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Lui non riusciva a muoversi. Fu Tabitha che andò da lei e l’aiutò a tornare nella stanza.

«Vedi?», disse Draun. «Non le ho fatto male. E poi, a quanto mi risulta, voi umani potete violentare le vostre femmine, e spesso lo fate. Io non posso fare cose del genere. E comunque, che cos’è il nostro piccolo divertimento in confronto a tutti quelli che vi prendete voi ogni anno?».

Arinnian aveva soffocato il senso di nausea, ma gli era rimasto un bruciore alla gola. Le parole gli uscivano lente e remote, come se non fosse lui a pronunciarle, benché ogni altro senso si fosse affinato in modo straordinario. «Ho visto com’è ridotta».

«Beh, forse ero un po’ troppo eccitato. Ma è colpa vostra, davvero, di voi umani. Noi Ythrani vi guardiamo e cominciamo a farci delle domande. Capisci quello che voglio dire? Va bene, concederò un risarcimento per danni, in base a un certificato medico. E sono disposto anche a discutere la possibilità di un rimborso per leso orgoglio, con i suoi genitori. Sei soddisfatto?».

«No».

Draun drizzò appena la cresta. «Faresti meglio ad esserlo. Secondo la legge e le usanze, tu non hai ulteriori diritti nella questione».

«Voglio ucciderti», disse Arinnian.

«Cosa? Aspetta un attimo! Uccidere…».

«Un duello. Qui abbiamo i testimoni. Ti sfido».

«Non ne hai motivo, ti dico!».

Stavolta Arinnian riuscì a stringersi nelle spalle. «Allora sfidami tu».

«E perché?».

L’uomo sospirò. «Dobbiamo proprio impantanarci nelle formalità? Fammi vedere, quali insulti mortali fanno all’uopo? Le volgarità su ciò che posso fare volando sopra di te? No, troppo banale. Sono praticamente costretto ad esporre una semplice, reale descrizione del tuo carattere, Draun; e ad aggiungere che il Gruppo di Highsky è un concentrato di merda, dal momento che ospita un verme come te».

«È abbastanza», disse l’Ythrano, con lo stesso tono calmo, malgrado le penne erette e le ali tremanti. «Sei sfidato. Al cospetto dei miei dèi, dei tuoi dèi, della memoria di tutti i nostri antenati e della speranza di tutti i nostri discendenti, io, Draun di Highsky, richiamo te, Christopher Holm, detto Arinnian, al tuo orgoglio per incontrarmi in un combattimento dal quale non più di uno uscirà vivo. In presenza ed onore di questi testimoni che io nomino…».

Alle sue spalle giunse Tabitha. Con la forza, e sfruttando la sorpresa, strappò Arinnian dalla sua sedia. Lui cadde al suolo, si rialzò subito, ma trovò la ragazza fra sé e lo schermo. Con la mano sinistra lo teneva a bada, mentre la destra sembrava voler tenere lontano il nemico da lui.

«Siete impazziti entrambi?», disse quasi urlando.

«Le parole sono state pronunciate». Draun si leccò i denti. «A meno che lui non implori la mia grazia».

«Non accetterei nemmeno una richiesta di grazia da lui», disse Arinnian.

Lei rimase lì ansimando, girando la testa dall’uno all’altro. Le lacrime le rigavano il volto, ma lei non sembrava accorgersene. Dopo qualche secondo lasciò cadere le braccia, e chinò la testa.

«Allora volete starmi a sentire?», chiese con voce roca. I due rimasero rigidi senza dire una parola. Arinnian aveva cominciato a tremare, mentre la pelle gli si gelava. Tabitha strinse i pugni. «Non torna a vostro onore lasciare che siano uccisi, o mutilati, i vostri compagni, i vostri gruppi… Avalon… le vostre esigenze. Aspettate che sia finita la guerra. Vi sfido a farlo, allora».

«Beh, d’accordo, purché io non debba incontrarmi né parlare con il Terricolo», acconsentì Draun con riluttanza.

«Se vuoi che collaboriamo come prima», disse Arinnian a Tabitha, «dovrai fare da intermediaria fra di noi».

«Come può farlo?», lo schernì Draun. «Dopo quello che hai detto del suo gruppo?».

«Penso di poterlo fare lo stesso», sospirò Hrill.

