tremavano, delle braccia che gli bruciavano, e dovette per forza tornare ai tradimenti. Terra-Ythri. Ythri-Avalon. Tabitha-Rochefort. Eyath-Draun, no, Draun-Eyath… Vodan-comesichiama, quella orribile creatura di Centauro, sì, Quenna… Eyath-chiunque, perché adesso lei era di chiunque… no, una persona aveva l’autocontrollo, la previdenza, una persona poteva rimanere pulita, anche senza preservare quella verginità affidata al vento che un tempo aveva posseduto… Le mani aggrappate al suo corpo, che aveva tenuto fra le sue, avevano appena smesso di stringere il corpo di Draun; quella voce che aveva cantato per lui, e che ora taceva, aveva mugolato di piacere come la voce di una qualsiasi sgualdrina… Basta! Basta, dico!

La vista dell’insediamento lo riportò ad una specie di realtà. Non sembrava esserci nessuno, per fortuna. Avrebbe portato via Eyath, in salvo. I farmacisti Ythrani avevano inventato un aerosol che inibiva efficacemente i feromoni, e senza dubbio poteva farsene prestare un po’ da un vicino. Almeno non ci sarebbe stato il consueto affollamento di maschi fuori dalla sua stanza, finché non avesse recuperato le forze per volare con lui fino al velivolo e di lì fino a Stormgate.

La casa di Tabitha era aperta. Lei doveva aver sentito i suoi passi ed il suo respiro pesante, perché venne subito alla porta. «Ciao», lo salutò. «L’hai trovata?… Ehilà!». Gli corse incontro. Arinnian pensò che una volta avrebbe apprezzato la vista di lei.

«Sta bene?», domandò Tabitha.

«No». Lui si trascinò dentro. L’ombra e la freschezza appartenevano ad un altro pianeta.

Tabitha lo seguì. «Per di qua», disse. «Nel mio letto».

«No!». Arinnian si fermò. Se non avesse avuto quel carico si sarebbe stretto nelle spalle. «Perché no?».

Eyath giaceva con un’ala piegata sotto il corpo e l’altra allargata a tal punto che i remiganti strusciavano sul pavimento. Le membrane nittitanti la facevano sembrare cieca. «Grazie», disse con voce appena udibile.

«Cos’è successo?». Tabitha si chinò per vedere, e colse l’odore che un maschio Ythrano può sentire a chilometri di distanza. «Oh». Sì tirò su, con la mascella tesa. «Sì».

Arinnian cercò il bagno, scolò una serie interminabile di bicchieri d’acqua fredda, si bagnò sotto il più gelido dei vaporizzatori ad ago e, dopo aver preso una pillola stimolante, si sentì di nuovo padrone di se stesso. Intanto Tabitha si dava da fare per procurare ad Eyath tutto ciò di cui aveva bisogno.

Quando entrambi ebbero finito, si trovarono in soggiorno. Lei gli avvicinò le labbra all’orecchio — tanto da fargli sentire il tenue soffio delle parole — per dirgli con voce bassissima: «Le ho dato un sedativo. Tra qualche minuto dormirà come un sasso».

«Bene», rispose lui con astio. «Dov’è Draun?».

Tabitha fece un passo indietro. Gli occhi verdi sembrarono ingrandirsi. «Perché?».

«Non lo indovini? Dov’è?».

«Perché cerchi Draun?».

«Per ucciderlo».

«Non lo farai!», gridò lei. «Chris, se è stato lui, non potevano farci nulla. Nessuno può farci nulla. Lo sai. Lo shock ed il dolore hanno causato un’ovulazione prematura, e lui si trovava per caso…».

«Non ci si trovava per caso, quel bastardo», la interruppe Arinnian. «E se anche fosse così, avrebbe potuto allontanarsi non appena sentito il primo debole odore, come qualsiasi maschio normale. Avrebbe potuto fare a meno di violentarla. Dov’è?».

Tabitha si spostò di lato, davanti al telefono. Era diventata più pallida di quando Draun l’aveva derisa. Lui la spinse via da sé. Resistette un attimo ma, pur essendo forte, non poteva competere con lui. «A casa, dici», ripeté Arinnian. «Con un gruppo di amici armati».

«Per impedirti di fare qualcosa di avventato, certo, senza dubbio», lo supplicò Tabitha. «Chris, siamo in guerra. Lui è troppo importante nella guardia. Noi… se Phil fosse qui non faresti mai… Devo andare a prendere un fucile?».

Lui si sedette. «Il tuo amichetto non potrebbe impedirmi di chiamare da un altro luogo», disse lui con voce tagliente. Lei indietreggiò. «E nemmeno il tuo stupido fucile. Stai calma».

Conosceva il numero e lo formò servendosi del pugnale. Lo schermo si illuminò: apparve Draun e, sì, altri due sullo sfondo, con i disintegratori al fianco. L’Ythrano parlò subito: «Me l’aspettavo. Vuoi ascoltarmi? Quel che è fatto è fatto, e non c’è stato niente di male. È la legge del gruppo che lo dice, in casi come questo, prevedendo la possibilità di richiedere un risarcimento per leso orgoglio e imponendo la cura di eventuali figli. È ben difficile che venga fuori un marmocchio, perché il suo periodo era appena all’inizio, e quanto all’orgoglio, se l’è spassata anche lei». Fece un largo sorriso e spostò lo sguardo alle spalle dell’uomo. «Non è vero, bella coda?».

Arinnian si guardò intorno allungando il collo. Eyath stava uscendo con passo malfermo dalla stanza da letto. Aveva gli occhi aperti, ma inespressivi a causa della droga che l’aveva resa semincosciente. Allungò le braccia verso l’immagine sullo schermo. «Sì. Vengo», disse con voce incerta. «No. Aiutami, Arinnian. Aiutami».