Poi si fece indietro. Non c’era più niente da dire. Lo schermo si oscurò.

Tutta l’energia abbandonò Arinnian. Si volse verso la ragazza e le disse, contrito: «Non intendevo dire ciò che ho detto in ultimo. A te io chiedo grazia, a te offro il risarcimento».

Lei non lo ascoltò nemmeno, ma girò lo sguardo verso la porta e fissò al di fuori. Cerca il suo amante, penso lui vagamente. Mi troverò un albero sotto il quale riposare finché Eyath non si sveglierà e potrò trasportarla al «flitter».

Un frastuono scivolò giù lungo il fianco della montagna e fece tremare le finestre. Tabitha si irrigidì. Il rumore continuò a echeggiare, sempre più debole man mano che il razzo si sollevava verso l’alto. Lei si lanciò nel cortile. «Phil!», gridò. Ah, pensò Arinnian. Eccolo. L’ultimo tradimento.

«Riposo, tenente. Si sieda».

L’uomo abbronzato e di bell’aspetto si sedette rigido sulla sedia. Juan Cajal lasciò cadere lo sguardo di nuovo sullo scrittoio e fece frusciare le carte che aveva in mano. La cabina del suo ufficio era avvolta nel silenzio. Il Valenderay orbitava intorno a Pax ad una distanza tale da rendere quel sole una stella appena più brillante delle altre, la cui luce contornava Esperance, dove Luisa attendeva.

«Ho letto questo rapporto su di lei con molta attenzione, tenente Rochefort, inclusa la trascrizione delle sue affermazioni», disse alla fine Cajal, «per quanto fosse ben lungo. Ecco perché l’ho fatta convocare qui con la massima urgenza».

«Cosa potrei aggiungere, signore?». La luce del nuovo venuto era rigida come il suo corpo. Comunque, quando Cajal sollevò lo sguardo per posarlo nuovamente sui suoi occhi, si ricordò di un povero animale inoffensivo che aveva visto una volta su Nuevo Mexico, nella Sierra de los Bosques Secos, intrappolato in fondo ad un canyon ed in attesa dei cacciatori.

«Per prima cosa», disse l’ammiraglio, «voglio porgerle le mie scuse personali per averla sottoposta ad ipnosonda quando lei è tornato alla nostra flotta. Non era il modo di trattare un leale ufficiale».

«Lo capisco, signore», disse Rochefort. «Non ne sono rimasto sorpreso, e gli inquisitori sono stati gentili. Lei doveva assicurarsi che non stessi mentendo». Qualcosa brillò appena dietro la maschera. «Per lei stesso».

«M-mm, sì, l’ipnosonda evoca ogni più piccolo particolare, vero? Ma la cosa finisce qui, figliolo. Lei ha visto qual era il dovere più alto e l’ha seguito».

«Ma perché farmi venire di persona, signore? Quel poco che avevo da dire si trova in quel rapporto».

Cajal si appoggiò contro lo schienale, costruendosi un sorriso amichevole. «Lo saprà presto, Per prima cosa ho bisogno di una piccola informazione extra. Che cosa beve?».

Rochefort trasalì. «Signore?».

«Scotch, bourbon, rye, gin, tequila, vodka, akvavit, eccetera, comprese diverse bottiglie extraterrestri. In quali dosi? Con o senza acqua? Credo che a bordo ci sia una scorta non malvagia». E poiché Rochefort rimaneva lì senza dire una parola, Cajal aggiunse: «Prima di cena, di solito prendo un martini. Ceniamo insieme, capisce».

«Insieme? Oh, l’ammiraglio è molto gentile. Sì, un martini, grazie».

Cajal trasmise l’ordinazione. In realtà, nelle rare occasioni in cui poteva scegliere, prendeva un goccio di sherry; e sospettava che anche Rochefort avesse gusti diversi. Ma era importante che il ragazzo si sentisse a suo agio.

«Lei fuma?», gli chiese poi. «Io no, ma ogni tanto me ne concedo qualcuno, e il governatore mi ha regalato questi sigari. Lui è un notorio buongustaio».

«Uh… grazie… dopo aver mangiato, signore».

«Evidentemente la pensa come me». Cajal intrattenne l’ospite fino all’arrivo dei cocktails. Erano abbondanti e ghiacciati. Lui sollevò il suo. «A vuestra salud, mi amigo».